BERNINI (Bernino), Gian Lorenzo
Figlio dello scultore fiorentino Pietro e di Angelica Galante, napoletana, nacque a Napoli il 7 dic. 1598.
Il padre si trasferì a Roma nel 1605 o 1606, e sino a pochi anni dopo la morte di lui (1629) il B. visse nella casa paterna. Dal padre, che lavorava il marmo con particolare abilità, egli apprese i primi rudimenti dell'arte e ben presto acquistò la sua stessa perizia tecnica come si può vedere da alcune opere, che sono state eseguite in collaborazione. Secondo alcune fonti (Baldinucci, D. Bernini), egli avrebbe eseguito opere in marmo già a otto anni, e scoperte recenti rendono ciò probabile; il busto di Antonio Coppola (Roma, S. Giovanni dei Fiorentini) è stato eseguito già nel 1612 (conferenza di I. Lavin, Roma 12 genn. 1967; cfr. Life, Jan. 20th 1967, pp. 66-74). La sua personalità artistica si educò allo studio delle opere d'arte nelle collezioni romane - in particolare della statuaria ellenistica e romana del Vaticano, della Villa Borghese e delle pitture delle Stanze - cui si aggiungeva l'esercizio del disegno che per due anni fu quasi quotidiano. Nel periodo in cui il padre lavorava nella cappella Borghese a S. Maria Maggiore il B. venne in contatto con Paolo V e tutta la sua attività posteriore si svolse essenzialmente per commissione dei vari pontefici. Alle opere giovanili per il cardinale Scipione Borghese vanno aggiunti due busti di Paolo V (c. 1618, Roma, Galleria Borghese; l'altro è perduto). Pietro Bernini prese parte alla decorazione della cappella Barberini in S. Andrea della Valle, e per lo stesso patrono, il cardinale Maffeo Barberini, il futuro papa Urbano VIII, il B. scolpì un S. Sebastiano (c. 1617, Lugano, coll. Thyssen Bornemisza). Alla morte di Paolo V (1621) eseguì le statue di terracotta per il suo catafalco ma fu sotto Gregorio XV che egli acquistò una posizione di preminenza nel mondo artistico romano. I ritratti del papa gli valsero la croce del cavalierato di Cristo; sempre nel 1621 i suoi colleghi riconobbero il suo primato eleggendolo principe dell'Accademia di S. Luca. Come altri scultori dell'epoca il B. restaurava marmi antichi: nel 1620 ricevette il pagamento per il materasso squisitamente realistico che scolpì per l'Ermafrodito Borghese (Parigi, Louvre), non prima del 1622, aggiunse alcuni importanti dettagli alla parte inferiore dell'Ares Ludovisi (Roma, Museo delle Terme) e restaurò le parti mancanti del Fauno Barberini (scoperto c. 1625?; Monaco, Antikensammlung). Con le grandi opere scolpite per il cardinale Scipione Borghese dimostrava intanto la perizia raggiunta nei gruppi scultorei: il giovanile Enea e Anchise (1618-19), opera in certo senso ancora sperimentale, a cui seguirono Plutone e Proserpina (1621, donato al card. Ludovico Ludovisi nel 1623), Apollo e Dafne (1622-25) e il David (1623-24), tutti a Roma nella Galleria Borghese. Ma questi successi erano solo il preludio ai trionfi nell'attività da lui svolta al servizio di Urbano VIII del quale era già amico.
Il B. fu probabilmente il primo artista che occupasse nella corte pontificia una posizione del tutto simile e di uguale prestigio a quella dei principi e dei ministri del tempo. Il papa ordinò che gli fosse lasciato libero accesso alle sue stanze e insistette perché rimanessero inalterati i loro antichi rapporti. Giacché Urbano VIII preferiva i Fiorentini, il B. faceva di tutto per essere considerato fiorentino grazie alle origini paterne ("Cav.re Gio. Lorenzo Bernini Napoletano o Fiorentino come egli vuole", Passeri). Ma il favore da lui goduto presso il papa fu dovuto soprattutto alla sua superiorità artistica; dai tempi di Giulio II è questo il massimo esempio di mecenate illuminato che collabori con un artista di genio: si può dire che dall'incoronazione di Urbano VIII il B. dominò la vita artistica romana sia come esecutore sia come imprenditore, posizione questa che tenne, tranne brevi intervalli, sino alla morte.
Al B. furono subito concesse varie sinecure: il 24 ag. 1623 fu nominato commissario e revisore dei condotti delle fontane di piazza Navona, il 1° ottobre fu nominato soprastante alla fonderia di Castel S. Angelo e il 7 ottobre soprintendente dei bottini dell'Acqua Felice. Questi incarichi legati alle acque cittadine, condivisi in parte col padre, dal quale il B. ereditò il 3 sett. 1629 la posizione di architetto dell'Acqua Vergine, lo indussero alla progettazione e costruzione di numerose fontane: la Barcaccia di piazza di Spagna (1627-29), il Tritone (1642-43) e le Api (1644) di piazza Barberini, mentre i suoi progetti per la Fontana di Trevi (1641-42) non furono mai eseguiti.
Urbano VIII, che, nella sua emulazione dei papi del Rinascimento, aspirava a fare del B. un nuovo Michelangelo, gli affidò quindi commissioni anche come architetto e pittore oltre che come decoratore e scultore. Il primo lavoro di architettura fu la ricostruzione di S. Bibiana (1624-26), dove il B. scolpì anche la statua della santa sull'altare. Incaricato della decorazione di S. Pietro, eseguì il suo primo monumento con caratteristiche pienamente barocche: il baldacchino (1624-1633), opera unica nel suo genere eseguita in collaborazione con gli architetti della fabbrica tra i quali era il Borromini. Dopo la morte del Maderno, al principio del 1629, il B. fu nominato architetto di S. Pietro e continuò l'arricchimento della basilica con le nicchie e le statue della crociera (1629-36) e con altri monumenti, attività che proseguì fino alla morte. Fu anche incaricato di completare palazzo Barberini (1629-33), progettò le fortificazioni di Borgo (1630) e nel 1634 costruì la cappella, ovale, del palazzo di Propaganda Fide (distrutta e ricostruita dal Borromini nel 1662). Nel 1637 cominciò ad erigere il campanile meridionale di S. Pietro, abbattuto nel 1646, per l'inattuabilità del progetto, che prevedeva un peso troppo grande per le fondazioni.
Meno importante fu la carriera pittorica del B., anche se, secondo le fonti, per due anni egli si dedicò alla pittura incoraggiato dal pontefice che voleva decorasse la volta della loggia delle benedizioni in S. Pietro: questa commissione, che si sarebbe potuta paragonare al soffitto della Sistina, era già stata affidata al Lanfranco da Paolo V e al Guercino da Gregorio XV, ma mai eseguita. Il B. dipinse alcuni ritratti, autoritratti (Gall. Borghese) e, in competizione con Andrea Sacchi, due Santi (Londra, National Gallery); su suoi disegni Carlo Pellegrini eseguì una pala d'altare con la Conversione di s. Paolo (1635) per la cappella di Propaganda Fide e il Martirio dì s. Maurizio (1636-40; Vaticano, Galleria dei Mosaici).
Durante questo periodo il B. preparava inoltre decorazioni per avvenimenti particolari (canonizzazione di Elisabetta del Portogallo, 1625; di Andrea Corsini, 1629; catafalco per Carlo Barberini, 1630). Il carattere spettacolare di queste opere portò a impegni più specificamente scenografici, come l'apparato decorativo delle Quarantore nella cappella Paolina (1629) o le macchine e altri apparati per le feste del carnevale che il B. eseguì dal 1630 in poi. Cominciò anche ad allestire commedie scritte da lui stesso che, pur fedeli alla tradizione della commedia dell'arte, erano però preparate e provate con grande meticolosità ed erano ricche di effetti scenici sorprendenti che rendevano gli spettatori attori nello stesso tempo. La prima notizia di questi impegni teatrali è in una lettera del rappresentante del duca di Modena a Roma, datata 5 febbr. 1633 (riportata in Fraschetti, 1900, p. 261 nota 1): "Il Cavaliere B. ch'è il più famoso scultore de nostri tempi rappresentò lunedì sera in Compagnia de suoi scolari una Comedia piena di motti frizzanti, e di punture acutissime contro molti di questa Corte, e contra li costumi corrotti del nostro secolo".
Le commedie, destinate a un pubblico ristretto, suggerirono il famoso passo del diario di J. Evelyn (II, 1644, p. 261): "Bernini… ha allestito una rappresentazione per la quale ha dipinto le scene, intagliato le statue, inventato le macchine, composto la musica, scritto la commedia e costruito il teatro". Nel 1637 e 1638 il B. mise in scena una commedia intitolata De' due teatri, nella quale gli attori, con maschere riproducenti le fattezze degli spettatori, davano a costoro l'illusione che ci fosse un'altra platea speculare a quella reale; illusione aumentata dal fatto che due attori recitavano simultaneamente il prologo, uno rivolto al pubblico vero, uno al pubblico finto. In un'altra commedia (prima del 1645) mise in scena un fuoco spaventoso. L'opera sua più famosa, L'inondazione del Tevere (carnevale 1638), ispirata a un'alluvione dell'anno precedente, dava al pubblico l'impressione di esser sul punto di venir sommerso dall'acqua che scorreva sul palcoscenico. A proposito di questa commedia l'ambasciatore del duca'di Modena scrisse che "ci furono tre scene da far stupire tutto l'universo" e che B. "solo sa praticare opere tali e non tanto per la qualità delle macchine, quanto per il modo di far recitare" (Fraschetti, 1900, p. 264 nota 1). Una di queste commedie, pervenutaci frammentaria, è stata pubblicata col titolo La Fontana di Trevi (1643-44; ed. a c. di C. D'Onofrio, Roma 1963); vedi anche C. D'Onofrio, Note berniniane. 1. Un dialogo-recita di G. L. B. e Lelio Guidiccioni, in Palatino, X[1966], 2, pp. 127-134). L'attività dei B. per il teatro Barberini non è documentata ed è quindi in gran parte basata su leggende. L'unica opera per i Barberini conosciuta è un intermezzo, La fiera di Farfa, al Chisoffre speri di Giulio Rospigliosi (il futuro Clemente IX) nel 1639. Lo stesso spirito satirico che si trova nelle commedie, anima le caricature a penna (se ne conservano alcune), comprendenti ritratti di cardinali e perfino di un pontefice, e si ritrova nel busto in marmo di Paolo Giordano II Orsini (c. 1635).
Il B. certamente soddisfece l'ambizione di Urbano VIII di avere al suo servizio un "uomo universale", ma nonostante le sue molteplici attività, le più grandi e durature opere di questo periodo furono quelle di scultura. A parte il baldacchino per il quale gli furono pagati 10.000 scudi, bisogna ricordare la statua gigantesca di S. Longino (modello in scala, 1629; esecuzione 1635-38), la sua opera di pura scultura sino allora più ambiziosa, che faceva parte di un gruppo di quattro statue monumentali per la crociera di S. Pietro tutte eseguite sotto la sua direzione. Nel 1628 iniziò anche la Tomba di Urbano VIII, che fu progettata come pendant alla tomba di Paolo III di Guglielmo della Porta, spostata nell'abside di S. Pietro e perciò un po' modificata. Nel 1632 scolpì il ritratto più suggestivo, il busto del vecchio protettore, il card. Scipione Borghese (Roma, Gall. Borghese).
Nel 1636 il B. si ammalò gravemente; all'incirca in questo periodo, forse un po' prima, egli ebbe una relazione, di cui molto si parlò in giro, con Costanza Bonarelli (Buonarelli), moglie di uno dei suoi assistenti, da lui ritratta per diletto in un indimenticabile busto (Firenze, Accademia). Nel 1639 sposò Caterina Tezio (morta nel 1673), figlia di un avvocato non abbiente che non poté dotarla. Caterina gli diede undici figli, dei quali nove raggiunsero la maturità.
Il B. aveva assunto nel mondo artistico romano un tale predominio che molti artisti anche di talento si trovavano spesso in difficoltà ed in sottordine nei suoi confronti. Tutti si lamentavano che era impossibile lavorare al servizio dei Barberini senza i suoi buoni uffici. Dopo la morte di papa Urbano VIII e l'elezione di Innocenzo X, i Barberini caddero in disgrazia e per breve tempo anche il Bernini. L'abbattimento del campanile di S. Pietro fu facile esca per attacchi da ogni parte, e per la prima (ed unica) volta parve che la sua carriera fosse in pericolo. Per giustificarsi egli iniziò nel 1646 un gruppo rappresentante la Verità scoperta dal Tempo del quale fu scolpita solo la figura della Verità (Roma, Gall. Borghese).
Questo breve periodo di libertà dalle commissioni papali permise al B. tuttavia di corninciare ilcapolavoro della sua maturità: la cappella Cornaro in S. Maria della Vittoria con l'Estasi di s. Teresa (c.1645-1652). Nondimeno egli non avevaperso il suo posto di architetto di S. Pietro e nel 1647-48 eseguì per il giubileo del 1650 le incrostazioni marmoree che decorano la navata: opera colossale nella quale furono impiegati tutti gli scultori di un certo rilievo. Da questo momento tutta la scultura a Roma fu più o meno berniniana: la maggioranza degli scultori di cui conosciamo l'opera collaborò con lui in questo periodo e non ci fu artista che restasse immune dal suo influsso.
Secondo la tradizione la riappacificazione con Innocenzo X avvenne quando, con uno stratagenuna, il papa fu indotto a vedere il modello della fontana dei Quattro fiumi per piazza Navona, che poi il B. eseguì (1648-51) insieme con aiuti. Egli risisternò anche una fontana già esistente nella stessa piazza con la figura di un Moro (1653-55). Anche se durante il pontificato di Innocenzo Xlo scultore preferito fu l'Algardi, il B. scolpì almeno due busti del papa (Roma, Palazzo e Gall. Doria), e la sua attività architettonica continuò a intensificarsi. Oltre ad alcune cappelle (Raimondi in S. Pietro in Montorio, c. 1640; Cornaro in S. Maria della Vittoria), iniziò nel 1650 il palazzo Ludovisi (l'attuale palazzo di Montecitorio, completato da C. Fontana che ebbe aggiunte e rielaborazioni nel corso dei secoli XIX-XX). Sotto Alessandro VII l'artista continuò a dedicarsi sempre più assiduamente all'architettura; il pontefice gli concesse tutta la fiducia che gli aveva dato Urbano VIII e infatti lo nominò architetto di camera oltre che di S. Pietro, e proprio per Alessandro VII il B. disegnò la piazza di S. Pietro (iniziata nel 1657), la Scala regia del Vaticano (1663-66), con la statua equestre di Costantino da collocarsi ai suoi piedi, e la facciata di pal. Chigi-Odescalchi (1664).
In questo stesso periodo le finanze cittadine si andavano però impoverendo e dopo il pontificato di Alessandro VII non fu più possibile continuare con lo stesso ritmo di lavori: un avviso del 1670 parla di una risoluzione delle autorità municipali "contro il Cav.re Bernini istigatore de Pontefici a fare spese inutili nei tempi sì calamitosi…". Le opere che suscitarono tanta indignazione, oltre a quelle già nominate, furono le tre chiese costruite per i Chigi: S. Tommaso di Villanova a Castel Gandolfa (1658-61), Sant'Andrea al Quirinale (1658-70) e S. Maria dell'Assunzione all'Ariccia (1662-64); in quegli stessi anni il B. ideava i suoi grandi progetti decorativi, il più rivoluzionario dei quali fu la cattedra di s. Pietro nell'abside della basilica (1657-66). Continuò inoltre ad abbellire le piazze di Roma, come quella della Minerva con l'obelisco sostenuto dall'elefante (1666-67).
Nel 1665 il B. fu chiamato in Francia, per ricostruire il Louvre, da Luigi XIV, che in realtà desiderava umiliare Alessandro VII portandogli via l'artista più importante di cui disponeva.
I disegni dei B. furono preferiti a quelli di Pietro da Cortona e di Carlo Rainaldi, ma, non vennero mai eseguiti, e l'unica testimonianza artistica di questo viaggio resta il famoso busto di Luigi XIV a Versailles. Compagno del B. a Parigi fu Paul Fréart de Chantelou, che già aveva vissuto a Roma ed era amico del Poussin. Il Diario dello Chantelou (scoperto e pubblicato da L. Lalanne, 1885) è un documento unico e importantissimo per la vita del B.: in esso ne rivivono la vigorosa personalità e lo spirito, e l'intollerante avversione per i costumi e le teorie artistiche francesi; sono registrate, con vivacità e immediatezza, le sue idee sull'arte, i suoi giudizi, i suoi consigli per la formazione degli artisti. Durante il soggiorno a Parigi il B. accettò di dare il suo appoggio all'Accademia di Francia a Roma che era allora in progetto e che fu fondata l'anno seguente (1666). Per contribuire all'istruzione dei giovani artisti, egli permise che lavorassero alla statua equestre di Luigi XIV (1669-77), statua che fu trasportata a Parigi soltanto dopo la sua morte; essa però non piacque e, trasformata dal Girardon in un Marco Curzio, fu confinata in un angolo dei giardini di Versailles.
Al suo ritorno a Roma il B. sovrintese ai lavori della piazza S. Pietro, della scala regia e della cattedra di S. Pietro, tutte opere che furono eseguite quasi totalmente dal numeroso gruppo dei suoi assistenti: direttori dei lavori erano Mattia de' Rossi, che era stato a Parigi per sovrintendere alla fabbrica del Louvre, e Carlo Fontana, che era a Roma l'architetto più importante della sua generazione. Il decoratore G. P. Schor collaborò alla cattedra e ad altre numerose opere. Dal 1668 al 1669 il B. scolpì per il suo vecchio amico Giulio Rospigliosi, Clemente IX, due Angeli per il ponte S. Angelo: piacquero tanto al pontefice che non vennero posti sul ponte (si trovano ora nella chiesa di S. Andrea delle Fratte), dove furono sostituiti da due copie; tuttavia la copia dell'angelo con l'"I.N.R.I." è con buon fondamento attribuita al B. stesso. La Tomba di Alessandro VII fu eseguita in gran parte dagli allievi del B. (1672-78) dopo la morte del pontefice. La cappella Altieri in S. Francesco a Ripa con la Beata Ludovica Albertoni sull'altare (1674) è l'ultima opera in cui il B. esplica insieme le sue attività di architetto, scultore e decoratore (la pala è del Baciccio, 1675); insieme con gli angeli della cappella del SS. Sacramento in S. Pietro (1673-74), essa costituisce anche l'ultima sua opera importante.
Ultima di fatto fu un busto del Salvator Mundi di dimensioni superiori al vero, ora perduto, che il B. scolpì per Cristina di Svezia. Negli ultimi mesi di vita l'artista si dedicò al restauro del palazzo della Cancelleria. Morì il 28 nov. 1680 durante il pontificato di Innocenzo XI, l'undicesimo papa da lui servito.
Oltre ai suoi autoritratti e a un ritratto fattogli dal Gaulli (Roma, Gall. Corsini), il B. è stato descritto fisicamente e moralmente da numerosi autori: basti ricordare lo Chantelou (p. 194), e il figlio Domenico, che lo disse "aspro di natura, fisso nelle operazioni, ardente nell'ira". Egli fu l'artista più intimamente legato al cattolicesimo risorgente nella temperie postridentina, e non può esserci dubbio sulla sua convinzione religiosa; pare che negli anni successivi al 1630 la sua fede si fosse approfondita e che nell'ultimo periodo della sua vita frequentasse assiduamente gesuiti e oratoriani: era amico intimo dei padre G. P. Oliva, gesuita, per il quale disegnò il frontespizio al secondo volume delle Prediche (1664) e ebbe come consigliere spirituale anche un suo nipote, padre Marchesi, oratoriano. Egli applicava lo spirito di Propaganda Fide all'espressione artistica e cercava di coinvolgere l'osservatore in una esperienza religiosa parallela alle suggestive visioni descritte da s. Ignazio negli Esercizi spirituali, che, insieme con l'Imitazione di Cristo, era fra i suoi libri più cari.
La fonte più sicura che ci sia rimasta per la teoria artistica del B. nei suoi ultimi anni è la documentazione lasciataci dallo Chantelou dei consigli da lui dati all'Accademia di Francia: egli riteneva necessario che l'Accademia possedesse calchi delle sculture antiche per l'istruzione dei principianti poiché pensava che il disegno dal vero, da solo, non bastasse. L'idea della bellezza era quindi dal B. concepita in maniera tradizionale, e anche nella lista delle opere d'arte dell'antichità da lui preferite l'unica novità rispetto alla tradizione è rappresentata dall'inclusione della statua del Pasquino.Era convinto che l'arte si fondasse su buoni principi teorici e sul "disegno". La sua teoria artistica era basata sul pensiero antico: faceva infatti consistere la bellezza dell'arte, ivi compresa l'architettura, nella proporzione che era di origine divina. Tuttavia nella pratica egli differiva dai classicisti tipo Poussin, allontanandosi nello svolgimento delle sue idee dalla fonte originaria e conferendo alle sue opere un significato del tutto nuovo.
Quanto all'antica questione del "paragone" fra le arti, il B. non mantenne una posizione costante, affermando la superiorità ora della pittura ora della scultura. Lo Chantelou, convalidato in ciò dai più antichi biografi, riporta la lista dei più grandi pittori secondo il B.: al primo posto era Raffaello, seguivano poi il Correggio, Tiziano, Annibale Carracci. Tra i contemporanei egli, oltre a Guido Reni, ammirava molto anche Poussin. Non molti sono i giudizi sugli scultori: pur criticando Michelangelo perché troppo freddo e anatomico, il B. fu il primo ad affermare che soprattutto nell'architettura egli aveva manifestato la sua grandezza, e col Buonarroti si trovava d'accordo nell'affermare che gli scultori, in quanto creano forme in rilievo, sono migliori architetti che i pittori. Il B. riteneva con il Vasari che negli schizzi spesso si trova più talento e più vitalità che nelle opere finite ed è palese, nei suoi marmi, l'intenzione di conservare la libertà e la spontaneità degli schizzi; basti per questo leggere nello Chantelou come il B. si preparò a scolpire il ritratto di Luigi XIV, con la piena coscienza, cioè, che l'artista, nello scolpire in marmo i ritratti, doveva in certo qual modo forzare la materia per ottenere con gli effetti di luce e ombra quello che nel volto umano era dato dalle tinte naturali. Per quanto riguarda l'architettura l'atteggíamento dei B. era quello di un "uomo dell'idea", ben lieto di lasciare l'esecuzione e i dettagli a un gruppo di specialisti. Nella scultura, normalmente, adottava una via di mezzo tra questo sistema e quello dell'esecuzione diretta. Col passare degli anni e l'aumentare delle commissioni egli fu spesso costretto a lasciare agli assistenti parti sempre più ampie. Per ottenere che le opere risultassero il più possibile come se le avesse personalmente eseguite, il B. faceva assegnamento su disegni e modelli. Questa pianificazione accurata era sconosciuta nel primo Rinascimento: Michelangelo aveva iniziato la pratica dei modellini in creta o cera come preparazione abituale dell'opera; il B. si valeva di questi mezzi sia per uso proprio sia per guidare i suoi assistenti. Nel periodo 1620-30 usò modelli in scala per opere di grandi dimensioni (il baldacchino; il Longino) e di nuovo verso la fine della sua vita per commissioni particolari (la cattedra). I grandi modelli sono in genere opera di bottega; fra i piccoli bozzetti preparatori che ci sono rimasti fa eccezione quello piuttosto grande della statua equestre di Luigi XIV (Roma, Galleria Borghese).
Le prime manifestazioni del genio del B. pare siano stati i ritratti. Nel più antico fra i busti che ci sono rimasti, quello del Vescovo G. B. Santoni a S. Prassede, la testa infrange la tradizione per il vigore del modellato. Il busto di Antonio Coppola (1612), da poco scoperto, renderà necessaria una nuova cronologia per tutte le sue opere giovanili. All'inizio, del terzo decennio del secolo il B. andò al di là delle sue precedenti esperienze scultoree con busti come quelli di Monsignor Pedro de Foix Montoya (Roma, monastero di S. Maria di Monserrato, 1621) e del card. R. Bellarmino (Roma, chiesa del Gesù, 1622; originariamente sistemato in un insieme architettonico con figure di Pietro Bernini), che è presentato in un atteggiamento di "adorazione eterna". In questi busti le proporzioni del corpo sono ingrandite, ottenendo così una maggiore efficacia realistica, e i tratti fisionornici sono descritti con acume e vivacità. Ma l'arte ritrattistica del B. raggiunse la piena maturità con i busti del card. Scipione Borghese (1632; ambedue a Roma, Gall. Borghese), nei quali troviamo per la prima volta un atteggiamento semplice, colloquiale.
Un disegno del Card. Borghese (New York, Morgan Library) pare sia l'unica testimonianza rimastaci del metodo berniniano di fissare in schizzi il soggetto nel suo atteggiamento abituale. Il busto (il secondo fu scolpito per sostituire il primo il cui marmo era difettoso) mostra il cardinale già vecchio, in animata conversazione: è proprio caratteristica precipua delle opere del B. maturo questo rapporto diretto tra il personaggio e lo spettatore che diventa così interlocutore.
Le fonti di questo genere di ritratto sono nella pittura contemporanea (il realismo e la pittura di genere caravaggeschi, la ritrattistica semplice e intimista di Annibale Carracci) e nei busti romani di età repubblicana. Il B. tradusse in pietra i ritratti spontanei già di uso corrente, ma ebbe l'ardire di interpretare in questo modo anche i ritratti ufficiali che sinora erano sempre stati stilizzati e freddi. Tra i numerosi busti del pontefice Urbano VIII bisogna ricordare il marmo nella collezione di Giulio Barberini (verso la fine del quarto decennio; versione in bronzo nella Bibl. Vaticana) e il busto in bronzo (1640-42) nel duomo di Spoleto. La tomba di Urbano VIII ha una statua che ritrae il papa come appariva negli ultimi anni del terzo decennio. Una statua celebrativa nel palazzo dei Conservatori (1635-40) è in gran parte opera di aiuti. In contrasto con queste opere di carattere ufficiale, e quindi ancora piuttosto tradizionaliste, è il busto di Costanza Bonarelli (c. 1635),un'opera unica nel suo genere di ritratto privato, che sembra preludere a Houdon nel suo realismo senza orpelli. Una ulteriore evoluzione dell'arte ritrattistica del B. pare avviarsi dal busto di Carlo I d'Inghilterra (1636; distrutto) e da quello del Card. Richelieu (1640-41; Parigi, Louvre), in cui le spalle sono volte nella direzione opposta a quella della testa (i ritratti in gruppo della Famiglia Cornaro in S. Maria della Vittoria sono fuori dell'ordinario e vanno considerati assieme col più ampio complesso architettonico-decorativo di cui fanno parte). Benché il B. abbia eseguito due ritratti di Innocenzo X,il ritratto più importante di questo periodo è quello di Francesco I d'Este (1650-51; Modena, Galleria Estense), dove si attuano nuove dimensionie una nuova dinamica: il contrapporsi dei moti dei corpo e del capo, già sperimentato negli anni precedenti, è dall'uso di un panneggio "antico" e dall'espressione imperiosa, in un assetto compositivo che rimase esemplare per ritratti principeschi nella scultura del secolo seguente. Pochi furono I busti scolpiti dei B. in questo periodo: dopo il Francesco I d'Este, il Luigi XIV del 1665, che segue gli stessi motivi ed atteggiamenti, ma in una versione semplificata, più costruttiva. L'ultimo ritratto fu il Gabriele Fonseca (Roma, S. Lorenzo in Lucina; c. 1674?), raffigurato in adorazione eterna come il suo giovanile Bellarmino, rappresentazione quasi espressionistica di fervore religioso con vivaci effetti coloristici di luce e ombra e esagerazioni di forme e sentimenti che rasentano la caricatura.
La stessa evoluzione, in senso lato, si può riscontrare, con alcune varianti, nelle statue: la maggior parte di esse ha qualche rapporto con la scultura antica, sempre filtrato attraverso un'interpretazione pittorica. La prima che si conosca, la Capra Amaltea,scolpita per il cardinale Borghese (Galleria Borghese), per molto tempo è stata scambiata per una scultura ellenistica e può anche essere stata eseguita deliberatamente come falso, nella tradizione del Cupido di Michelangelo. Le prime statue a soggetto religioso, il Martirio di s. Lorenzo (c. 1616, Firenze, coll. Contini Bonacossi) e quindi il S. Sebastiano (c. 1617), rivelano uno studio sempre più profondo di Michelangelo e una attenzione nuova al particolare realistico. Il primo gruppo di proporzioni naturali, l'Enea e Anchise alla Galleria Borghese, ricalca lo stile di Pietro Bernini e sembra mancare di stabilità, con aspetti perfino manieristici, ma presenta qualche spunto realistico e per la posa di Enea si rifà al Cristo di Michelangelo alla Minerva (Roma). Lo sviluppo del primo stile del B. è tracciato da una serie di opere famose scolpite tra il 1620 e il 1624: Nettuno (c. 1620,Londra, Victoria and Albert Muscem); Il ratto di Proserpina, Apollo e Dafne, David (Roma, Galleria Borghese).
Il B. rifiutava la tradizione, rappresentata dal Giambologna, di statue autonome a tutto tondo, e coglieva invece un momento unico, culminante, dell'azione, percepibile immediatamente da un solo punto di vista. Nel Ratto di Proserpina egli crea un gruppo a tre dimensioni, notevole per la resa sensuosa della carne, e riferibile, per il suo vigore, alle figure di Annibale Carracci nella Galleria Famese. L'Apollo e Dafne è più pittorico, quasi un rilievo liberato del suo piano di fondo, e doveva essere visto appena si entrava nella stanza (la stessa dove il gruppo si trova attualmente, collocato erroneamente, in mezzo invece che contro una parete). Nel David il B. affrontava un nuovo e affascinante problema che probabilmente gli si era presentato per la prima volta durante la lavorazione del Nettuno: comunicare allo spettatore sentimenti espressi dal soggetto, sì da coinvolgerlo nell'azione. La identificazione tra spazio reale e spazio artistico che appare nel David è uno dei problemi centrali di gran parte dell'arte barocca negli anni a venire. In qualche modo tutta la storia della ricerca artistica dei B. può delinearsi come lo svolgersi e l'arricchirsi di questo concetto.
Durante il pontificato di Urbano VIII il B. esegui le grandi statue religiose: la S. Bibiana (Roma, S. Bibiana; 1624-26) traduce il dinamismo delle statue Borghese in un linguaggio più sereno, ma non per questo meno interessato allo spazio: la santa guarda in alto dalla sua nicchia verso una visione paradisiaca che è realmente dipinta nella volta. Per la prima volta il B. usò qui una luce nascosta, "miracolosa", che simbolicamente cade sulla statua dall'alto. Lo stile delle statue del primo periodo raggiunge il suo acme nel colossale Longino di S. Pietro (1635-38), rappresentato nel momento della conversione, mentre afferra l'asta e volge lo sguardo alla cupola piena di luce della grande basilica. In questa figura il B. adattò il dinamismo elettrizzante delle opere Borghese di soggetto ovidiano alle esigenze della Ecclesia triumphans. Come nel busto di Scipione Borghese lo spettatore viene immesso nell'azione e nella psicologia dell'opera d'arte, con in più il significato propagandistico della conversione di Longino, proprio della Controriforma.
Nel terzo decennio del secolo il B. fu impegnato a risolvere i problemi di progettazione, e quindi di proporzioni, legati al grande baldacchino da erigersi sulla tomba di S. Pietro. Era già stato deciso di usare colonne tortili derivate dall'arte paleocristiana, ma egli e i suoi aiuti dovevano ideare un coronamento appropriato, e la combinazione di scultura figurata (angeli, stemmi Barberini e papali) e architettura scultorea inaugura una fase nella storia dell'arte moderna, che vede architettura e scultura fuse in una nuova organica maniera. Un esempio di questa unione inscindibile di architettura e scultura è la fontana della Barcaccia (1627-29). Nella Tomba di Urbano VIII è applicato un complesso concetto allegorico in cui si fa uso, in un procedimento nuovo, di materiali diversi a seconda dei vari gradi dell'allegoria. Ma forse l'aspetto storicamente più importante delle statue del terzo e quarto decennio èancora da individuarsi sotto il profilo della tendenza a identificare le emozioni dello spettatore con quelle del soggetto: se prima lo spettatore era immerso nello spazio fisico della statua (David, Longino, Scipione Borghese), ora la sua stessa mente, i suoi sentimenti sono impegnati dal "concetto". I massimi risultati in questo campo furono raggiunti nelle opere del quarto e quinto decennio che trovano riscontro nelle opere teatrali di questo periodo per il rapporto ardito, immediato, instaurato fra attori e spettatori. Appartengono a questo gruppo il ritratto di Scipione Borghese, il Longino, la Tomba di Urbano VIII, la fontana del Tritone (1642) e la Tomba di suor Maria Raggi (1643, S. Maria sopra Minerva).
Negli anni del quinto decennio e oltre il B. creò una serie di opere architettomche nelle quali la scultura e qualche volta anche la pittura intervengono per raggiungere effetti nuovi; opere che possono essere considerate il risultato indiretto delle sue ricerche per raggiungere nuovi punti dincontro tra l'esperienza artistica e quella umana.
La cappella Raimondi in S. Pietro in Montorio (c. 1640-46), eseguita tutta in pietra bianca in gran parte da allievi su disegni del B., ha un altare in rilievo illuminato da luce proveniente da fonti nascoste laterali. Nella cappella Comaro in S. Maria della Vittoria l'architettura stessa è nuova: la cappella è concepita come un complesso unitario, ma al tempo stesso vi è delineata una nicchia ovale entro la quale è collocato il gruppo marmoreo con la S. Teresa in estasi. Il gruppo è concepito come un rilievo, illuminato dall'alto da una luce "miracolosa", che proviene da una fonte non identificabile e che ha il suo simbolo visivo in raggi di legno dorato. La volta della cappella è invasa da una schiera di angeli dipinti e da nuvole dipinte sullo stucco che riveste le membrature architettoniche. Tutta la visione sembra originata al momento della devota contemplazione dei membri della famiglia Cornaro, che vengono ritratti sulle due pareti laterali della cappella in gruppi di grande vitalità, benché solo uno di essi fosse effettivamente vivo: il committente, il card. Federico Comaro. L'architettura è in marmi riccamente colorati, le sculture in marmo bianco spiccano con evidenza accentuata dai raggi dorati in legno e dalla luce reale, e anche la scena dipinta nella volta è riccamente colorata. L'architettura, la pittura e la scultura sono connesse in modo tale che Domenico Bernini poteva dichiarare "havere il Cavaliere in quel gruppo superato se stesso, vinta l'arte, con Oggetto raro di maraviglia".
L'opera più spettacolare e scenografica del B. è la fontana dei Quattro fiumi (1648-51) che di nuovo si basa su di un concetto denso di significati: i quattro fiumi del mondo dominati dalla croce e dallo stemma papale. Questa tendenza teatrale culmina nel grande complesso della cattedra di S. Pietro nell'abside della chiesa (1675-66).
Le figure in bronzo dorato dei santi Ambrogio, Atanasio, Giovanni Crisostomo e Agostino sembrano quasi sostenere la sedia di Pietro che è invece sospesa come per volere divino e questo soprannaturale potere si manifesta nella gloria aurata degli angeli sulle nuvole e nei raggi di luce che emanano dallo Spirito Santo dipinto sulla sovrastante vetrata ovale: tutta questa visione fa da cornice al sottostante altare papale.
In S. Andrea al Quirinale, sull'altare, angeli di marmo sostengono una Crocefissione del santo dipinta, mentre la figura del santo, scolpita dal Raggi, pare levarsi attraverso l'edicola verso la "cupola celeste" sovrastante che è sormontata da una lanterna, decorata all'interno dalla rappresentazione in stucco dello Spirito Santo. Ma in S. Andrea, come in altre chiese del periodo compreso tra la fine del sesto e il settimo decennio, quella unione tra architettura, scultura e pittura raggiunta nella cappella Comaro non segue lo stesso orientamento: ormai ogni arte svolge uno specifico ruolo ad essa assegnato; ed è per questo che l'architettura berniniana più tarda è meno barocca e più classicista che non quella del quinto decennio. Ma la sua funzione è mutata nel senso di una sorta di teatro nel quale le sculture sono gli attori del dramma religioso cui assistono i fedeli. In queste e in più tarde opere la pittura ha una posizione sempre più subordinata. Nella cappella Altieri in S. Francesco a Ripa (1674) la separazione tra le tre arti è netta e il quadro con la Sacra Famiglia (dei Baciccio) sull'altare è pura e semplice immagine di devozione, non parte di un più complesso concetto.
Anche l'architettura esterna del B. si proponeva di plasmare e indirizzare la esperienza umana verso la rivelazione divina. Nella piazza S. Pietro (1653-63), l'opera più puramente architettonica, il porticato ricurvo di colonne tuscaniche suggerisce l'idea dell'abbraccio accogliente della Chiesa ma nello stessò tempo serve a mediare la visione della facciata di S. Pietro, alla quale il B. avrebbe voluto apportare alcune modifiche. Le forme sobrie di questo colonnato sono ben lontane dall'esuberanza tradizionale dello stile barocco delle sue opere di questi anni - basti pensare alla fontana di piazza Navona, al busto di Francesco d'Este, alla cattedra di S. Pietro - e dimostrano la duttilità e versatilità dell'artista che trovava una forma adatta ad ogni esigenza. La piazza è il risultato più grandioso dell'aspirazione del B. a imporre una determinata reazione all'esperienza umana in senso sia fisico sia psicologico.
In questa opera unica il B. usò quel modulo che poi impiegò nella sua chiesa più bella, la piccola chiesa di S. Andrea al Quirinale (1658-70): un ovale con il diametro più corto come asse principale. Qui muri ricurvi racchiudono il breve spazio ai lati della facciata e introducono verso l'entrata. La facciata, lontana dallo schema tradizionale, appare come la fantasiosa versione di un grande portale. La chiesa dell'Ariccia (1662-64) s'ispira al Pantheon e vuole essere una dimostrazione, secondo il punto di vista dell'artista, di come esso doveva apparire nell'antichità. Dopo poco il B. dimostrava anche la sua piena padronanza della tradizione architettonica nella facciata dei palazzo Chigi Odescalchi ai SS. Apostoli (cominciato nell'anno 1664; raddoppiato nelle dimensioni e quindi rovinato nelle proporzioni nel secolo successivo), dove le idee enunciate dal Bramante e sviluppate da Michelangelo, Vignola e Palladio trovano matura interpretazione in un disegno magistrale che deve essere collocato tra le opere più grandi del secolo. Nello stesso periodo il B. iniziava la sua serie di progetti per il Louvre; il primo è molto diverso dagli altri e non piacque per le curve di cui fa uso, e in particolare per il grande corpo convesso al centro, benché esso abbia poi influenzato il Guarini e Fischer von Erlach. I progetti successivi si andavano man mano avvicinando alla severità ordinata del palazzo Chigi Odescalchi, ma su scala molto maggiore. Essi richiedevano l'abbattimento di tutto quanto era stato già costruito, ma non furono attuati.
La Scala regia (1663-66), che conduce dal porticato di S. Pietro al palazzo Vaticano, è forse il risultato più straordinario che il B. abbia ottenuto, mantenendosi fedele al linguaggio tradizionale rinnovato nel significato.
Il B. ebbe a disposizione uno spazio non ampio, che sfruttò abilmente allargandolo illusivamente con un partito ingegnoso: tutta la prima rampa è fiancheggiata da colonne che sostengono una volta a botte. Sotto, dove c'era più spazio a disposizione, ha disposto le colonne ben distanti dal muro; più in alto, dove la gradinata si restringe mano a mano, le colonne sono collocate più vicino al muro e ridotte in altezza. Con mezzi ottici viene cosi reso armonico uno spazio che non lo è. Guardando dal basso si ha l'impressione che l'effetto di restringimento verso l'atto sia dovuto alla diminuzione prospettica che si è portati a correggere. mentalmente. Alla base della rampa l'artista ideò la monumentale statua equestre di Costantino.
Nei lavori di restauro generale di S. Maria del Popolo (1655-61) il B. completò la decorazione della cappella Chigi di Raffaello con le due sculture di Daniele e Abacuc con l'Angelo, che furono collocate in angoli opposti dando un nuovo interesse spaziale a tutta la cappella. Fra i più importanti esempi della sua tarda statuaria sono le singole figure della cattedra di S. Pietro, in cui troviamo alcune caratteristiche di esagerazione formale, comuni a gran parte della scultura tardobarocca: uno stile cui il B. diede l'avvio in questi anni e che continuò per varie generazioni in Italia, Austria e Germania. Negli Angeli per il ponte S. Angelo (1668-69) l'affinamento e l'uso espressivo del modellato di luce e ombra raggiunge un più alto risultato emotivo eguagliato dal contemporaneo busto, quasi espressionistico, di Gabriele Fonseca (Roma, S. Lorenzo in Lucina) e dalla Tomba di Alessandro VII (1671-78) in S. Pietro (in cui le figure sono state eseguite da assistenti).
Tra le ultime opere dei B. bisogna ricordare l'altare della cappella del SS. Sacramento a S. Pietro con i due Angeli inginocchiati in adorazione (1673-74) e la già citata cappella Altieri in S. Francesco a Ripa (1674). In quest'ultima, in uno spazio sopra l'altare, illuminata da finestre nascoste, la Beata Ludovica Albertoni giace in agonia. La veste della beata, dalle ondulazioni profondamente scavate, ha quel significato espressionistico che il B., già nel decennio precedente, aveva attribuito al panneggio. L'umile, umana adorazione degli angeli nella cappella del SS. Sacramento, in contrasto con l'architettura senza tempo del sepolcro, è tipica dello stile tardo dell'artista: nei suoi ultimi anni egli sembra aver avvertito nelle inesorabili leggi dell'architettura un inquietante contrasto con la condizione transitoria dell'uomo, quasi esempio dell'antitesi tra il temporale e l'eterno.
Anche se l'attività pittorica dei B. fu del tutto marginale, egli esercitò una considerevole influenza sulla pittura del tempo. Numerosi pittori collaborarono con lui, ma di essi solo il Baciccio, a quanto pare, eseguì da solo una importante decorazione in stile berniniano: la volta dei Gesù (1672-83). Ben più grande fu l'ascendente esercitato sugli scultori: uno dei suoi primi assistenti, G. Finelli, per decenni continuò a Napoli il linguaggio berninano; e molto gli dovettero anche i suoi più grandi rivali, F. Duquesnoy e A. Algardi. Alla metà del secolo si può dire che tutta la scultura a Roma era più o meno permeata del suo stile, e anche la scultura europea per un secolo dopo la sua morte seguì le vie tracciate da lui. L'eredità del B. in architettura fu vasta e protratta, nel tempo: progetti singoli, come la chiesa dell'Ariccia, servirono da prototipi per numerose costruzioni specialmente del periodo neoclassico; la piazza S. Pietro esercitò un influsso ancora maggiore. Attraverso C. Fontana, lo stile del B. modificato in senso classicista raggiunse l'Austria (Fischer von Erlach) e perfino l'Inghilterra (James Gibbs). I fratelli Asam in Baviera svilupparono al massimo l'idea berniniana dell'uso "teatrale" dell'architettura come messa in scena del "miracolo" scultoreo. I progetti puramente architettonici del B. (Louvre, pal. Chigi-Odescalchi) agirono sugli architetti del XVIII sec. di Francia, Austria e Italia, in via di evoluzione verso il neo-classicismo.
Tra i figli del B. si ricorda, oltre al più noto Domenico Stefano, Paolo Valentino, il quale, nato a Roma il 14 febbr. 1648, fu educato dal padre alla scultura ma non lasciò quasi traccia nella storia dell'arte. Secondo il Titi, aiutò il B. nell'esecuzione delle statue della cappella De Silva a S. Isidoro (1663); l0 accompagnò a Parigi (Chantelou) e nel 1670 fu pagato per uno degli Angeli di ponte S. Angelo (eseguito dal padre). Membro dell'Accademia di S. Luca dal 1672, al Louvre è conservato un suo rilievo del Cristo bambino con gli strumenti della Passione (1665). Morì a Roma il 24 dic. 1728.
Pietro Filippo, sacerdote, prelato del tribunale della Segnatura, divenne canonico di S. Maria Maggiore nel 1663. Era nato intorno al 1641 e morì prima dei giugno 1698 (Arch. Capit. della basil. di S. Maria Maggiore, Possessi, VI, f. 57v).
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