GAMBARA, Gian Galeazzo
, Gian Galeazzo. - Nacque probabilmente a Brescia alla fine del ’400, figlio naturale del conte Maffeo. Con il fratello Gianfrancesco il G. condivise molte esperienze politiche e gestì, per lungo tempo indivisa, l’eredità patema comprendente la rocca e il castello di Pralboino.
Poco sappiamo della sua prima giovinezza. Durante la dominazione francese, apparentemente ancora vicino alla causa francese, fu scelto nel 1509 dalla famiglia per realizzare un importante mercato presso Quinzano, feudo gambaresco. Ciò attirò l’odio degli aristocratici bresciani che, come gli Avogadro, erano contrari al governo francese, da cui invece la famiglia Gambara traeva benefici.
Nel 1511 il G. fu coinvolto in uno scontro armato contro i Martinengo e i Procellaga e nel luglio prese parte al tumulto di piazza del Novarino, degenerato in una rissa tra bresciani e guasconi del capitano P. Terrail signore di Bayard. Assieme con il cugino Federico, allora ancora molto giovane, si lasciò coinvolgere e, spinto dalla soldatesca, si pose in contrasto con i membri della famiglia che ancora rimanevano fedeli alla causa francese. In questo modo probabilmente anticipò il cambio di guardia politica, avvicinandosi al cugino Uberto - il futuro cardinale - e all’Impero. Riconosciuto durante la rissa da un soldato tedesco, fu imprigionato nella fortezza della Garzetta e deferito al tribunale del governatore. Infine fu scagionato e, sebbene proprio poco prima della fine dell’occupazione avesse già tentato, senza riuscirvi, di ottenere da Venezia un salvacondotto per lasciare la città e porsi in salvo insieme con il fratello, dovette fuggire da Brescia. Fu poi in stretto contatto con l’imperatore Massimiliano, presso il quale cercò di perorare la causa della propria città. In seguito, insieme con Uberto, il G. assunse un ruolo sempre più importante a fianco del governatore L. Icardo nella confusa gestione degli affari interni di Brescia.
In questi anni sposò arsa di Tommaso Luzzago, che gli diede sette figli, con i quali diede origine al ramo dei Naturali o dei Cappuccini che si estinse all’inizio dell’Ottocento. Stimatissimo alla corte imperiale, fin dal 1513 il G. ricopri cariche molto importanti: consigliere perpetuo e - il 22 ag. 1513 - commissario imperiale per gli interessi della Lombardia. L’imperatore proponeva a modello l’indiscussa fedeltà del G., da lui creato conte. Di animo ghibellino, consolidò i suoi rapporti con l’imperatore, che alloggiò più volte presso la sua famiglia nel castello di Pralboino, dove i Gambara tenevano una importante stamperia.
Avendo già partecipato attivamente al Consiglio dei sedici, quando il 19 dic. 1514 a Brescia fu ricostituito il Consiglio generale, il G. rientrò tra i 90 prescelti appartenenti alle più importanti famiglie ghibelline della città, posizione da cui manovrò per aprire la strada a Massimiliano. Grazie alla sua influenza e alla posizione raggiunta dalla propria famiglia, operò perché Brescia dimostrasse la propria totale adesione alla causa imperiale, senza tuttavia riuscire a ottenere la conferma degli statuti e dei privilegi della città. Nel 1515 l’imperatore nominò il G. e Uberto suoi rappresentanti a Brescia e nel 1516, all’arrivo dell’imperatore in Lombardia, il G. fu prescelto dal Consiglio cittadino, con il fratello Gianttancesco, C. Martinengo, P. Porcellaga e G. Chizzola, per manifestare la gratitudine dei Bresciani. Tra il 16 e il 17 marzo di quell’anno, volgendo al peggio la guerra, Massimiliano prometteva, senza poi mantenerla, la concessione dei feudi di Pontevico e Lovere. Richiamato a Pontoglio, il G. e Gianfrancesco furono inviati presso Leone X per perorare la causa relativa alla nomina del vescovo di Brescia. Nemmeno questo negozio riuscì e il 26 maggio 1516, in seguito alla caduta della città, pur ottenendo almeno l’onore delle armi, grazie al governatore !cardo, il G. dovette cercare riparo insieme a Gianfrancesco nel Bresciano, aspettando che si calmassero le acque.
In quell’anno il G. ebbe il terzogenito tenuto a battesimo dall’imperatore, in suo onore chiamato Massimiliano, che rimase poi sempre alla corte imperiale e al seguito di Carlo V come paggio e coppiere. Il G. chiese per sé e per il fratello la conferma dei feudi di Pontevico sull’aglio e di Lovere sul lago d’Iseo, ma non ebbe successo. Molto amato da Leone X, che lo accolse come ambasciatore dell’imperatore, svolse, grazie alla sua abilità diplomatica, funzione di collegamento tra il papa e l’Impero. Dall’inizio degli anni ’20 il G. si ritirò dalla vita politica attiva, lasciando il posto a figli e nipoti, nonostante i violenti contrasti nati con il fratello con cui aveva condiviso ogni attività. Da allora si dedicò alle proprie terre, profondamente provate dalle scorribande degli eserciti. Amò le lettere e compose, tra gli altri, un sonetto in memoria di Eleonora d’Este.
Testò il 24 maggio 1528, lasciando eredi i suoi sette figli.
Fonti e Bibl.: Brescia, Bibl. civ. Queriniana, Mss., K.V. 31; Cronache bresciane inedite dei secoli XV-XIX, a cura di P. Guerrini, I, Brescia 1922, ad ind.; O. Rossi, Elogi historici di bresciani illustri, Brescia 1620, pp. 260-263; G.F. Gambara, Gesta de’ Bresciani durante la Lega di Cambrai, Brescia 1820, passim; V. Peroni, Biblioteca bresciana, Bologna 1823, II, pp. 96 s.; C. Passero, Francia, Spagna, Impero a Brescia, Brescia 1958, ad ind.; P. Faita, Verolanova. Memorie, Brescia 1968, ad ind.; F. Lechi, Le dimore bresciane in cinque secoli di itona, Brescia 1973, I, I castelli, ad ind.; Veronica Gambara e la poesia del suo tempo .., Atti del Convegno, Brescia-Correggio ... 1985, a cura di C. Bozzetti - P. Ghibellini - E. Sandal, Firenze 1989, ad indicem.