MALIPIERO, Gian Francesco
Nacque a Venezia il 18 marzo 1882, figlio di Luigi (1853-1918) - pianista e direttore d'orchestra, figlio a sua volta di Francesco (1824-87), operista apprezzato da G. Rossini, ma tenuto in scarsa considerazione da Casa Ricordi - e di Emma Balbi. Dopo la separazione dei genitori nel 1893, il M., allora undicenne, seguì il padre tra Trieste, Berlino e Vienna, dove nel 1898 studiò armonia presso il conservatorio, non essendo ammesso, tuttavia, ai corsi di violino che pure studiava da otto anni. Nel giugno 1899 tornò dalla madre a Venezia e intraprese lo studio della composizione al liceo musicale B. Marcello, sotto la guida di M.E. Bossi fino al 1902, quindi sostanzialmente da autodidatta dopo il trasferimento di Bossi al liceo musicale di Bologna.
Al 1902 risalgono le prime letture e trascrizioni - presso la Biblioteca nazionale Marciana di Venezia - dei manoscritti di C. Monteverdi, destinate a lasciare un segno indelebile sulla personalità del M., nonché l'esame di manoscritti di I. Baccusi, G. Nasco, A. Stradella, G. Tartini, B. Galuppi. Nel 1904 si trasferì a Bologna per conseguire il diploma in composizione: come lavoro conclusivo presentò il poema sinfonico Dai "Sepolcri".
Dal 1905 a Venezia (nel 1908 frequentò per un breve periodo le lezioni di M. Bruch a Berlino), avviò un'intensa attività compositiva, improntata ai modelli tardoromantici e aperta all'influsso della musica di C. Debussy, che si esplica in campo sinfonico (una Sinfonia degli eroi nel 1905, una Sinfonia del mare nel 1906, le Sinfonie del silenzio e della morte nel 1908, la prima serie delle Impressioni dal vero nel 1910), pianistico (i Six morceaux del 1905, le Bizzarrie luminose dell'alba, del meriggio e della notte del 1908, i Poemetti lunari del 1910) e operistico. In quest'ultimo ambito intraprese una collaborazione non sempre facile con il triestino Silvio Benco, che fruttò un'opera in tre atti, Elen e Fuldano (1907-09), e s'interruppe dopo l'unica burrascosa rappresentazione di Canossa al teatro Costanzi di Roma (1914).
Nell'ottobre 1910 il M. sposò Maria Rosa, figlia del pittore veneziano Luigi Rosa e visitò per la prima volta Asolo, luogo dal quale rimase affascinato. Grazie all'intervento del pittore M. De Maria ottenne da G. D'Annunzio l'autorizzazione a musicare I sonetti delle fate, che in verità aveva già composto l'anno precedente. Nel 1911 costituì insieme con G. Bastianelli, I. Pizzetti, O. Respighi e R. Bossi una "lega" di giovani compositori con il proposito di creare la nuova musica nazionale fondata sul sinfonismo e affrancata da quella che appariva loro la limitatezza culturale del melodramma.
Intanto la Rivista musicale italiana pubblicò due articoli nei quali il M. andava delineando la propria posizione nei dibattiti nascenti intorno agli indirizzi della nuova musica italiana: Il pregiudizio della melodia (1910) e La sinfonia italiana dell'avvenire (1912). In particolare, il M. condusse una battaglia personale contro il cantante (in quanto elemento del sistema produttivo dell'opera italiana responsabile dell'enfasi della vocalità) e contro la teatralità, invocando assoluta libertà dalle convenzioni, in vista della piena "compensazione estetica di musica e poesia" (Del dramma musicale italiano e dei suoi pregiudizi, in Musica, VII [1913], 23, p. 1).
Nel 1912 sottopose cinque brani, firmati con nomi diversi, al concorso per composizioni orchestrali indetto dall'Accademia di S. Cecilia di Roma e risultò vincitore di ben quattro premi (tra i lavori vittoriosi anche le Impressioni dal vero e la Sinfonia del mare). Trascorse i primi sei mesi del 1913 a Parigi, per incontrare D'Annunzio e ottenere il permesso di mettere in musica il Sogno d'un tramonto d'autunno. La lunga e infruttuosa attesa di un colloquio col poeta - il quale all'insaputa del M. aveva già concesso i diritti a un altro compositore - favorì la conoscenza di A. Casella, all'epoca residente nella capitale francese, e i contatti con il mondo musicale europeo. Durante il soggiorno parigino ebbe occasione di assistere alla prima esecuzione del Sacre du printemps di I. Stravinskij (29 maggio), evento che lo scosse e lo indusse a ripudiare quasi tutte le opere composte fino a quel momento. Nel 1914 Bastianelli e Pizzetti pubblicarono due composizioni del M. (il Canto notturno per violino e pianoforte e le Tre poesie per canto e pianoforte) in Dissonanza, effimera raccolta di composizioni italiane moderne, incluse nella biblioteca de La Voce.
Nel febbraio dello stesso anno esordì a Parigi in un concerto di opere di giovani autori italiani, organizzato da Casella, con l'esecuzione parziale dei dannunziani Sonetti delle fate. Tuttavia, i lavori del periodo successivo risultano ancora tappe intermedie nella formazione della personalità del M., che si snoda tra altri tentativi teatrali falliti - come l'opera in quattro atti Lancelotto del lago - e migliori risultati in ambito pianistico (Preludi autunnali del 1914, Poemi asolani del 1916, Barlumi del 1917) e sinfonico (la seconda serie delle Impressioni dal vero del 1915, il Ditirambo tragico del 1917). Soltanto con le Pause del silenzio del 1917 - una delle pagine malipieriane più cupe e drammatiche - prende forma il procedimento costruttivo a sezioni autonome, ma concatenate, che tanta parte ha nelle determinazione dello stile del M. degli anni Venti.
Il periodo bellico lasciò segni profondi nella vita e nella musica del M.: nel 1916 la moglie divenne la compagna di Alessandro De Stefani, l'autore del libretto di Lancelotto del lago; nel 1917, in seguito alla disfatta di Caporetto, il M. fu costretto a trasferirsi a Roma e a imporre una battuta d'arresto al progetto di edizione dei classici della musica italiana, al quale si stava dedicando con impegno e per il quale D'Annunzio - ispiratore e collaboratore partecipe delle imprese antiquarie malipieriane - aveva già steso la prefazione. Nella capitale intensificò i rapporti con Casella, che nel frattempo era rientrato stabilmente in Italia e aveva dato vita alla Società italiana di musica moderna e alla connessa rivista Ars nova, che ospitò interventi dello stesso M.; inoltre, fece esperienze in ambiti spettacolari modernisti, con la collaborazione nel 1918 ai Balli plastici delle marionette futuriste di F. Depero (Grottesco per piccola orchestra) e quella del 1920 con il Teatro del colore di A. Ricciardi (Oriente immaginario, tre studi per piccola orchestra, impiegati come musiche di scena per Lo schiavo dello stesso Ricciardi e Salomè di O. Wilde).
In particolare, con il dramma sinfonico Pantea (un atto per una danzatrice solista, voci fuori scena e orchestra, 1917-19) e l'azione coreografica La mascherata delle principesse prigioniere (1919) il M. utilizza il genere del balletto per concretizzare la propria polemica contro il cantante-personaggio. Nel frattempo i presupposti delle Pause del silenzio si traducono nelle espressioni drammatiche delle Sette canzoni (1919): il libretto, realizzato dal musicista, privo di parti dialogiche, si configura come assemblaggio di frammenti lirici d'epoca medioevale e rinascimentale, finalizzati all'intonazione sotto forma di canzone, sovente di fattura arcaicizzante; l'insieme si distingue per la costruzione a quadri sintetici, indipendenti l'uno dall'altro (il montaggio "a pannelli" indipendenti, collegati da interludi sinfonici che fungono da cornici strutturali e da trama sonora dell'azione pantomimica, diventa un caposaldo della drammaturgia malipieriana), e per il procedimento narrativo frammentario e paradossale. Ne risulta un'idea originale di teatro, basato non sull'integrazione, bensì sulla concorrenza funzionale delle componenti verbali, musicali e sceniche.
Nel 1919 diede i primi frutti editoriali anche la passione musicologica del M., con la pubblicazione di opere di G.B. Bassani, E. de' Cavalieri (Rappresentazione di anima e di corpo), B. Galuppi, N. Jommelli e G. Tartini nella raccolta "I classici della musica italiana", diretta da D'Annunzio e coordinata da C. Perinello, Pizzetti e F.B. Pratella, oltre che dallo stesso Malipiero. Ma è soprattutto lo scandalo suscitato dalla messa in scena delle Sette canzoni a Parigi il 10 luglio 1920 a consacrare la fama internazionale del M., propiziata anche dalle prime critiche importanti firmate da G.M. Gatti e da H. Prunières. Il 1920 fu un anno di alta produttività, a partire dal teatro, che diventò lo snodo principale della poetica malipieriana: Orfeo è seguito dalle Sette canzoni (nel 1922 l'opera verrà trasformata in trittico - l'Orfeide - con l'aggiunta del prologo La morte delle maschere), mentre Le baruffe chiozzotte avviano una bizzarra interpretazione del teatro di C. Goldoni, che poco dopo si completerà nelle Tre commedie goldoniane con l'aggiunta di La bottega del caffè e di Sior Todero brontolon. Il metodo compositivo "a canzoni" è applicato inoltre nelle Tre poesie di Angelo Poliziano per canto e pianoforte (premessa di una serie di brani che nascono direttamente dall'antica poesia italiana, come i Quattro sonetti del Burchiello del 1921, i Due sonetti del Berni e le Stagioni italiche del 1922) e ha una traduzione strumentale nella conformazione fantasiosa, a brevi pannelli privi di relazioni tematiche, del quartetto d'archi Rispetti e strambotti (a sua volta riproposta in Stornelli e ballate del 1923 e nella Sonata a tre per violino, violoncello e pianoforte del 1927). Sempre nel 1920 il M. pubblicò presso l'editore Zanichelli di Bologna il volume L'orchestra e i libretti delle opere nella raccolta intitolata Teatro. In estate incontrò Stravinskij in Svizzera. Nel 1921 si trasferì a Parma, dove fu incaricato dell'insegnamento di composizione al conservatorio.
In dicembre pubblicò un articolo polemico nella rivista Il Pianoforte (I conservatori) che suscitò una reazione risentita da parte di Pizzetti (L'infezione musicale ottocentesca), a sua volta seguita da una serie di repliche che aprirono una lunga fase di ostilità reciproca e il prodursi di una spaccatura significativa fra esponenti di punta del rinnovamento musicale italiano del primo Novecento.
Nell'aprile 1922 il M. sposò Anna Wright (la prima moglie era defunta l'anno precedente), con la quale dal 1923 fissò la residenza ad Asolo. Nel medesimo anno fondò con Casella e D'Annunzio un'associazione per la diffusione in Italia di musiche nuove, la Corporazione delle nuove musiche, subito affiliata alla Società internazionale di musica contemporanea. Nel 1924, a seguito del trasferimento dal conservatorio di Parma a quello di Firenze diretto da Pizzetti, si dimise dall'insegnamento. Pubblicò I profeti di Babilonia, una raccolta di scritti di poetica, critica e satira dell'opera settecentesca, primo prodotto letterario della curiosità antiquaria del Malipiero. Nel 1926 ebbe inizio la pubblicazione di Tutte le opere di C. Monteverdi, per cura del M., con i primi due libri di madrigali (ma l'edizione dell'Orfeo del 1923 ne era già stata la premessa); dal terzo volume l'impresa editoriale, che si sarebbe interrotta con il quattordicesimo nel 1932, fu posta sotto il patrocinio di D'Annunzio.
Dalla seconda metà degli anni Venti opere teatrali e musiche del M. furono presentate in prima esecuzione in vari centri in Europa e negli Stati Uniti, dove vennero accolte come esempi di avanguardia moderata. Nel 1926 le Tre commedie goldoniane furono rappresentate a Darmstadt e i Ricercari per undici strumenti vennero eseguiti alla Library of Congress di Washington. La seconda parte delle Pause del silenzio fu eseguita a Filadelfia nel 1927. Il dramma musicale Filomela e l'Infatuato andò in scena a Praga nel 1928. La Cena per soli, coro e orchestra fu eseguita a Rochester nel 1929. Il Torneo notturno fu presentato a Monaco nel 1931 e il trittico de Il mistero di Venezia allestito a Coburgo nel 1932. In Italia, invece, il tonfo rumoroso delle Sette canzoni nella realizzazione romana del 1929 provocò l'intervento difensivo di F.T. Marinetti - che annoverò il M. tra i musicisti futuristi - e la pubblicazione di un pamphlet nel quale si unirono in difesa dell'autore colleghi (F. Alfano, F. Cilea, V. Gui, Pratella) e critici (A. Lualdi, A. Toni).
Nell'aprile 1932 il M. avviò non senza titubanze la collaborazione con L. Pirandello per l'opera La favola del figlio cambiato. Nel 1933 tale collaborazione si estese al film Acciaio, diretto da W. Ruttmann. A partire dal settembre 1932 (e fino al 1940) il M. tenne un corso di perfezionamento di composizione presso il liceo musicale di Venezia: tra gli allievi figurano i nomi di R. Cumar, G. Gorini, il nipote Riccardo, N. Sonzogno, S. Zanon, ma assistettero alle lezioni anche non musicisti come lo scrittore M. Bontempelli.
Nel dicembre del 1932 il M. fu oggetto insieme con Casella di un'aspra critica: le accuse di disprezzo della musica romantica, cerebralità, internazionalismo, furono espresse in un articolo-manifesto pubblicato contemporaneamente dal Corriere della sera e La Stampa e firmato, tra gli altri, da Pizzetti, O. Respighi, R. Zandonai, A. Gasco e Toni. Il contesto italiano si confermò non favorevole al musicista in occasione della messa in scena della Favola al teatro dell'Opera di Roma nel marzo 1934. Alla prima rappresentazione lo spettacolo venne sabotato da un gruppo di contestatori e venne ritirato subito dopo per volere di B. Mussolini. Pirandello interpretò il fatto come offesa personale. Il M. - sempre sospettoso del contributo dei librettisti, dopo le esperienze giovanili - s'interrogò dubbioso circa le imperfezioni drammatiche del testo pirandelliano, dopo di che affrontò una fase nuova del suo teatro, rifugiandosi nei drammi "classici" di W. Shakespeare (Giulio Cesare, 1935, e Antonio e Cleopatra, 1937), Euripide (Ecuba, 1940) e Calderón de la Barca (La vita è sogno, 1941). Inoltre, negli anni Trenta tornò a occuparsi con continuità di musica strumentale, scoprendo la dimensione ludica nei concerti (per orchestra del 1931, per pianoforte e orchestra del 1937, per violoncello e orchestra del 1938), recuperando nervature motiviche e liriche nella nuova serie di sinfonie ("In quattro tempi come le quattro stagioni" del 1933, Elegiaca del 1936), perfino illudendosi di contribuire alla produzione di una musica di regime non banale (Inni per orchestra, 1932).
Nel 1937 il M. e Pizzetti si scambiarono la dedica dei rispettivi De Profundis; quello del M. per voce, viola, gran cassa e pianoforte volle essere "espressione della nostra malinconia e intonato forse per sotterrare le nostre illusioni". Nel 1938 dedicò alla memoria di D'Annunzio da poco scomparso la Missa pro mortuis per baritono, coro e orchestra. Nel stesso anno fu nominato direttore dell'Istituto musicale di Padova, incarico che lasciò l'anno successivo, per assumere la direzione del liceo musicale di Venezia, elevato a conservatorio nel 1940. Nel 1942 portò a compimento l'edizione di tutte le opere di Monteverdi con la pubblicazione degli ultimi due libri di madrigali. In quell'anno La Rassegna musicale di G.M. Gatti celebrò i sessant'anni del musicista con un numero speciale.
Dall'inizio dell'occupazione tedesca del settembre 1943 (che il M. rievoca nel 1945 nella sinfonia n. 3 "Delle campane") non si allontanò da Venezia e da palazzo Pisani, sede del conservatorio, adoprandosi per sottrarre insegnanti e allievi a persecuzioni e chiamate alle armi. Nel volgere rovinoso della fase bellica trovò ispirazione in Virgilio per la "sinfonia eroica" Vergilii Aeneis (1944). Nel dopoguerra il M. visse una sorta di rinascita, caratterizzata da una nuova frenesia della scrittura e della composizione, che perdurò ininterrotta fino al 1971 e che si esplica da una parte in una serie cospicua di scritti musicologici, interventi critici, memorie, annotazioni e dall'altra in una produzione sterminata, ma di valore diseguale. Quest'ultima comprende il proseguimento della serie dei concerti (fra i quali si possono far rientrare anche gli otto Dialoghi per varie configurazioni strumentali scritti nel 1956-57) e delle sinfonie (dalla quarta del 1956 all'undicesima del 1969), vari pezzi per orchestra (fino all'Omaggio a Belmonte, ossia A. Schönberg, del 1971), quartetti per archi (fino all'ottavo del 1964, tutti dedicati alla mecenate statunitense Elizabeth S. Coolidge), pezzi per pianoforte, "rappresentazioni da concerto" (a partire da Magister Iosephus, del 1957, uno fra gli esiti più originali della persistente avversione del M. per i compromessi della spettacolarità), opere teatrali (una dozzina, tra cui Gli eroi di Bonaventura, andata in scena a Milano nel 1969 e considerata dall'autore una sorta di riassunto di tutto il suo teatro).
Tra i fatti biografici più significativi dell'ultimo operosissimo periodo figurano: la direzione a partire dal 1947 dell'Istituto italiano A. Vivaldi e dell'edizione delle opere del maestro veneziano; la nomina nel 1949 a membro del National Institute of arts and letters di New York; l'abbandono nel 1952 della direzione del conservatorio di Venezia per raggiunti limiti di età. Nel 1964 morì la moglie Anna Wright. Nel 1967 si unì a Giulietta Oliveri. Nel 1972, in occasione dell'ottantesimo compleanno, la Fondazione G. Cini di Venezia gli dedicò un convengo di studi.
Il M. morì a Treviso il 1° ag. 1973.
I manoscritti del M. sono conservati a Venezia, nel Fondo Malipiero, presso l'Istituto per la musica della Fondazione G. Cini. Tra i principali editori delle musiche del M. si ricordano: Carisch, Chester, Eulenburg, Ricordi, Senart, Suvini Zerboni, Universal. Per l'elenco completo delle composizioni si rimanda al Catalogo delle opere di Gian Francesco Malipiero, in Omaggio a M., a cura di M. Messinis, Firenze 1977, pp. 175-223.
Scritti principali: L'orchestra, Bologna 1920; I profeti di Babilonia, Milano 1924; C. Monteverdi, ibid. 1929; Strawinsky, Venezia 1945; Antonfrancesco Doni, musico, ibid. 1946; A. Vivaldi, il prete rosso, Milano 1958; Il filo d'Arianna: saggi e fantasie, Torino 1966; Sedici articoli di Malipiero, Appendice, a cura di J.C.G. Waterhouse, in M. scrittura e critica. Atti del Convegno(, Venezia-Asolo( 1982, a cura di M.T. Muraro, Firenze 1984; L'armonioso labirinto. Teatro da musica 1913-1970, a cura di M. Pieri, Venezia 1992.
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