Giammaria Ortes
Studioso esperto in più campi dello scibile, Giammaria Ortes fu interessato alla distribuzione delle risorse e agli effetti sociali della concentrazione delle ricchezze. Egli si orientò ad auspicare il contenimento della povertà attraverso una più equa assegnazione delle risorse disponibili per arrivare a un benessere dignitoso esteso a tutti i cittadini; il suo sforzo fu, infatti, di valutare quali beni e in quale quantità si dovevano produrre e distribuire per offrire a tutti un tenore di vita consono alla persona umana. La sua sagacia e la sua preparazione gli permisero di sviluppare una linea di ricerca che si è storicamente affermata, ossia quella di indicare obiettivi realistici di aumento del benessere condiviso degli uomini, piuttosto che tendere a uno sviluppo economico affidato alle scelte di pochi protagonisti.
Nelle righe iniziali delle Brevi memorie sui primi anni della vita dell’ab. Ortes stese da lui medesimo (in Calcolo sopra la verità dell’istoria e altri scritti, a cura di B. Anglani, 1984, p. 47) si viene a conoscenza che nacque a Venezia, nella parrocchia di Santa Ternita «addì 2 marzo 1713». Compiuti i sei anni ebbe come maestro don Girolamo Vincenti, che gli insegnò «grammatica e rettorica». Nel 1727 passò dalla casa paterna al monastero di S. Mattia di Murano, dove prese «l’abito monastico camaldolese titulo devotionis».
Per sei anni e mezzo studiò filosofia e teologia dommatica alle quali si applicò
quanto esigeva l’obbligo delle scuole e l’esempio degli altri, senza provare grande interesse e senza restare molto persuaso. La storia, e massima la ecclesiastica e monastica, la cronologia, le lettere e la poesia [lo] avrebbero trattenuto con maggior diletto.
Nel 1734 Ortes arrivò a Pisa, al monastero di S. Michele in Borgo, per apprendere le matematiche sotto la disciplina di Guido Grandi (1671-1742), abate di quel monastero. Egli restò profondamente grato al suo maestro per l’iniziazione alle «delizie» della geometria, per le spiegazioni fornitegli sul pensiero cartesiano e per la «conciliazione tra speculazioni geometriche e intelligenza de’ divini Misteri» (Brevi memorie, cit., p. 50).
Tornato a Venezia nel 1738, continuò gli studi di matematica, di filosofia e delle lettere, nel monastero di S. Giovanni della Giudecca. Nel 1743 ebbe
dichiarata di niun valore la professione […] stante il non aver io giammai assunto l’abito titulo religionis […] e stante il non essere io stato in disposizione di ratificare legalmente la professione medesima. […] Pochi giorni dopo fui di ritorno nella casa paterna […] dopo un’assenza di quindici anni e mezzo passati con abito di divozione a una religione per la quale mi è restato il più vivo sentimento di gratitudine per l’educazione da essa ricevuta ne’ costumi e nelle cognizioni, della quale io non poteva sortir la migliore per condurmi in libertà nel rimanente de’ miei giorni (Brevi memorie, cit., p. 51).
Successivamente, Ortes dà notizia del suo ingresso nel convento camaldolese di S. Damiano, dove si dedicò a studi di astronomia, di fisica sperimentale e di chimica. Le note di Ortes si interrompono con riferimento al 1744. È però noto che viaggiò in Austria e in Germania e probabilmente in Francia; in Italia soggiornò a Roma, Firenze e Bologna. Mantenne sempre un interesse forte per la musica e si dedicò intensamente a studi di economia e politica negli ultimi trent’anni di vita. Ebbe in questa fase difficoltà economiche che lo spinsero a ritirarsi in casa di «Urbano Bottazzi ministro della posta di Ferrara in Venezia dove morì in età d’anni 77» (Custodi 1804, rist. anast. 1966, pp. V-VI), nel 1790.
L’impostazione aritmetico-politica rappresentò un’importante svolta nell’ambito della scienza economica; gli studiosi che ne furono protagonisti, attenti all’esigenza di un riferimento istituzionale, rivolsero la loro attenzione agli elementi che caratterizzavano la struttura produttiva dei diversi Paesi e alle tipologie professionali su cui questa si fondava. Essi intuirono, infatti, l’importanza che le grandezze macroeconomiche – popolazione e occupazione, reddito, consumi, commercio internazionale ecc. – assumevano come elementi di sintesi del quadro socioeconomico di uno Stato e come strumenti per l’adozione di efficaci politiche economiche.
Le linee guida dell’attività di ricerca di William Petty (1623-1687), considerato il fondatore dell’aritmetica politica, sono sintetizzate nella nota presentazione che egli fece in merito all’idea che la precisione quantitativa sia necessaria in economia come in altre scienze, seguendo la lezione di Francis Bacon (1561-1626):
Il metodo che adotterò [...] non è molto usuale; invece di usare solo concetti al comparativo e al superlativo e argomenti intellettuali, ho deciso [...] esprimermi in termini di numero, peso e misura, di usare solo argomenti fondati sulle senzazioni e di considerare unicamente quelle cause che hanno fondamenta visibili nella natura, lasciando quelle che dipendono dalle diverse mutevoli intelligenze, opinioni, ambizioni e passioni di singoli uomini, alle considerazioni di altri (Political arithmetic, 1690; trad. it. 1986, pp. 45-46).
Ortes è pienamente riconducibile al filone quantitativo dell’analisi economica, filone che egli arricchì rispetto alla tradizione aritmetico-politica. Infatti, egli fu tra i primi a dare alla scienza economica una rigorosa e moderna veste geometrica partecipando da protagonista alla costruzione della geometria politica (Maccabelli, Morato 2000).
Ortes è in disaccordo con i «Professori di Economia ch’essi chiamano […] Politica» i quali
si figurano che la Scienza economica consista nell’accrescere in una nazione la ricchezza o i beni reali che già vi sono, e che non mancherebbero ad alcuni quando fossero meglio distribuiti come dovrebbero esserlo (Discorso sulla economia nazionale, a cura di P. Farina, 2007, p. 156).
Occorre chiarire che Ortes non cita se non eccezionalmente gli autori cui si riferisce e i loro lavori; solo nelle Lettere fa i nomi di John Locke, David Hume, Antonio Genovesi e Montesquieu (Lettere in proposito del suo libro della Economia nazionale [1778], in Scrittori classici italiani di economia politica, a cura di P. Custodi, parte moderna, t. 23, rist. anast. 1966, p. 260). Secondo l’economista veneziano la vera scienza economica, infatti «non istà nell’accrescere, ma sta essa nel distribuire nel migliore modo i beni o le ricchezze reali che già si trovano in ogni nazione» (Discorso, cit., p. 156).
Come si vede, l’elemento che spinge fortemente Ortes è la percezione degli squilibri esistenti nelle nazioni, squilibri causati dal «livello delle sostanze inferiore al desiderio particolar di ciascuni», e dalla «strana disuguaglianza colla quale son queste fra tutti divise». «L’assoluta privazione di esse – scrive ancora Ortes – in molti che ne vivono a stento o che muoiono di disagi, non possono non commuovere gli animi sensitivi» (Della economia nazionale, in Scrittori classici italiani, parte moderna, t. 21, p. 3).
A tutto ciò egli intese reagire non proponendo «sistemi inutili per la felicità de’ popoli», ma ricercando «la ragione della loro infelicità». Le conclusioni cui è giunto gli permisero di «proporre dottrine» che a lui erano «sempre state di molto conforto», avendo acquistato da queste «quella placidezza di animo» per cui si distingueva
dagli spiriti più forti e più frenetici, non men che dai più deboli e più servili. Per la qual cosa e non per altro mi sono indotto a stenderle in carte, procurando pur, se è possibile, di produrre in altri per gli stessi mezzi gli effetti che ho provato e che provo in me stesso (Della economia nazionale, cit., pp. 32-34).
Ortes, quindi, ritiene essenziale documentare con indagini appropriate le cause che determinano i mali della società e l’infelicità degli uomini. Tali indagini devono considerare «l’economia comune» cioè l’intero sistema nazionale, cercando di cogliere le interrelazioni che lo caratterizzano, piuttosto che esser riferite a singoli individui; nel caso, infatti, in cui si operi su quelle che egli definisce «economie particolari», possono sfuggire le connessioni create dal sistema più ampio di relazioni all’interno della nazione, con risultati negativi.
Ortes pone alla base della sua riflessione economica la convinzione che grazie all’azione creatrice di
Dio sapientissimo che nulla fa inutilmente e tutto fa in giusto numero, peso e misura, ciascuna nazione e ciascun particolare in essa è per se ricco abbastanza di ricchezze reali delle quali necessariamente, comodamente e piacevolmente sussistere (Lettere, cit., p. 269).
Nei fatti vi è una «massa di sostanze che scorrono per la nazione» spinte «più verso gli uni che verso gli altri»; di ciò vuole capire le ragioni attraverso un’indagine sull’articolazione della società e sull’organizzazione delle attività che producono dette sostanze.
Allo scopo egli imposta un modello nel quale è la teoria a motivare e guidare la rilevazione dei dati statistici. In particolare, egli fissa un assioma come cardine dei ragionamenti che intende sviluppare, assioma che
non avrà bisogno di prova alcuna oltre a quella della propria evidenza. Questa sarà, che tutto quel che si fa, si faccia con ragione sufficiente; vale a dire che nessuno intraprenda azione, opera o occupazione veruna senza impulso di ragione per essa, siasi ragione buona o malvagia, giacché tanto una ragion buona è ragione di una buona azione quanto una malvagia di una malvagia, ma senza una ragione qualunque che pur vel conduca nessun certamente moverà ad azione veruna (Della economia nazionale, cit., pp. 9-10).
Le difficoltà nel contatto con la realtà dovute alla riscontrata carenza dei dati non sospingono Ortes al rifiuto dell’indagine sul campo, bensì a cercare soluzioni funzionali all’ottenimento di stime del quadro socioeconomico significative sul piano statistico e utili a chiarire la situazione. Egli assume, infatti, il punto di vista che, manifestandosi i fenomeni economici nel tempo e nello spazio, sia necessario studiare ciò che accade in un determinato periodo e in un definito contesto spaziale, per valutare se e come le motivazioni e le aspirazioni rilevabili all’interno dell’uomo operino nel realizzare la società, le sue strutture, i suoi costumi nonché nel costruirne l’apparato produttivo.
Con l’impostazione di Ortes l’attenzione non è da porre semplicemente sugli effetti immediati degli atteggiamenti umani, ma anche sul grado di incidenza che la persistenza dei detti atteggiamenti nel tempo può assumere nell’ispirare e consolidare talune prassi operative e nel portare alla luce istituzioni, sistemi giuridici e così via. In tal modo, analizzando i sistemi socioeconomici, si può risalire dagli effetti alle cause, cioè dai fenomeni che si riscontrano alle motivazioni da cui sono originati, ottenendo così indicazioni che consentono di individuare i sentimenti prevalenti e di più ampia condivisione nella popolazione.
A ciò egli dedicò una lunga ricerca, durata dieci anni, esaminando una popolazione di «3.000.000 di persone, collocate in Italia, essendo queste quelle che io conosco più davvicino» (Della economia nazionale, cit., p. 137). Dal contesto analizzato emerge che la popolazione della quale Ortes vuol «favellare» è quella veneta (pp. 55-59).
Grazie a conoscenze acquisite personalmente o attraverso il parere di esperti, Ortes contribuì all’innovazione e all’affinamento degli strumenti quantitativi allora in uso; si aggiunga il fatto che lo sforzo nello stimare i dati a lui necessari, con algoritmi atti a generare risultati attendibili, gli ha permesso di elaborare un modello esplicativo dei meccanismi in atto nell’organizzazione economica del Veneto. Tale modello assume la forma di un complesso sistema di relazioni di scambio, nel quale l’insieme dei beni di cui la nazione sussiste è originato e conservato a partire da un processo di divisione sociale del lavoro (Maccabelli, Morato 2000, p. 747).
Da quanto è stato detto emerge l’importanza che in Ortes assume l’analisi della produzione e, soprattutto, il ruolo del fattore lavoro. È stato, infatti, osservato che «la sua geniale apertura al mondo del lavoro era il primo importante risultato della speculazione ortesiana» (Torcellan 1963, p. 751).
L’originalità dei contributi dell’economista veneziano sul tema dell’occupazione assorbita dalla struttura produttiva, è stata fortemente sostenuta anche da Pietro Custodi, che ha scritto:
Base primaria […] di tutta la teoria di Ortes è il calcolo delle occupazioni, principio nuovo e luminosissimo che conduce il lettore gradatamente a conoscere nelle più minute sue parti l’anatomia dei corpi civili, e che deve riguardarsi come primo anello della scienza economica, siccome n’è il secondo la teoria di Smith della divisione del travaglio, giacché quella dimostra l’origine e la vera misura della ricchezza e questa la loro sola moltiplicazione (Custodi 1804, rist. anast. 1966, pp. V-VI).
Secondo Ortes i beni resi disponibili sono dovuti, «per il motivo […] di provvedere ciascuno alla propria sussistenza», all’opera di quattro categorie di occupati (Della economia nazionale, cit., pp. 43-53), ovverosia:
1. agricoltori, cioè gli addetti alle coltivazioni e all’allevamento del bestiame, i pescatori, i cacciatori e così via;
2. artefici o manifattori, ovvero coloro che modificano e configurano in maniera appropriata i beni prodotti dagli agricoltori permettendone in tal modo un utilizzo diffuso;
3. dispensatori, che promuovono il consumo dei beni prodotti da agricoltori e manifattori «col distribuirli e trasportarli» presso i consumatori;
4. amministratori o direttori delle comuni sostanze, cui compete «tener tranquilla la società» sia favorendo la crescita morale e intellettuale dei cittadini sia «determinando nei nascenti litigi i diritti di ciascuno colle regole di certa equità».
È importante notare che la lunga indagine sviluppata da Ortes gli permise di constatare la diversità del prodotto offerto dalle prime due classi di lavoratori rispetto a quello delle ultime due, in quanto:
a. nelle ultime due classi oggetto della cessione dal produttore al consumatore non è in molti casi un bene ma un «ufficio di amministrazione o un ministero»;
b. esiste un rapporto diretto tra chi offre l’«ufficio o ministero» e chi lo richiede o lo accetta (Della economia nazionale, cit., pp. 258-59).
È del tutto evidente che Ortes riuscì a inquadrare la distinzione tra beni e servizi che, successivamente, sarebbe stata oggetto di lunghe e fuorvianti dispute in campo economico (Erba 2011, pp. 78-79).
Descritta la classificazione delle occupazioni, Ortes porta alla luce le relazioni gerarchiche che intercorrono tra gli addetti alle diverse attività. L’insieme delle persone coinvolte viene, di conseguenza, suddiviso in due categorie:
1. occupati primari, che utilizzano – in proprietà o in concessione – terreni, negozi, beni da commerciare e amministrare ecc. e che «concepiscono in prima, dispongono e distribuiscono su i loro fondi qualsivoglia lavoro, e senza dei quali nessun lavoro sarebbe possibile»;
2. occupati secondari, semplici esecutori in quanto a loro: non «spetta che prestar mano ai lavori già compiuti, disposti e ordinati» e «sono conosciuti col nome di occupati o lavoratori giornalieri» (Della economia nazionale, cit., pp. 103 e segg.).
Nella sua indagine decennale Ortes ha rilevato e, comprendendone l’importanza, reso noto il fatto che in ogni attività si rende necessaria la presenza di esperti conoscitori delle «ricerche comuni» in grado, cioè, di orientare la produzione in modo da soddisfare, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, la domanda che parte dai consumatori (pp. 106-07).
Emerge così il ruolo manageriale degli occupati primari – proprietari o meno delle attività – che regolano la produzione grazie alle loro capacità e alle cognizioni acquisite (Della economia nazionale, in Scrittori classici italiani, parte moderna, t. 22, pp. 156-58). Ne deriva che il loro numero – secondo logica confortata dall’esperienza fatta da Ortes nel Veneto – è più ridotto di quello dei lavoratori secondari, in quanto si richiede: «un minor numero di occupati a disporre e ordinare un lavoro di quel che se ne richiedono ad eseguirlo»; tra le due categorie il rapporto è calcolato da Ortes: «in ragione da 1 a 9», ovverosia un occupato primario per ogni 9 secondari (Della economia nazionale, in Scrittori classici italiani, cit., t. 21, p. 303).
In riferimento alle tipologie professionali Ortes, inoltre, osserva che esse vengono remunerate in funzione del tempo impiegato, della penosità e del prestigio di cui godono nella società; ne segue, nell’effettuazione dello scambio dei prodotti, «la legge […] di dover tanto uno retribuir all’altro del proprio ufficio quanto da questo […] ne sia attribuito del suo» (Della economia nazionale, in Scrittori classici italiani, cit., t. 21, pp. 67-69).
Ortes, in tal modo, spiega e giustifica la disuguaglianza dei redditi purché «corrispondente alla naturale capacità diversa in ciascuni per acquistarli e amministrarli», ma è fermo sulla necessità
d’evitare almeno i più incomodi eccessi, onde quella subordinazione che nel conseguimento de’ beni è necessaria fra gli uomini non si converta in ischiavitù, e quella dipendenza che gli uni debbono pure esigere dagli altri non degeneri in dispotismo (Lettere, cit., p. 216).
Ortes si pone a questo punto il problema di quanta parte della popolazione è impiegata nelle attività da lui distinte in quattro classi. La prima osservazione che compie – cercando di costruire un quadro statistico della popolazione attiva – è relativa all’età dei cittadini, giudicando realistico che «pochi o nessuni innanzi ai 15 o dopo ai 70 sian atti agli uffici delle quattro classi»; altri – egli prosegue – hanno difficoltà a partecipare al lavoro: le donne «per complessione men robusta» e per le conseguenze della maternità, e, naturalmente, gli infermi (Della economia nazionale, in Scrittori classici italiani, cit., t. 21, pp. 54-58). Con dati molto parziali, Ortes ricostruisce la distribuzione per età della popolazione veneta, arrivando a stabilire che la popolazione attiva teorica era pari al 70% della popolazione effettiva; tale dato è poi corretto concludendo che la popolazione non attiva corrisponde a circa il 33% del totale (pp. 58-63). Valutata la popolazione attiva in 2/3 della complessiva, Ortes ragiona che non tutti gli attivi saranno utilizzati:
E ciò per la ragione insuperabile, di bastare un numero molto minore di questi per riempire tutte le vie e tutte le maniere per le quali possano tutti restar provveduti di beni, onde dover fra quelli necessariamente restar molti disoccupati, ancorché atti ad occuparsi (p. 64).
A dipendere dai lavoratori primari e secondari «per la lor sussistenza» restavano i disoccupati e i cittadini non attivi. Esistendo, quindi, le premesse per situazioni di povertà diffusa nella società veneta, del pari che in altre società con organizzazioni diverse, Ortes ritenne necessario, ai fini di assicurare una migliore giustizia sociale, definire e misurare le grandezze economiche grazie alle quali si potessero accertare le situazioni effettive e valutare i rapporti esistenti in termini di disponibilità delle risorse (Delle diverse costituzioni nazionali, a cura di M. Bazzoli, 2006, pp. 96-97). In vista di ciò egli volle ripensare le proposte metodologiche degli aritmetici politici.
L’ostacolo incontrato dai cultori dell’aritmetica politica era costituito essenzialmente dalla mancanza dei dati necessari per una stima corretta delle diverse grandezze economiche, in particolare del reddito nazionale e dei consumi. Petty si era basato sul presupposto che il reddito di un Paese potesse essere calcolato misurando l’ammontare della popolazione e la spesa pro capite effettuata annualmente (W. Petty, The economic writings, 1889, p. 104).
Gregory King (1648-1712) nel 1696 stimò con fonti diverse il reddito dell’Inghilterra utilizzando la distribuzione delle famiglie per «ranks, degrees, titles and qualifications» insieme a misure del reddito medio per famiglia, ottenute in base a dati fiscali di varia natura (P. Studenski, The income of nations, 1958, p. 33).
Le difficoltà incontrate dagli aritmetici politici erano comunque enormi stante l’assenza di rilevazioni statistiche ad hoc e tale situazione portò a dure prese di posizione in campo economico che indebolirono, com’è noto, il prestigio dei seguaci di Petty (Y. Breton, La place de la statistique et de l’arithmétique politique dans la méthodologie de J.B. Say. Le temps des ruptures, «Revue économique», 1986, 6, pp. 1033-62).
Ortes pensò a una diversa soluzione al problema di studiare la quantità e le tipologie di beni di cui la popolazione vive. Egli definisce l’economia come scienza avente lo scopo dell’utilizzo
migliore da farsi delle sostanze necessarie, utili e piacevoli agli usi della vita, in guisa che quell’economia abbia a riputarsi migliore che di esse sostanze usa al miglior modo, e quella peggiore che ne usa al modo peggiore (Della economia nazionale, in Scrittori classici italiani, cit., t. 21, p. 28).
È intuibile che Ortes avesse presenti i lavori di Pierre Le Pesant de Boisguilbert (1646-1714) sul quadro economico della Francia e sulla miseria che la affliggeva, rendendo il Paese come: «un grand hôpital desolé et sans provisions». Tale situazione, dovuta al contesto sociale francese e alle politiche fiscali, indusse Boisguilbert ad affermare che i consumi dovevano essere compatibili con le aspettative dell’uomo, sostenendo che «la richesse […] n’est autre chose que le pouvoir de se procurer l’entretien commode de la vie, tant pour le necessaire que pour le superflu» (L. Salleron, Boisguilbert précurseur des physiocrates, in Pierre de Boisguilbert ou La naissance de l’économie politique, 1° vol, 1966, p. 47).
Ortes vuole contrapporre all’impostazione di chi guarda al reddito nazionale, calcolato essenzialmente sui livelli di produzione raggiunti, come indicatore del benessere dei cittadini, la sua idea di valutare a priori, in funzione della fisiologia umana, delle tradizioni e dell’organizzazione produttiva della popolazione, i prodotti necessari non già per la completa soddisfazione di tutti i «bisogni e piaceri fantastici» che possono esser manifestati o per la pura e semplice sopravvivenza degli abitanti, bensì per assicurare ai cittadini un dignitoso e condiviso benessere.
In tal modo Ortes offre una prospettiva di indagine che consente di ovviare alla carenza dei dati sui consumi e sul reddito, proponendo di individuare un paniere di merci adeguato a garantire «una bastante, comoda e piacevole sussistenza»; la composizione del paniere deve poggiare, evidentemente, sull’esperienza di competenti in vari campi: medico, agricolo, manifatturiero ecc., evitando così una rilevazione estensiva dei dati.
L’economista veneziano ritiene che la formazione della domanda di beni e, quindi, l’insorgere dei bisogni sono condizionati dall’intensificarsi e dall’ampliarsi dei rapporti sociali; secondo Ortes per soddisfare i bisogni particolari di ciascuno basterebbero «pochi prodotti e poche qualificazioni ad essi aggiunte», ma la convivenza negli aggregati urbani spinge – per spirito di imitazione – a «ricerche ne’ beni superflue come quelle senza le quali moltissimi pur campano nelle nazioni» per cui «gli uomini col congregarsi insieme si son fatti e si son dovuti fare di quella ricerca un espresso indispensabile bisogno» (Della economia nazionale, in Scrittori classici italiani, cit., t. 22, pp. 28-29).
La situazione che ne risulta è sintetizzata da Ortes come segue:
Resta dunque per me stabilito che trattandosi di economia comune [nazionale], per nome di beni non possa intendersi che tutto ciò che può servire e serve attualmente alla sussistenza dell’uomo per alimentarlo, coprirlo e alloggiarlo in qualsivoglia modo, stato, figura o condizione, di cittadino o villano, di ricco o povero, di padrone o servo ei si trovi; e che per nome di bisognevole non possa intendersi che una quantità determinata di tali beni, vale a dire quanti bastino per supplire indifferentemente al bisogno di un numero determinato di tutti quelli in una nazione divisa dall’altre, a norma delle comuni inclinazioni e ricerche in essa e non nell’altre nazioni. La quale idea di bisognevole e determinato esclude ogni immagine di superfluo e indeterminato, siccome ogni idea di comune esclude ogni immagine di particolare (Lettere, cit., p. 190).
La differenza tra consumi totali dei cittadini e bisognevole è costituita dal «superfluo» che, essendo il bisognevole considerato espressione di «equità, carità e moderazione», viene, invece, definito frutto di «interesse e di ambizione» (p. 214). Ortes, pertanto, non apprezza i beni prodotti per ragioni di fasto o per volontà di potenza, definendosi assertore della moderazione; peraltro, egli esclude di essere un apologeta del pauperismo e di voler «ridurre le nazioni alla sordidezza o all’inerzia» (p. 232).
Il superfluo può esistere in quanto nella società ci sono persone con maggiore disponibilità di mezzi – presumibilmente i lavoratori primari – che hanno abitudini di consumo più sofisticate. Ciò ha come conseguenza la loro ricerca di professionalità e abilità in grado di soddisfare le esigenze di fasto, grazie alle quali una parte dei disoccupati attivi ottiene i mezzi per disporre dei beni che servono loro per vivere «degnamente».
Per quelli che non hanno comunque la possibilità di guadagnare il bisognevole con il proprio lavoro Ortes, in base alla sua indagine, indica un’altra possibilità; in molte situazioni interviene, infatti, il senso di solidarietà, sia all’interno sia all’esterno della famiglia, dovuto al sentimento religioso, che egli concepisce come realtà intrinseca della natura umana.
Al riguardo descrive l’istituzione dei fidecommessi, ricostruendo la genesi storica e la situazione alla sua epoca di tale elemento costitutivo del sistema sociale veneto. Detta istituzione si avvaleva dei beni – generalmente appezzamenti di terra – affidati a «luoghi pii, ne’ quali i poveri d’ogni specie» erano «accolti e sovvenuti pur senza interesse e senza perciò perdere la naturale libertà». Aggiunge Ortes che ai suoi tempi nelle nazioni cattoliche esistevano: «più spedali possessori di beni fidecommessi ne’ quali i poveri […] cresciuti [nel caso di bambini abbandonati] o risanati n’escono liberi»; egli ricorda anche le «società fraterne per poveri posseditrici anch’esse di fidecommessi, per le quali que’ miseri [i non occupati] son sovvenuti senza esser avviliti o astretti a occuparsi per li più ricchi» (Dei fidecommessi a famiglie e a chiese e luoghi pii [1784] in Scrittori classici italiani, a cura di P. Custodi, parte moderna, t. 27, rist. anast. 1968, pp. 142-45).
Le iniziative di solidarietà, in conclusione, contribuivano a migliorare gli effetti della distribuzione non congrua del bisognevole, attenuando squilibri patologici per l’ordine sociale.
Ortes ha sviluppato il suo lavoro per denunciare gli effetti deleteri della concentrazione dei beni della nazione nelle mani di minoranze, con conseguente sofferenza di coloro i quali, non ottenendo risorse sufficienti, cadono nella povertà.
Nel pensiero dello studioso veneto è necessario che tutti i cittadini dispongano del proprio «bisognevole», non limitato a «pochi prodotti e poche qualificazioni ad essi aggiunte» di cui gli uomini riescono comunque a sopravvivere «come se ne vedon moltissimi […] nelle nazioni» (Della economia nazionale, in Scrittori classici italiani, cit., t. 22, p. 28).
In vista di ciò, egli affronta un compito molto impegnativo nella situazione in cui non esistevano rilevazioni statistiche ufficiali riguardo sia alla popolazione sia agli aggregati economici. Innanzitutto Ortes definisce e calcola il bisognevole identificando tipologie e quantità dei beni necessari al benessere della popolazione, in materia di alimentazione, vestiario e alloggio. Scegliendo questa via egli non si distacca dalla concezione diffusa, a quei tempi, che faceva in genere riferimento alle tre categorie di consumi suddette, ma arriva a proporre un metodo di stima dei beni «più diligente e più esatto degli usati finora» (Della economia nazionale, in Scrittori classici italiani, cit., t. 21, pp. 181-83).
A tal fine nei dieci anni dedicati alla sua indagine, Ortes si consultò con esperti in vari campi: da quello medico a quello agronomico, coinvolgendo anche operatori nei diversi settori produttivi. Con l’aiuto di questi collaboratori cercò di raccogliere i dati statistici a lui necessari con grande scrupolo e attenzione, come risulta dalla lettera a Petronio Matteucci del 15 maggio 1762, nella quale scrive:
Per verificare alcuni computi di economia politica mi premono le notizie delle quali vi prego nel foglio a questo annesso e le quali riguardano le produzioni delle terre a codeste vostre parti, ch’io desidero confrontare con altre simili di altre terre d’Italia. Le notizie mi premono esatte, di quella esattezza che è possibile, conoscendo che una precisione precisa non è sperabile. Debbono ancora riguardare una certa misura mezzana, tolta nel corso di più anni, e nell’estensione di più qualità di terre; per la qual cosa tanto è più necessario indirizzarsi per esse a persone capaci di discrezione e di giudicio (cit. in Farina 2007, p. 81).
In conclusione, Ortes si poneva come obiettivo di calcolare:
1. la quantità e la qualità dei beni necessari in riferimento ad alimentazione, vestiario, alloggio, perché la popolazione del Veneto potesse vivere dignitosamente;
2. l’estensione dei terreni dai quali ottenere i prodotti vegetali e animali utili ai fini di cui al punto precedente;
3. gli occupati richiesti per la produzione dei beni di cui sopra, distinti, raggruppando le diverse professioni, nelle quattro classi: agricoltori, artefici, dispensatori, amministratori.
Ortes, sulla base degli studi sviluppati e delle informazioni raccolte presso esperti, fissa i consumi pro capite dei beni di origine vegetale e animale da parte della popolazione, tenendo conto, nel dosaggio dei consumi stessi, dell’età e del sesso dei cittadini.
Le quantità fissate in materia di alimentazione e di abbigliamento vengono da lui moltiplicate per il corrispondente numero degli abitanti determinando i consumi complessivi. Riguardo agli alloggi, al mobilio e alle suppellettili, Ortes considera che per i 3.000.000 di abitanti erano sufficienti 600.000 abitazioni la cui durata presunta era 120 anni. Di conseguenza, egli procede a calcolare i materiali metallo, legna ecc., necessari per ricostruire ogni anno 5000 abitazioni di «mezzana consistenza» (Della economia nazionale, cit., pp. 135-50).
Ortes procede, successivamente, a stimare i terreni e gli occupati di cui ai punti 2) e 3) utilizzando misure assimilabili ai coefficienti tecnici, cioè rapporti tra le risorse da impiegare nella produzione e il prodotto che si deve ottenere per ciascun elemento del bisognevole bene (Della economia nazionale, cit., pp. 180-256). La massa di beni, calcolata come descritto minuziosamente da Ortes, appartiene all’«universale», cioè al complesso di tutti i cittadini e, nell’ambito delle ipotesi fatte – popolazione invariata, paniere di merci definito e così via – è determinata e non modificabile. Quindi, i consumatori possono avere la disponibilità del bisognevole, cui si aggiungono i beni che soddisfano domande particolari, cioè il «superfluo», ritenuto dai più ricchi necessario al loro stile di vita.
Poiché il bisognevole è per definizione sufficiente a soddisfare i bisogni che sono stati concepiti come primari, occorre che sia ripartito in modo da evitare riduzioni nelle quantità che pervengono ad alcuni cittadini o, addirittura, il loro azzeramento.
L’economista veneziano considera produzione e distribuzione del bisognevole, dovendo questo collocarsi in rapporto costante con la popolazione, come due facce di una stessa medaglia. Per lui non è sufficiente limitare le misure alla quantità di prodotto e al suo incremento nel tempo, ma occorre verificare la compatibilità quantitativa e qualitativa di tale prodotto con le esigenze – il bisognevole cioè – dei cittadini e arrivare alla distribuzione congrua dello stesso; al bisognevole si aggiunge, naturalmente, tutto il superfluo che il mercato richiede.
Sul lavoro di Ortes vi furono in taluni casi giudizi molto duri. Per es., Francesco Ferrara scrisse:
Certamente l’Economia Nazionale è un sistema e se non fosse dedotto da un principio evidentemente falso, potrebbe conferire all’Autore tutto il merito di aver fondato e creato di pianta la scienza economica. La base di tutto il suo edifizio fu questa: tutti i beni che occorrono ad una popolazione sono sempre in una somma determinata, né più né meno, proporzionata soltanto al numero degli uomini che la compongono (Prefazioni alla Biblioteca dell’economista, 2° vol., parte prima, 1955, p. 243).
Per Luigi Cossa «il suo [di Ortes] sistema parte da un principio evidentemente falso, che considera la ricchezza dei diversi popoli proporzionalmente legata al numero degli abitanti» (Introduzione allo studio dell’economia politica, 1892; trad. fr. Histoire des doctrines économiques, 1899, p. 302). Gianfranco Torcellan, a sua volta, parla di un «principio falso e insostenibile, secondo il quale la somma delle ricchezze di una nazione è costante e fissa, ed in misura proporzionale al numero dei suoi abitanti» (1963, p. 755).
Senza entrare nel merito dei pareri espressi sull’opera dell’economista veneziano, è opportuno ribadire che egli nel parlare di «beni della nazione da misurare» si riferisce ai beni che giudica necessari ai cittadini per «bastantemente, comodamente e piacevolmente sussistere» (Discorso sulla economia nazionale, cit., p. 153).
Ortes ribadisce di far riferimento, quindi, non all’intera ricchezza del Paese o ai consumi totali, ma solo a un paniere di merci in grado di soddisfare le esigenze di consumo necessarie per una vita dignitosa, secondo il parere di esperti in vari campi. Si tratta di un insieme di merci variabile nel tempo e nello spazio in funzione dei gusti, dei mezzi e delle necessità dei cittadini, dell’evoluzione tecnologica ecc.; tali fattori, infatti, possono mutare le «comuni ricerche» e i «comuni bisogni della popolazione» (Erba 2011, pp. 73-76).
Da quanto detto appare chiaro che se Ortes è guardingo nei confronti delle forme di sviluppo economico che non diminuiscono o, peggio, possono aumentare la sperequazione sociale, non è certamente contrario alla crescita dei «beni reali». È per lui fondamentale però che la ricchezza «viva» prodotta ogni anno, garantisca a tutti i cittadini quei beni che ogni uomo, creato da «Dio sapientissimo», merita di avere a disposizione come suo «bisognevole».
Certamente Ortes ha proposto uno schema di analisi per migliorare la condizione degli uomini, basandolo su metodologie efficaci. Non a caso egli sperimentò anche un metodo per accertare eventuali carenze nella disponibilità del bisognevole. Allo scopo, confrontò i dati da lui ottenuti sugli occupati necessari per produrre il bisognevole del Veneto, con una stima dell’occupazione effettiva, valutata sulla base di un’indagine ‘campionaria’ considerata rappresentativa (Erba 2011, pp. 79-80). Il confronto – che Ortes stesso giudicò non significativo per la bassa qualità dei dati – denotava comunque la presenza nel Veneto di un numero di occupati inferiore a quello considerato necessario per la produzione del bisognevole. Il criterio proposto da Ortes, basato sulla comparazione tra la struttura occupazionale ottimale ai fini del benessere sociale e la struttura accertata con dati campionari, aveva comunque una valida base logica. In effetti, l’opera di Ortes è caratterizzata da apporti significativi al problema di definire sul piano teorico le grandezze macroeconomiche in termini compatibili con la rilevazione statistica delle stesse grandezze. In questa ottica egli è da considerare anticipatore della moderna analisi economica impostata su dati della contabilità nazionale coerenti con la teoria.
Resta perciò difficile condividere il giudizio di chi ha sostenuto che l’opera di Ortes «si trova fuori dalla strada principale dello sviluppo dell’economia» (Schumpeter 1954; 1° vol., trad. it. 1959, p. 216).
La maggior parte delle opere di Ortes è pubblicata in Scrittori classici italiani di economia politica, a cura di P. Custodi, parte moderna, tt. 21-27, Milano 1804 (rist. anast. Roma 1966-1968). In particolare si vedano:
Della economia nazionale (1774), tt. 21-22, Roma 1966.
Lettere in proposito del suo libro della Economia nazionale (1778), t. 23, Roma 1966.
Riflessioni sulla popolazione delle nazioni in rapporto all’Economia nazionale (1790), t. 24, Roma 1966.
Delle scienze utili e delle dilettevoli per rapporto alla felicità umana (1785), t. 24, Roma 1966.
Calcolo sopra il valore delle opinioni e sopra i piaceri e i dolori della vita umana (1757), t. 24, Roma 1966.
Lettere al conte Francesco Algarotti e al suo uditore Michele Ciani(1747-1786), t. 24, Roma 1966.
Errori popolari intorno all’Economia nazionale (1771), t. 25, Roma 1966.
Lettere sulla religione e sul governo de’ popoli (1780), t. 25, Roma 1966.
Dei fidecommessi a famiglie e a chiese e luoghi pii (1784), t. 27, Roma 1968.
Si possono inoltre consultare:
Calcolo sopra la verità dell’istoria e altri scritti (1815), a cura di B. Anglani, Genova 1984.
Delle diverse costituzioni nazionali, a cura di M. Bazzoli, Milano 2006.
E. Cannan, Rassegna della teoria economica, in Nuova collana di economisti stranieri e italiani, diretta da G. Bottai, C. Arena, 1° vol., Storia delle teorie, Torino 1932, pp. 1-397.
J.A. Schumpeter, History of economic analysis, ed. E. Boody Schumpeter, New-York-London 1954 (trad. it. in 3 voll., Torino 1959-1960).
G. Torcellan, Un economista settecentesco: Giammaria Ortes, «Rivista storica italiana», 1963, pp. 728-77.
P. Custodi, Notizie di Giammaria Ortes, in Scrittori classici italiani di economia politica, a cura di P. Custodi, parte moderna, t. 21, rist. anast. Roma 1966, pp. V-XL.
O. Nuccio, Appendice di analisi del pensiero e bibliografia di Giammaria Ortes, in Scrittori classici italiani di economia politica, a cura di P. Custodi, parte moderna, t. 27, Roma 1968, pp. I-LXIV.
A. Brewer, The concept of growth in eigteenth-century economics, «History of political economy», 1995, 27, pp. 609-38.
G. Alvaro, A. Erba, Divisione sociale del lavoro e ruolo dei servizi: il dibattito nel tempo, Roma 1998, passim.
R. Faucci, L’economia politica in Italia. Dal Cinquecento ai nostri giorni, Torino 2000.
T. Maccabelli, E. Morato, Il ‘bisognevole’ e il ‘superfluo’: occupazioni e distribuzione della ricchezza in Gianmaria Ortes, «Quaderni storici», 2000, 3, pp. 731-66.
P. Farina, Il disincanto della scienza. Giammaria Ortes (1713-1790), Venezia 2007.
A. Erba, Economic structure and national accounting: G. Ortes contribution to economic science, «History of economic ideas», 2011, 1, pp. 55-84.