FERRARIS, Giampietro
Nacque a Pavia intorno al 1364 da Agostino, appartenente ad una famiglia di giuristi: sia il padre sia lo zio paterno Avogario erano professori di diritto (Forma libelli pro hereditate..., Dominus Franciscus, in Practica iudicialis, Venetiis 1555, f. 434va).
La fonte più ricca sulla vita del F. è costituita dall'opera che lo rese celebre, quella Practica iudicialis (detta anche "aurea" o "Papiensis") in cui egli accluse anche tutta una serie di notizie autobiografiche cui attinsero, per ricostruirne la vita, prima il Diplovataccio e poi il Vaccari; quest'ultimo, limitatamente agli anni tra il 1388 e il 1400, poté integrarle con quelle fornite dal Codice diplomatico dell'università di Pavia.
La data di nascita può essere stabilita in base ad una nota dell'ottobre 1414, in cui egli si dichiara cinquantenne (Forma libelli super solutione pedagiorum..., Jacobus de Ferrariis, f.202va); in quanto alla città natale, egli stesso amava ricordare che suo padre era "civis inclytae civitatis Papiae" (Praefatio, f.1ra) e che egli stesso era nato in quella città (Forma responsionis rei conventi, Praescriptionis, f. 87ra; Forma libelli quo agit uxor ad dotem et usumfructum, Dictac dominae Margaritae, f. 237ra). Errò quindi il Diplovataccio, ritenendolo "patria Parmensis" che il F. fosse nativo di Pavia è confermato anche dal fatto che egli fu più volte priore dei Collegio dei giuristi, carica questa cui potevano accedere solo i cittadini nati a Pavia, nel suo distretto o nella sua diocesi.
Non si hanno notizie circa i suoi studi. L'informazione fornita dal Diplovataccio ch'egli fosse stato discepolo di Baldo degli Ubaldi, fondata sull'interpretazione di un passo della Practica (Forma libelli in causa spoliatae possessionis..., Per vestram, f. 354ra), non può essere accettata per evidenti divari cronologici. Infatti si ha la certezza che il F. si laureò prima del 1388, poiché il 12 gennaio di quello stesso anno è presente come esaminatore di un dottorando in diritto civile. Era agli inizi della sua carriera, come testimonia il fatto che in tutti gli esami cui partecipò durante quell'anno il suo nome appare all'ultimo posto tra gli esaminatori. Ciò è confermato anche dalla nota degli onorari dei professori per l'anno 1389, che menziona "D. Petrus de Ferrariis legum doctor deputatus ad legenda iura civilia cum salario quolibet mense L. 8". Questa modica quota iniziale gli venne raddoppiata nel 1391 ed arrivò, gradualmente, a 80 fiorini annui nel 1395. Il 15 febbr. 1391 il F. era priore del Collegio dei giuristi; in tale veste il 1º giugno firmava l'iscrizione commemorativa in onore di s. Caterina, che veniva collocata nella cappella omonima della chiesa di S. Tommaso.
Il F. è menzionato ancora il 5 ag. 1391 come esaminatore: il 18 ottobre era assente da Pavia, e il salario che egli "olim" dottore dello Studio pavese percepiva veniva assegnato a Tadiolo Vimercate. Egli ricorre come priore del Collegio dei giuristi il 18 ott. 1392, e figura nella nota degli onorari dei lettori per l'anno 1393. È priore nell'ottobre 1394 e vicepriore nel 1398. Le ultime tracce della sua attività di professore s'interrompono il 24 febbr. 1400 (sembra infatti azzardato identificarlo con il Iohannes Petrus de Ferrariis indicato tra gli esaminatori di un licenziato in medicina in data 14 marzo 1426).
L'anno 1400 fu segnato da due importanti avvenimenti nella vita del giurista: la nascita, in settembre, del figlio Manfredo e l'inizio dell'elaborazione della Practica, destinata ad utilità del suddetto figlio e a quella comune in particolare dei notai e procuratori pavesi (Praefatio, f. 1va e Forma libelli in causa venditionis, De anno curso, f.279rb). Non per questo la sua vita divenne meno instabile: egli stesso ricorda di aver viaggiato molto (Forma sententiae diffinitivae, Beatissimi Iacobi, f. 163vb), ma non indica la meta dei suoi viaggi. Tra i luoghi da lui menzionati nella Practica si trovano Roma (Forma opponendi contra instrumenta, Aliisque de causis, f. 141vb), Genova, Venezia e Firenze (ibid., Quod negatur, f. 146rb), la Francia e la Germania (Forma inquisitionis, Haec est, f. 450ra). Solo Milano e la Lombardia sono menzionati più spesso (ad esempio: Forma responsionis rei conventi, Non tamen, f. 80ra, Forma libelli spoliatae possessionis, Nobilem, f. 352ra).
I soggiorni del F. sembrano alternarsi soprattutto tra Pavia e Monferrato, alle cui vicende storiche e prassi giudiziaria fa spesso riferimento (Forma libelli in actione reali, Iure dominii vel quasi, f. 18rb, Forma libelli in causa spoliatae possessionis, Ad reintegrandum, f. 355rb), allargando a volte le sue osservazioni all'intero Piemonte (Forma libelli in actione reali, Iure, f. 21rb). Nell'anno 1413 dice di essere vicario generale di Teodoro II marchese di Monferrato e di aver svolto queste funzioni più volte nel passato (Forma libelli contra plures reos debendi, Verulphus, f. 292ra). Nell'ottobre 1414 si trovava a Pontestura in qualità di vicario e consigliere del marchese (Forma libelli super solutione pedagiorum, Iacobus de Ferrariis, f. 202va). Il 1º giugno 1415 maritava sua figlia Elena a Tommaso Bellisoni, un eminente cittadino pavese (Forma libelli, quo agitur ad poenam ex compromisso, Franciscus, f. 190ra).
E questa è l'ultima notizia fornita dalla Practica: il F., secondo il Robolini, sarebbe morto nel 1421.
Oltre a dedicarsi all'insegnamento e all'amministrazione pubblica, il F. si cimentò anche nella legislazione. Egli stesso ci informa di aver redatto, su mandato del marchese Teodoro, il decreto generale delle cause della città di Monferrato (Forma executionis sententiae diffinitivae, Faciendo eum ire et redire, f. 184vb). Ricorda anche di essere stato avvocato in una causa di successione, difendendo gli interessi di un plebeo contro il potente Gasparino dei Visconti (Forma iuramenti testium. Protestante, f. 120va-b), e consulente in un processo riguardante un mulino sul Po asportato dalle acque (Forma libelli in actione confessoria pro servitutibus, Servitus aqueductus, f. 210vb). È presumibile che all'attività di consulente egli si dedicasse piuttosto spesso, anche se l'unico consiglio da lui firmato. finora noto, è quello conservato nel codice Vat. lat. 2660 fol. 279v, riguardante le deposizioni dei testimoni.
Alla sua opera principale, chiamata da lui modestamente "opusculum modemae iudicialis praeticae" (Praefatio, f. 1va), il F. dedicò oltre quindici anni della sua vita, cercando di evitare le inutili sottigliezze e allegazioni tipiche del metodo dialettico che, secondo lui, rendevano il discorso più omato ma nello stesso tempo più difficile e meno efficace (Forma libelli quo agitur in substitutione, Compendiosae, f.424ra). La sua diffidenza nei confronti dei giuristi è dettata anche da riserve d'ordine etico; alla giurisprudenza egli sovrappone la filosofia e lo studio dell'antichità, poiché "qui discunt leges et decretales sunt homines cavillosi, qui autem discunt Tullium et Senecam, sunt homines virtuosi" (Forma iuramenti quod praestatur a parte parti, Terminum assignavit, f. 149ra).
La Practica costituisce una raccolta dei principali tipi di libelli e formule giudiziarie, attinti maggiormente alla prassi forense di Pavia nel periodo al quale risale la compilazione dell'opera: L'autore aggiunge ad ogni formula un ampio commento, nel quale dimostra un'ottima conoscenza dei fatti e delle persone interessate. Tutto ciò è sufficiente ad annullare l'accusa mossa da Bartolomeo Cipolla e contrastata con altri argomenti dal Robolini, che il F. si fosse basato, senza farne menzione, su un'opera analoga composta da Pietro di Monte Miniato o (secondo il Mansi) da un Pietro di Iacopo di Monte Aureliano.
Mentre esamina i vari libelli il F. dedica la sua attenzione oltre che al diritto processuale anche a quello materiale, come la proprietà, le successioni, le obbligazioni. Nella stessa cornice processuale riesce ad inserire una severa critica dei suoi contemporanei, constatando che su mille cittadini, novecento vivono di furti e rapine (Forma inquisitionis, Furto, f. 460rb), deplorando la decadenza dei costumi (Forma libelli pro turbata possessione, Ad cessandum et desistendum, f. 363va), la scarsa preparazione dei giudici e dei pubblici ufficiali (Forma sequestri vel saximenti, Sapiens vir, f. 114ra), le cavillazioni dei causidici, volte soltanto a fomentare le liti (Forma interrogationis fiendae cum reo convento, Summarie et de plano, f. 50vb). Egli non lesina le critiche ai governanti e al clero (per esempio: Forma libelli in actione confessoria pro servitutibus, Plenam et omnimodam, f.213vb-214ra).
La sua opera ebbe un notevole successo. Oltre ai numerosi manoscritti, se ne conoscono venti edizioni solo nel periodo tra il 1472, data approssimativa dell'editioprinceps di Strasburgo, e la fine del sec. XV. Lipen e Fontana registrano persino una traduzione tedesca, stampata a Francoforte nel 1601. Esaminando la diffusione sia dei manoscritti sia degli incunaboli, per i quali grazie all'esistenza di vari cataloghi disponiamo di dati più precisi, si rimane colpiti dal fatto che la maggior parte di essi si trova nelle biblioteche d'Oltralpe, prevalentemente nei paesi di lingua tedesca e perfino in quelli slavi. La rarità di quest'opera in Italia deriva probabilmente dall'intervento delle autorità ecclesiastiche che, in clima controriformista, ne ordinarono la distruzione. A tale richiesta si oppose nel 1559 il Comune di Pavia, e in realtà il veto della Chiesa non impedì la pubblicazione di edizioni successive, anche se mutilate in base alle indicazioni della censura ecclesiastica. Come ultima edizione integra il Robolini indica quella stampata a Venezia nel 1555. Un esemplare di questa edizione, attualmente in possesso della Biblioteca apost. Vaticana (Racc. I.VI.228) reca, appunto, vistose cancellazioni dei testi incriminati.
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