Baglioni, Giampaolo
Nacque a Perugia da Rodolfo e da Francesca di Simonetto da Castel San Pietro, intorno al 1470. Sposò nel 1490 Ippolita Conti, di aristocratica famiglia romana, e ne ebbe nel 1491 Malatesta e nel 1493 Orazio. Seguendo la tradizione familiare, fu condottiero di ventura e militò per vari anni, a partire dal 1493, al servizio dei fiorentini, durante la campagna contro Montepulciano (datosi alla signoria di Siena) e quella contro i Veneziani e i Pisani del 1498. Partecipò attivamente alle contese che agitavano Perugia e l’Umbria: nel 1492 fu a Perugia in una commissione preposta al controllo politico dei giudizi civili e penali; nel 1494 combatté a Todi in favore della fazione degli Atti contro i chiaravallesi; nella primavera dell’anno successivo conquistò il castello di Passignano, tenuto dai fuorusciti perugini della fazione degli Oddi; nella primavera del 1497 prese parte a una spedizione contro i conti di Sterpeto, quindi fu ancora nel territorio di Todi contro i chiaravallesi.
Dalla strage dei suoi fratelli e cugini, organizzata il 14 luglio 1500 da Carlo e Grifonetto Baglioni e da Girolamo della Penna, riuscì a scampare grazie all’aiuto di alcuni scolari dello Studio perugino, che lo nascosero e lo fecero fuggire travestito dalla città.
Raggiunse a Marsciano Vitellozzo Vitelli e ne ottenne le milizie necessarie per recuperare Perugia, dove compì crudeli rappresaglie contro i partigiani dei congiurati, disciolse il supremo magistrato cittadino dei Dieci dell’arbitrio e assunse il potere insieme con il padre Rodolfo e il cugino Adriano. In effetti il governo della città fu esercitato da Adriano, poiché negli anni successivi B. fu impegnato nella lotta contro i fuorusciti perugini o nella milizia di ventura, con la quale cercava di inserirsi in un sistema di alleanze che garantisse alla sua famiglia il dominio effettivo di Perugia, pur nella nominale dipendenza dalla Santa Sede.
Postosi nel 1500 al servizio di Alessandro VI, B. fiancheggiò Cesare Borgia nella lotta contro i Colonna e i loro partigiani: insieme con Paolo Orsini e con Vitellozzo Vitelli espugnò Acquapendente, dove si era rifugiato Altobello Canale, capo della fazione dei chiaravallesi di Todi sostenuti dai Colonna; qui B. tentò invano di impedire che le truppe si abbandonassero a un feroce saccheggio, conclusosi addirittura con un episodio di cannibalismo. Marciò contro Viterbo donde scacciò la sua stessa sorella Ippolita, vedova di Giovanni Gatti, sostenuta nel governo dalla fazione ‘ghibellina’. Fu successivamente con il Valentino all’assedio di Faenza, ma se ne allontanò nel dicembre del 1500 per tagliare la strada di Foligno e Perugia alle schiere di fuorusciti radunati a Urbino da Carlo Baglioni e da Girolamo della Penna. Sconfitta a Cortona anche la fazione degli Oddi, ritornò nel 1501 agli ordini del Valentino, partecipando alla spedizione contro il signore di Piombino Giacomo Appiano; con Paolo Orsini si impadronì poi di Rieti e di Castel di Pietro e costrinse Terni alla pace con Spoleto.
Chiamato in Toscana da Piero de’ Medici e da Pandolfo Petrucci, partecipò ai loro tentativi contro Firenze. Intanto, dopo l’occupazione di Urbino da parte di Cesare Borgia, si rese conto che gli ambiziosi piani del figlio di Alessandro VI non avrebbero risparmiato Perugia. Nel convegno da lui organizzato alla Magione, presso Perugia, il 9 ottobre 1502, riunì Giovanni Battista, Francesco e Paolo Orsini, Antonio da Venafro in rappresentanza di Pandolfo Petrucci, Ermes Bentivoglio, inviato dal signore di Bologna, e Oliverotto da Fermo. Sembrò realizzato un accordo capace di sbarrare la strada a Cesare Borgia, ma già alla fine del mese successivo gli Orsini, Bentivoglio e Petrucci dichiararono nel corso di un nuovo incontro tenutosi a Chianciano di preferire la strada dell’accordo col duca. B., spalleggiato dal solo Vitelli, cercò invano di dissuaderli. Dovette continuare per proprio conto, senz’altro aiuto, la lotta e senza lasciarsi attrarre da alcuna proposta di pace del Borgia.
Sfuggì all’«inganno» di Senigallia del 1° gennaio 1503 (episodio centrale in Principe vii 20-21), ove trovarono la morte Francesco e Paolo Orsini, Vitellozzo e Oliverotto, in quell’agguato che B. aveva chiaramente previsto. Subito dopo, però, abbandonò Perugia, dove la resistenza appariva impossibile, rifugiandosi a Siena, a Lucca, a Pisa e infine a Firenze. Nel settembre del 1503, in seguito alla morte di Alessandro VI, era nuovamente nel territorio perugino: affrontò e sconfisse Muzio Colonna, impedendogli di congiungersi con Carlo Baglioni e con Girolamo della Penna, e poté rientrare nella città. Successivamente, quando il Valentino fuggì da Roma, il B. gli si fece incontro sulla strada di Bracciano, lo sconfisse e lo costrinse a ritornare sui suoi passi.
Assoldato dai francesi e dai fiorentini per la guerra contro gli spagnoli nel Regno di Napoli, B. non volle abbandonare Perugia, timoroso di un possibile ritorno dei fuorusciti o forse perché conduceva frattanto segrete trattative con gli spagnoli attraverso Bartolomeo d’Alviano. Il suo contegno verso i fiorentini divenne sospetto: mentre continuava a dichiararsi a disposizione della Repubblica, adduceva vari pretesti per non mantenere i propri impegni (si veda, per es., LCSG, 3° t., pp. 256, 284 e 315). Invano M. fu inviato presso di lui per convincerlo (LCSG, 4° t., p. 37); in effetti B. tramava ai danni di Firenze, preparando con Pandolfo Petrucci e con Bartolomeo d’Alviano ‒ cognato di B. avendone sposato la sorella Pentasilea ‒ una spedizione contro Pisa. Ma la politica di Giulio II contro le signorie particolari dello Stato della Chiesa indusse B. a ben diverse preoccupazioni. Per assicurarsi contro le drastiche misure che il pontefice meditava nei suoi riguardi, sollecitò la protezione del duca d’Urbino Guidobaldo da Montefeltro e del cardinale Francesco Alidosi. Ottenne così nel 1506 di poter conservare i propri feudi e di continuare a vivere in Perugia, rinunciando a ogni posizione di preminenza: le fortezze perugine vennero occupate dalle milizie della Chiesa; i fuorusciti riammessi in città; i figli di B., Malatesta e Orazio, dati in ostaggio al papa; B. stesso si impegnò a partecipare alla spedizione contro Bologna.
Quando il papa entrò in Perugia il 13 settembre 1506, senza scorta, B. lo accolse con atteggiamento deferente, benché la città fosse piena delle sue truppe e dei suoi partigiani. Gli fu rimproverato da M. (Discorsi I xxvii) di non aver profittato dell’occasione per impadronirsi di chi gli toglieva la signoria, realizzando un’impresa «la cui grandezza avesse superato ogni infamia, ogni pericolo che da quella potesse dipendere». M. era presente alla temeraria impresa di Giulio II, poiché in quel momento si trovava in legazione presso il pontefice. A trattenere B. da un colpo di mano o dalla resistenza armata fu un calcolo politico: egli era allora in una posizione difficile, avendo perduto l’appoggio dei francesi e dei fiorentini, e anzi preoccupato di un loro possibile intervento contro Perugia. Preferì dunque piegarsi momentaneamente, conservando la possibilità di un’azione futura. Riuscì a mantenere negli anni successivi, mentre docilmente rimaneva agli ordini del papa, un’effettiva autorità in Perugia, che i fuorusciti recentemente riammessi in città non poterono sminuire.
Nel 1511, in seguito all’alleanza del pontefice con i veneziani, B. ottenne da Giulio II l’autorizzazione a porsi al servizio della Repubblica che gli affidò ‒ in assenza di Bartolomeo d’Alviano, prigioniero dei francesi ‒ la carica di governatore generale dell’esercito. Caddero in mano di B., tra il 1511 e il 1512, Verona, Vicenza, Brescia e Bergamo, tolte ai francesi e agli imperiali. A Isola della Scala fu sconfitto da Gastone di Foix, ma l’episodio ebbe scarsa importanza militare. Morto Giulio II nel febbraio 1513, B. si affrettò a ritornare a Perugia per riprendere il dominio della città, lasciando per breve tempo come proprio luogotenente presso l’esercito veneziano il figlio maggiore Malatesta. Liberato l’Alviano dai francesi, B. gli cedette il comando e continuò alle sue dipendenze a servire la Repubblica contro gli spagnoli nelle alterne vicende della guerra in Lombardia. Preso prigioniero al principio dell’ottobre 1513 in uno scontro con gli spagnoli, fu liberato nel febbraio dell’anno successivo, riprendendo il suo posto al fianco dell’Alviano.
Scaduto l’impegno con la Repubblica di Venezia nel 1515, B. fu invitato dall’ambasciatore imperiale cardinale di Gurck entrare al servizio di Massimiliano, ma preferì obbedire a Leone X, che gli aveva imposto, come suddito, di ritornare nell’esercito della Chiesa. In premio dell’obbedienza il pontefice concesse nel 1516 al B. e ai figli di lui l’investitura del feudo di Bettona. Nello stesso anno partecipò come consigliere di Lorenzo de’ Medici alla guerra d’Urbino; la lentezza delle operazioni militari fu generalmente attribuita a una mancanza di iniziativa del condottiero perugino, e addirittura si parlò di un suo segreto accordo con Francesco Maria Della Rovere.
Questi sospetti, che pare trovassero credito presso lo stesso Leone X, sembrarono confermati l’anno successivo, quando B., presentatosi Della Rovere dinanzi a Perugia, benché la città fosse in grado di difendersi con successo, indusse i perugini a pagare un pesante tributo. La preoccupazione che un’intesa tra B. e Della Rovere finisse per risolversi a danno di Lorenzo de’ Medici determinò la decisione di Leone X di eliminare il signore di Perugia. Questi, ripetutamente convocato a Roma dal pontefice, avvertì il pericolo, ma dopo molti rinvii, nel marzo del 1520, munito di un salvacondotto del papa e delle più ampie assicurazioni, raggiunse Roma. Non fu neanche ammesso alla presenza del papa: imprigionato in Castel Sant’Angelo, fu decapitato alcuni mesi dopo, la notte dell’11 giugno 1520.
Bibliografia: F. Gregorovius, Geschichte der Stadt Rom in Mittelalter, 4° vol., Dresden 1890 (trad. it. Storia della città di Roma nel Medioevo, 4° vol., Roma-Torino 1902, pp. 125, 127, 348, 355, 366, 389, 516); J. Burckhardt, Die Kultur der Renaissance in Italien. Ein Versuch, Stuttgart 1860 (trad. it. La civiltà del Rinascimento in Italia, Firenze 1921, pp. 33-36); P. Pieri, Il Rinascimento e la crisi militare italiana,Torino 1952, pp. 435, 478, 480, 488, 503-508, 511; F. Guicciardini, Storia d’Italia, a cura di E. Scarano, Torino 1981, passim; B. Varchi, Storia fiorentina, a cura di L. Arbib, Roma 2003 (rist. anast. dell’ed. 1843-1844), passim.