GIAN GALEAZZO Visconti, duca di Milano
Nacque dalle nozze di Galeazzo II Visconti e di Bianca di Savoia, sorella del Conte Verde, il 16 ottobre 1351, come risulta dalle più recenti indagini. Giovanetto, fu armato cavaliere dall'imperatore Carlo IV, ed ebbe gli elogi di Francesco Petrarca. Nel 1360 fu sposato dal padre a Isabella di Valois, figlia del re di Francia Giovanni II; il matrimonio significava il riconoscimento solenne del mondo politico europeo per questi avventurieri della politica che erano i Visconti. Galeazzo II versò da 400 a 600.000 scudi al re di Francia per avere questo onore; la sposa ebbe in dote la piccola contea di Sommières che cambiò nel 1361 con la contea di Vertus, sì che G. G. portò da allora il titolo di conte di Vertus o di Virtù, come è di solito chiamato dai contemporanei. Da Isabella nacquero nel 1366 Valentina, nel 1369 Azzone e nel 1372 Carlo, ma in questo ultimo anno G. G. perdette la sposa. Verso il 1370 incomincia a comparire nella vita politica della dinastia. Nel 1372 è alla testa dell'esercito inviato alla conquista di Asti e combatte con lo zio Amedeo VI di Savoia, che osa sfidare a singolar tenzone; l'anno seguente combatte animosamente, ma con poca fortuna, a Montechiari di Brescia con l'Acuto, capitano al servizio del papa. Meglio doveva riuscire nella politica; nell'età matura ebbe come il padre ripugnanza all'esercizio delle armi e preferì la vita solitaria, la meditazione, la lettura. Il padre lo dichiarò maggiorenne l'8 gennaio 1375 e gli diede da governare tutte le terre a occidente del Ticino; così si preparò ad assumere il governo dello stato, quando Galeazzo II morì il 4 agosto del 1378. Subì per alcuni anni l'influsso dello zio Bernabò e nel 1380 ne sposò la figlia Caterina. Presto però fu evidente il dissidio fra le due famiglie e G. G. si sentì minacciato dalle ambizioni e dello zio e dei cugini. La divisione dei territorî viscontei, tollerabile finché vi erano stati i due fratelli Bernabò e Galeazzo II non poteva perdurare. La soluzione del conflitto fu imposta con audace e fortunata rapidità da G. G., che il 6 maggio 1385 seppe catturare presso Milano lo zio con due suoi figli, Ludovico e Rodolfo. Bernabò fu chiuso nel castello di Trezzo, sottoposto a spietato processo e poi soppresso con veleno; la sua famiglia fu dispersa. G. G. giustificò il suo operato col dire di aver dovuto premunirsi contro le mene dello zio; ma destò da quel momento l'attenzione diffidente di tutte le potenze confinanti. Dal 1385 i territorî viscontei, riuniti sotto il giovane principe, formarono una potenza militare e politica di prim'ordine nella penisola. Accontentandosi di tenere sotto la sua egemonia gli staterelli vicini, come i marchesati di Saluzzo e di Monferrato e di tenere a bada le due dinastie sabaude, la comitale e la principesca, il conte di Virtù rivolse le sue aspirazioni alla Lombardia orientale e all'Emilia. Pare che già nel 1385 pensasse a ottenere il titolo di re di Lombardia da Urbano VI di cui sposò la causa contro il rivale avignonese. Un'abile diplomazia, sorretta da numerose compagnie di ventura, gli permise di dominare tutti gl'intrighi politici dell'Italia superiore, rompendo le varie coalizioni che successivamente cercarono di fermarlo nell'espansione. L'amicizia di Venezia gli permise di abbattere la signoria Scaligera impadronendosi di Verona e di Vicenza nel 1387; l'anno seguente, isolati diplomaticamente i Carraresi di Padova, senza difficoltà li abbatté e occupò Padova. La maggiore resistenza trovò G. G. nella repubblica di Firenze che cercava di organizzare una lega antiviscontea, sostenendo Bologna minacciata da G. G., appoggiando Francesco da Carrara nella riconquista di Padova, invitando in Italia principi stranieri imparentati con Bernabò Visconti e desiderosi di vendicarlo, quali Stefano di Baviera e Giovanni III d'Armagnac, istigando contro G. G. i conti di Savoia e i re di Francia. Il conte di Virtù che nel 1390 vide, senza potersi opporre, il ristabilimento dei Carraresi in Padova, cercò a sua volta sostegno nelle potenze europee. Diede dapprima la figlia Valentina in sposa a Luigi duca di Touraine e Orléans, fratello del re di Francia, sacrificando come dote la contea di Asti; poi, sebbene aspirasse ad affermare la sua dominazione sulla riviera ligure (già possedeva Carrara e la Lunigiana), dovette rassegnarsi a vedere il passaggio di Savona e di Genova (1396) alla dominazione del re di Francia. Temendo però il peso dell'egemonia francese, G. G., che pure odiava ugualmente Francesi e Tedeschi, non esitò a riaffermare i suoi legami con l'Impero. Nel 1380 aveva già chiesto all'imperatore Venceslao la riconferma del vicariato imperiale concesso al padre e allo zio dall'imperatore Carlo IV; l'11 maggio 1395 ottenne la concessione da Venceslao del titolo di duca di Milano e il 5 settembre assunse solennemente la dignità ducale nella piazza di Sant'Ambrogio; l'anno seguente ottenne nuovi diplomi imperiali per l'organizzazione territoriale del ducato, per la concessione dei titoli di conte d'Anghiera, e di conte di Pavia; il 30 marzo 1397 un ultimo diploma concedette a G. G. il titolo di duca di Lombardia. Così in meno di un secolo la casa viscontea compieva tutto lo sviluppo storico della signoria di stampo comunale; lo stato visconteo acquistava la possibilità di vivere nell'orbita imperiale a titolo di grande feudo principesco. Non erano però soddisfatte tutte le aspirazioni di G. G., che dal dominio della Lombardia era portato ad aspirare al dominio di tutta l'Italia. I poeti, come il Vannozzo, come Saviozzo da Siena, già parlavano del futuro re: "re nostro sacrosanto". La crisi del papato romano e lo stato di guerra esistente nello stato napoletano parevano render possibili i sogni dei cortigiani e adulatori. G. G. doveva però abbattere prima la vecchia nemica Firenze, la quale riuscì a trovare un potente alleato nel nuovo imperatore tedesco Roberto di Baviera, ostile al Visconti, protetto dal suo rivale Venceslao. Le discese in Lombardia di Roberto approdarono solo a una clamorosa sconfitta presso Brescia; Alberico da Barbiano poté sconfiggere nel giugno del 1402 i Bolognesi presso Casalecchio. Occupate Pisa, Perugia, Bologna, già si parlava della necessità per Firenze di non continuare la lotta, riconoscendo il definitivo trionfo del duca di Milano su tutta l'Italia continentale e centrale. Improvvisamente G. G. morì il 3 settembre 1402 a Melegnano. Lo stato visconteo mostrò allora, nell'intima sua debolezza, come G. G. preoccupato dal desiderio e anche dalla necessità di combattere i nemici esterni e di ampliare il dominio, non avesse potuto dedicare molte cure alla costruzione statale. Il suo pensiero di costituire in Italia una grande monarchia analoga a quelle di Francia e delle altre regioni d'Europa, era stato sviluppato solo nelle esteriorità. Il paese italiano era stato sì nel sec. XIV dominato da signorie dinastiche, ma era rimasto nella sua vita sociale ed economica profondamente legato e vincolato alle vecchie tradizioni municipaliste e feudali. Continuando l'opera sviluppata dai suoi predecessori, G. G. molto fece per reprimere le attività disordinate della feudalità, per reprimere i conati comunali; impose severa disciplina, tentò il disarmo della classe feudale, rimaneggiò sistematicamente tutta la legislazione statutaria cercando, come del resto già i predecessori, d'imprimervi il carattere nuovo dell'autorità del principe. Non riuscì però a una unificazione legislativa e neppure alla costituzione di un governo centrale forte e capace d'inquadrare le forze provinciali. Durante la sua vita, il prestigio personale, l'energia dei suoi ministri e capitani supplirono spesso, se pur non sempre, agl'inconvenienti, alle manchevolezze del sistema, se pure di sistema si ha da parlare. Ma dopo la sua scomparsa, di fronte alle necessità politiche, si vide di quanto la magnificenza esteriore fosse andata a discapito della robustezza dell'edificio. Risalta maggiormente la grandezza della personalità dell'uomo: la corte splendida, le grandiose costruzioni iniziate o protette come la certosa di Pavia, il duomo di Milano, l'abbellimento artistico del castello di Pavia, la raccolta di ricca biblioteca, la protezione accordata all'università fondata dal padre in Pavia, la munificenza dimostrata verso artisti e letterati, tutto contribuì a creare a G. G. fama di grande principe e presso i contemporanei e presso i posteri. Alla sua successione aveva provvisto con varî testamenti e codicilli: pel testamento del 1397 eredi furono i due figli nati dalle nozze con la cugina Caterina, Giovanni Maria (nato nel 1388), Filippo Maria (nato nel 1392); a quello fu assegnato il ducato di Milano, a questo la contea di Pavia, all'illegittimo Gabriele Maria la città di Pisa. Così G. G. dimostrava di non avere superato le concezioni famigliari del padre e dello zio.
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