Trissino, Gian Giorgio
Nato a Vicenza l’8 luglio 1478, in un’antica famiglia nobile, studiò il greco a Milano con Demetrio Calcondila. Tale formazione ebbe poi notevole influenza sulla sua produzione poetica: T. è, infatti, il rappresentante più illustre di quella corrente classicistica che guardava più facilmente ai modelli greci che a quelli latini. Fu autore della prima tragedia italiana dichiaratamente esemplata sull’antico dramma greco, la Sofonisba, composta fra il 1512 e il 1515 e pubblicata a Roma nel luglio del 1524. Nella lettera dedicatoria a Leone X T. espone le sue teorie sulla lingua volgare, oltre a rivendicare l’utilizzo del verso sciolto: per produrre nello spettatore quell’«utilitate» e quel «diletto» che, secondo Orazio, sono intrinseci alla poesia, la tragedia deve essere scritta in lingua «italiana». Il volgare è dunque lo strumento attraverso il quale può essere divulgato il genere più nobile dell’antichità; al contempo, l’idioma prescelto risulterà nobilitato dall’impiego fattone nella tragedia.
Con le sue dottrine linguistiche e letterarie, T. attirò l’interesse di un gruppo di patrizi fiorentini, scrittori e attenti osservatori della vita politica della città: Giovanni Rucellai (→), Luigi Alamanni (→), Alessandro Pazzi de’ Medici (1483-1530) e Lodovico Martelli (→) si distinsero, infatti, quali autori di tragedie ellenizzanti (rispettivamente della Rosmunda e dell’Oreste, della traduzione dell’Antigone di Sofocle, della Dido in Cartagine e della Tullia). Il letterato vicentino aveva trascorso alcuni mesi del 1513 nei pressi di Firenze ed era probabilmente entrato in contatto proprio con quel manipolo di colti letterati, assidui frequentatori degli Orti Oricellari, come riferisce Benedetto Varchi nelle sue Lezioni sulla poesia. In quell’autorevole consesso, T. era stato accolto «più tosto come maestro e superiore, che come compagno e uguale» (B. Varchi, Opere, 2° vol., 1859, p. 718); oltre a Zanobi Buondelmonti e a Cosimo Rucellai, alle discussioni poteva essere presente anche un altro, riconosciuto maestro di quei giovani aristocratici: Niccolò Machiavelli. Non è dato sapere se sia avvenuto davvero un incontro fra M. e T.; di certo, proprio un’iniziativa di T. provocò a Firenze reazioni assai forti. Dopo l’elezione del papa Clemente VII nel 1523, il letterato veneto fu richiamato a Roma (dove si era già fermato nel 1514) e vi si trattenne almeno fino al novembre del 1524. Durante quel soggiorno T. aveva probabilmente con sé un manoscritto del De vulgari eloquentia dantesco. In quel trattato, che ricompariva fra le mani di T. dopo secoli di oblio, l’Alighieri esaltava, sulle parlate municipali e regionali, un vulgare latium, illustre e curiale – tesi che il vicentino rileggeva e assumeva in proprio, in opposizione a quanti, all’inizio del Cinquecento, sostenevano il primato del fiorentino (classico-trecentesco per gli uni, ‘vivo’ per gli altri). Sulla scia delle discussioni linguistiche romane, culminate, dopo il settembre del 1524, nella pubblicazione dell’Epistola de le lettere nuovamente aggiunte a la lingua italiana dello stesso T., a Firenze fu probabilmente abbozzato il Discorso o dialogo intorno alla nostra lingua di M. e, successivamente, la Risposta all’epistola redatta da Martelli proprio a seguito della singolare proposta ortografica trissiniana. T., in sostanza, rifiutava il municipalismo fiorentino e parlava di lingua italiana – come si è già visto per la dedica alla Sofonisba – o di lingua cortigiana (mutuato dal dantesco vulgare curiale). Le sue idee sono enunciate nel dialogo Il Castellano, edito nel 1529, anno in cui T. pubblicò anche i Dubbi grammaticali, la Grammatichetta e la traduzione italiana del De vulgari eloquentia. Il Castellano è ambientato a Roma, per l’appunto a Castel S. Angelo: alla presenza muta di Iacopo Sannazaro, si confrontano i fiorentini Giovanni Rucellai (il ‘castellano’, comandante della fortezza) e Filippo Strozzi, entrambi legati a M. e però collocati, rispetto alla questione della lingua, su posizioni opposte. Il primo, infatti, amico personale di T., si faceva portavoce delle teorie dell’autore, qui soprattutto interessato a fronteggiare le polemiche sorte dopo la pubblicazione dell’Epistola, mentre il secondo difendeva la lingua fiorentina.
Sul piano politico, T. fu sempre ‘ghibellino’ (partecipò anche alla solenne incoronazione di Carlo V a Bologna nel 1530) e ostile alla Repubblica di San Marco; subì l’esilio, che lo costrinse a prolungati soggiorni non solo a Firenze, ma anche a Ferrara e a Roma, presso la corte pontificia; dai papi Medici (Leone X e Clemente VII) e poi Farnese (Paolo III) fu incaricato di diverse missioni diplomatiche. Nel 1529 pubblicò le prime quattro Divisioni della Poetica (mentre postume furono le ultime due, stampate nel 1562) e le Rime; si dedicò poi alla stesura di un pletorico poema in endecasillabi sciolti, esemplato sull’Iliade omerica: l’Italia liberata da’ Gothi (stampato fra il 1547 e il 1548), e alla composizione della commedia I Simillimi (1548). Morì a Roma l’8 dicembre 1550.
Bibliografia: Scritti linguistici, a cura di A. Castelvecchi, Roma 1986. Si vedano inoltre: Trattati di poetica e di retorica del Cinquecento, a cura B. Weinberg, 1° e 2° vol., Roma-Bari 1970, rispettivamente pp. 21-158 e pp. 5-90; Trattati sull’ortografia del volgare, 1524-1526, a cura di B. Richardson, Exeter 1984; Teatro del Cinquecento, 1° vol., La tragedia, a cura di R. Cremante, Milano-Napoli 1988, pp. 3-162.
Per gli studi critici si vedano: B. Morsolin, Giangiorgio Trissino. Monografia d’un gentiluomo letterato del XVI secolo, Firenze 1894; C. Dionisotti, Machiavellerie, Torino 1980, pp. 289-90, 295-96; Atti del Convegno di studi su Giangiorgio Trissino, Vicenza 31 marzo-1° aprile 1979, a cura di N. Pozza, Vicenza 1980; C. Marazzini, Le teorie, in Storia della lingua italiana, a cura di L. Serianni, P. Trifone, 1° vol., I luoghi della codificazione, Torino 1993, pp. 252-59; P. Trovato, Il primo Cinquecento, Bologna 1994, pp. 108-21; C. Giovanardi, La teoria cortigiana e il dibattito linguistico nel primo Cinquecento, Roma 1998; C. Gigante, Esperienze di filologia cinquecentesca: Salviati, Mazzoni, Trissino, Costo, Il Bargeo, Tasso, Roma 2003.