DE DOMINICI, Giampaolo
Nacque a Napoli il 16 genn. 1680, figlio dei pittore Raimondo, meglio conosciuto come il Maltese, e di Camilla Tartaglione; il fratello Bemardo, autore delle Vite de'pittori, scultori ed architetti napoletani, era anch'egli, come il padre, pittore presso la piccola corte dei duchi di Laurenzana.
Attore dotato di particolare estro e di talento notevole, il D. fu uno dei discepoli prediletti dell'abate Andrea Belvedere, della cui compagnia filodrammatica fece parte per lungo tempo. È proprio il fratello Bemardo, nell'opera citata, ad istruirci sui rapporti assai cordiali e di reciproca stima che intercorrevano tra l'abate e il suo allievo, che egli amava singolarmente sì per la sua virtù nelle lettere, nella musica, e nella comica, come per i suoi buoni costumi; e spesse volte soleva dire: un altro Gio: Paolo di tanta abilità non si trova" (IV, Napoli 1846, p. 397).
II D. fu uno dei principali animatori di questa compagnia, che si prefiggeva tra l'altro lo scopo di riportare gli spettacoli a dignità artistica; in nome di un ritomo alla tradizione classica, si rappresentavano pastorali cinquecentesche, commedie e tragedie regolari contemporanee, nonché drammi spagnoli. Tali rappresentazioni erano abitualmente allestite in refettori di monasteri, come quello di Monteoliveto, allo scopo di permettere una grande affluenza di spettatori; tuttavia, dal momento che in tali luoghi era interdetto l'ingresso al pubblico femminile, si preferivano talvolta case private.
Il sodalizio artistico tra il D. ed Andrea Belvedere ebbe termine soltanto con la morte di quest'ultimo, avvenuta a Napoli il 27 giugno 1732. Il D. trovò impiego in un'altra compagnia filodrammatica, quella del barone De Liveri, e, superate le iniziali difficoltà di adattamento, non mancarono le occasioni di mostrare la propria naturale attitudine drammatica. Carlo di Borbone dimostrò una incontestabile benevolenza per il D., comprovata anche dalla pensione che gli accordò, come compenso per le prestazioni da lui rese presso il teatrino di corte. Alla morte del barone De Liveri il D. entrò a far parte di una nuova compagnia filodrammatica, quella facente capo al duca di Maddaloni, Carlo Carafa.
Dotato di una personalità poliedrica, non si limitò tuttavia a dare il suo contributo, sebbene notevole, alla sola recitazione: si guadagnò ampia fama anche in campo musicale sia come abile esecutore sia come compositore.
Nella stagione 1739-40, infatti, ricevette uno stipendio di quarantacinque ducati per suonare nell'orchestra del teatro S. Carlo di Napoli; inoltre, i libretti delle sue opere ci informano che egli fu "virtuoso da camera" di quegli stessi duchi di Laurenzana presso la cui corte risiedeva il fratello Bernardo. Da un punto di vista cronologico, fu uno tra i primi compositori a scrivere opere buffe in dialetto napoletano: purtroppo però, di quella che doveva essere una considerevole produzione, ci sono pervenute tre sole testimonianze.
La prima è una commedia pastorale in due atti, Lisa pontegliosa, su libretto di Aniello Piscopo, allestita al teatro dei Fiorentini nell'inverno 1719, con una dedica a S. E. "Menentissima lo segnore Cardinale Worfango Aniballo de Schrattembach, Prencepe e Vescovo de Ormutz, Duca e Prencepe de lo S.R. 'Mperio, etc., Vicerré e Capitaneo Generale de chisto Regno de Napole". Il librettista, volendo rispondere alle accuse dei suoi denigratori, le prepose il sonetto "Va, jesce, figlia mia, n'avè appaura". La vicenda, ambientata a "le ssirve de Marano, che ssò le cchiù becino a Napole", narra, su uno sfondo pastorale, diverse storie d'amore. Stando alle affermazioni di Michele Scherillo, è questa la prima opera buffa di ambientazione pastorale in cui viene usato il dialetto napoletano. In essa, infatti, al clima arcadicheggiante si fondono gli elementi tipici della tradizionale farsa di costume. Gli ambienti intellettuali napoletani le tributarono un discreto successo, e l'abate Ferdinando Galiani, di questi fattosi portavoce, poté apprezzarne la bellezza, individuando nella grazia una delle doti peculiari del.suo compositore.
Alla Lisa pontegliosa fece seguito Li stravestimiente affortonate. Era anche questa, come la precedente, una commedia in due atti, ma su libretto di F. A. Tullio, e venne rappresentata sempre al teatro dei Fiorentini nel novembre del 1722. La sua stesura, però, può essere fatta risalire con buone probabilità al 1719. Come aveva già fatto in precedenza il Piscopo, anche il Tullio le prepose una dedica assai magniloquente. La trama mostra delle rilevanti analogie con la contemporanea letteratura romanzesca, in cui tanta parte aveva l'espediente dello scambio d'identità tramite il travestimento, in questo caso finalizzato a suscitare l'ilarità del pubblico.
Infine, l'ultima opera di cui Abbiamo notizia, è Lo schiavo p'ammore, che presenta una struttura analoga alle precedenti. Di anonimo librettista, ebbe la sua prima rappresentazione il 10 nov. 1724, ancora una volta al teatro dei Fiorentini. Qualunque fosse la sua vera identità (per alcuni si tratta di A. Palomba), lo sconosciuto autore del libretto prepose al suo lavoro una interessante lettera, che voleva essere a un tempo sia critica al gusto corrente del pubblico e al diffuso malcostume in campo operistico sia una velata dichiarazione di poetica. Egli biasimava quella concezione per la quale un'opera comica doveva essere breve ed avere una trama complicata; inoltre, sempre secondo il suo parere, il recitativo non avrebbe dovuto essere ridotto al minimo per lasciare, di conseguenza, un più ampio spazio all'aria.
In una miscellanea di manoscritti della British Library di Londra è conservata una cantata, per soprano e basso continuo, "Son tradito" di un "Gio. Paolo di Domenico" datata 1706; il catalogo Breitkopf del 1763 offre tre concerti per oboe attribuiti ad un "Dominico" e il Recueil lyrique d'airs choisis des meilleurs musiciens italiens (Paris 1722) contiene un'aria sua.
Il D. morì a Napoli nel 1758.
Bibl.: M. Scherillo, L'opera buffa napoletana durante il '700; storia letteraria, Napoli 1883, pp. 95, 115, 125 ss., 134 ss., 141; Catalogue of manuscript music in the British Museum, II, Secular vocal music, London 1908, p. 506; U. Prota Giurleo, Nicola Logroscino, il dio dell'opera buffa (la vita e le opere), Napoli 1927, pp. 51 s.; Id., Il teatro di corte del palazzo reale di Napoli, Napoli 1952, p. 95; The Breitkopf Thematic Catalogue, New York 1966, p. 107; B. Croce, I teatri di Napoli, Napoli 1968, pp. 204, 224, 242, 266, 293, 348; V. Viviani, Storia del teatro napoletano, Napoli 1969, pp. 277 ss., 317 ss.; F. Degrada, L'opera napoletana, in Storia dell'opera, Forino 1977, p. 287; Id., Origini e sviluppi dell'opera comica napoletana, in Venezia e il melodramma nel '700, a cura di F. T. Muraro, Firenze 1978, pp. 156 ss.; Enc. dello Spett., IV,col. 314; II, coll. 220 s., sub voce Belvedere, Andrea; VIII, col. 191, sub voce Piscopo, Aniello; The New Grove Dictionary of Music and Musicians, V, p. 532; U. Manferrari, Diz. univ. delle opere melodrammatiche, I,Firenze 1954, p. 316.