FIESCHI, Gian Luigi
Figlio di Antonio e di una Ginevra, di cui ignoriamo il casato, nacque alla fine del sec. XIV. Alla morte del padre (1412) ereditò, insieme coi fratelli Niccolò, Ludovico ed Ibleto (un altro fratello, Giovanni, dovette rivestire un ruolo marginale all'interno della famiglia), un feudo corriposito, costituito, nella Riviera di Levante, dalle rocche di Torriglia, di Montoggio e di Roccatagliata, il cui possesso risaliva al sec. XIII ed era indiviso; in Lunigiana, dai castelli di Calestano e di Vigolone; e, nella diocesi di Vercelli, dai più recenti acquisti di Masserano e di Crevacuore. A ciò si aggiungeva il controllo di alcuni borghi strategicamente importanti lungo la dorsale appenninica, come Borgotaro e Varese Ligure, conteso alla famiglia dalla Repubblica di Genova. Nel 1405 al F. ed ai suoi fratelli pervenne la metà di Pontremoli: l'altra metà di questo centro era nelle mani di un loro zio, Luca Fieschi.
Ludovico dovette occuparsi del feudo vercellese: il 26 febbr. 1431, anche a nome degli altri fratelli, si alleò con Amedeo VIII di Savoia, che esercitava la sua supremazia su quel territorio. A Niccolò pervenne il controllo di Torriglia e di Roccatagliata. Il F. preferi risiedere a Pontremoli, amministrando il feudo anche a nome del cugino Antonio di Luca Fieschi.Appunto a Pontremoli il F. si costituì una piccola corte. Alla morte dello zio Luca nacquero dissapori tra il F. ed il cugino Antonio, succeduto al padre come nuovo consignore di Pontremoli. Essendo giuridicamente indiviso il patrimonio familiare, il F. reclamò infatti dal cugino un contributo per le spese che egli aveva dovuto affrontare per difendere Borgotaro. Dopo qualche contrasto si decise di affidare la soluzione della vertenza ad una commissione arbitrale costituita da tre parenti del F., Rainiondino, Innocenzo e Teodoro Fieschi. L'accordo fu firmato il 5 febbr. 1418, alla presenza del vescovo di Brugnato. Stabiliva che le rocche di interesse militare venissero divise tra i cugini. Al F. toccarono il castello di Piagnaro e le fortezze di Tizzano e di Bedusio; ad Antonio il castello nuovo di Pontremoli e le rocche di Borgotaro, di Grondola e di Zeri. L'accordo stabiliva inoltre che la scelta del podestà e dei rettori doveva restare comune; di comune intesa dovevano essere, altresì, pronunciate le condanne. Le rendite ed i proventi del feudo sarebbero stati spartiti in parti uguali. Antonio non dovette, però, rimanere soddisfatto del compromesso. Infatti, tramite i buoni uffici di Araone Malaspina, arcivescovo di Brindisi, ottenne che si procedesse alla permuta delle parti in cui il feudo era stato diviso; la richiesta fu accolta il 23 luglio 1420.
Il feudo fliscano formò, agli inizi del Quattrocento, soprattutto dopo la acquisizione di Pontremoli, un importante staterello di frontiera, abbracciante i valichi che nel Levante ligure portavano dal mare alla pianura padana; secondo una testimonianza coeva, i Fieschi erano in grado di armare dalle loro terre circa 4.000 uomini. Fedele alleata della politica francese, la famiglia, sebbene non in grado di assoggettare Genova (dove, tuttavia, costituiva una potenza con cui occorreva confrontarsi), esercitò allora un controllo assai stretto sulle fortezze costiere, spesso solo nominalmente in mano alla Repubblica genovese.
Inevitabilmente il F., dunque, fu obbligato a destreggiarsi nella complessa partita diplomatica e militare che vide schierati su fronti opposti il Ducato di Milano e la Repubblica di Firenze per il controllo dell'area appenninica e, in modo particolare, della Lunigiana.
Se i Visconti potevano contare sull'alleanza con molti Malaspina, Firenze, che teneva sotto il suo dominio alcuni castelli in Valdimagra, riuscì ad accordarsi coi Fieschi.Il 1º nov. 1418, infatti, il F. incaricò Antonio Fieschi, podestà di Pontremoli, di avviare trattative con la Repubblica fiorentina al fine di porsi sotto la protezione di quest'ultima. Firenze preferì tuttavia declinare l'offerta, perché sospettava che il F. stesse contemporaneamente trattando in segreto con Filippo Maria Visconti. Non erano timori infondati. Il 10 maggio 1419 a Milano fu firmata la pace tra il duca e la Repubblica genovese, allora guidata da Tommaso Fregoso; nell'accordo era compresa anche la famiglia Fieschi. Il cardinale Ludovico Fieschi, capo della casata, si affrettò a comunicare i termini dell'accordo al F., che lo accettò, anche se finì con lo schierarsi contro il Fregoso, appoggiato da Firenze. Il 6 apr. 1421 il F., insieme col fratello Niccolò e con Carlo (forse un loro cugino), si alleò formalmente col duca di Milano e ne appoggiò l'azione quando, nel maggio, gli eserciti viscontei, nei quali militavano alcuni membri della famiglia Fieschi, marciarono su Genova, per rovesciare il governo del Fregoso. La Repubblica fiorentina, il 30 agosto dello stesso anno, inviò al F. un ambasciatore per invitarlo a desistere dalla sua opposizione al Fregoso e sollecitò nello stesso tempo un intervento del cardinale Ludovico Fieschi sul parente. Non sortì alcun risultato. Anche Antonio Fieschi decise di seguire Pesempio del F. ed inutile fu il passo compiuto dai due oratori fiorentini a Milano, i quali protestarono presso il duca, perché aveva preso sotto la sua protezione il F. e Pontremoli. Grazie all'alleanza milanese, il F. poté nel corso del conflitto toghere a Genova alcuni castelli in Lunigiana. Il 23 novembre il Fregoso rinunciò al dogato e si ritirò a Sarzana, che, con il suo territorio, gli era stata concessa in signoria dalle autorità municipali.
In seguito, datasi Genova in signoria al duca di Milano (3 nov. 1421), il F. ruppe la sua alleanza con quest'ultimo e si riavvicinò a Firenze, col cui governo stipulò, il 19 giugno 1424, nel territorio di Filattiera in Lunigiana, una accomandigia, in forza della quale egli si poneva sotto la protezione di quella Repubblica ed otteneva il comando di 30 lance e di 200 fanti. L'accordo comportava l'impegno reciproco di aiuto in caso di attacco militare contro l'una o l'altra delle parti contraenti. Nel 1425 partecipò, insieme con il fratello Niccolò, alle operazioni condotte dal Fregoso con l'appoggio militare e diplomatico di Firenze e del re Alfonso IV d'Aragona contro Genova, allo scopo di liberare quest'ultima dal dominio visconteo. Fu proprio grazie all'azione svolta dal F. che, fallito il tentativo di far insorgere la città ligure, di fronte alla quale si erano presentati il 10 aprile con una flotta aragonese-fiorentina, i ribelli poterono impadronirsi nei giorni successivi di Portofino, di Moneglia e di Sestri Levante.
A reprimere il moto il duca di Milano inviò una squadra navale, comandata da Antonio Doria, ed un corpo d'esercito di 5.000 fanti e di 3.000 cavalieri, condotto da Niccolò Terzo: essi dovevano investire Sestri Levante, dove si erano acquartierati i contingenti mandati da Firenze a sostegno del F. e del Fregoso. Gli insuccessi riportati in alcune scaramucce e, soprattutto, la notizia che gli armati del F. stavano arrivando da Pontremoli in soccorso di Sestri, convinsero il comando visconteo a far ripiegare le proprie truppe sulle basi di partenza. La prima fase delle operazioni non valse a sottrarre al duca di Milano la signoria di Genova, ma Portofino, Sestri Levante e Moneglia rimasero saldamente in mano al F. e ai suoi familiari.
Gli scontri continuarono. Il 4 maggio 1425, a Sarzana, il F. rinnovò l'accomandigia con Firenze, che prese allora sotto la sua protezione anche il di lui fratello Niccolò. In quella occasione il'govemo della Repubblica toscana promise altro denaro e si impegnò a fornire aiuto nel caso in cui il vescovo di Vercelli Ibleto Fieschi - altro fratello del F. - avesse rischiato di perdere la sua carica. Il 30 giugno, anche Antonio Fieschi stipulò un'accomandigia con la Repubblica di Firenze. Nel luglio Niccolò cadde nelle mani del Visconti. Ciò nonostante l'esercito assoldato dal F., da suo cugino Antonio e da Battista Fregoso continuò ad operare contro i Viscontei nella Riviera orientale, dove si tentò anche di ottenere la cittadella di Chiavari, corrompendo il castellano; le trattative, però, furono troncate per intervento del duca di Milano, informato tempestivamente. Nel 1426 il F. aprì le ostilità anche contro i Rossi, alleati del duca di Milano e decisi a riprendere il controllo di Pontremoli. Nello scontro decisivo, che fu combattuto a Felino, il F. ebbe la peggio e fu catturato. Trasferito a Milano, per ordine del duca fu rinchiuso nel castello di porta Giovia. In difesa del F. si mosse Firenze, che ne chiese energicamente la liberazione come pregiudiziale ad ogni avvio di trattativa di pace. Filippo Maria Visconti si dichiarò disponibile a rilasciare il prezioso ostaggio, purché gli fossero consegnati in cambio i figli di quello. Il F. accettò, nonostante l'opposizione della moglie. Agli inizi di dicembre del 1426 fu liberato e consegnò al duca tre dei suoi figli: due maschi ed una femmina. Quando, il 30 dicembre, fu firmata la pace tra Firenze e il duca di Milano, il trattato allora siglato prevedeva la restituzione da parte del Visconti delle fortezze strappate al F. nel corso delle ostilità, ma non faceva cenno dei giovani ostaggi, che comunque già nel gennaio del 1427 furono rimessi in libertà, senza che il F. dovesse pagare per loro riscatto alcuno.
La pace, tuttavia, fu di breve durata e il F. riprese ben presto le armi contro il duca in Liguria. Il 15 maggio Firenze rinnovò al F. il contratto di condotta al proprio servizio, aggiungendo al contingente di soldati allora ai suoi ordini altri 50 fanti, per sei mesi. Qualche tempo dopo concesse a lui ed a suo fratello Niccolò la cittadinanza fiorentina. La pace tra Firenze e Filippo Maria, firmata a Ferrara il 19 apr. 1428, affidò al cardinale di S. Croce N. Albergati il compito di provvedere a risolvere le questioni rimaste in sospeso con la famiglia Fieschi. Ai componenti di quest'ultima il porporato riconobbe il possesso dei feudi da essi detenuti prima del conflitto e, inoltre, quello di Portofino, Sestri Levante e Moneglia. Si sanciva così la costituzione di un piccolo "Stato" fliscano, assai pericoloso per Genova, che tuttavia ebbe anche il riconoscimento ufficiale del duca di Milano. Questi inoltre, secondo il Federici, avrebbe creato nel 1428 il F. suo vicario nella Riviera di Levante. L'erudito genovese non porta referenze a sostegno di questa sua affermazione: la notizia, se rispondesse a realtà, sarebbe testimonianza di un miglioramento dei rapporti tra il F. e Filippo Maria Visconti tale da giustificare un avvenuto accordo tra di loro. Tale accordo - se vi fu - ebbe ad ogni modo breve respiro. Infatti, riapertesi le ostilità fra Firenze ed il duca di Milano, fu nuovamente coinvolto in esse anche il F., con i suoi parenti.
Alla fine del 1429 Firenze, cui la pace di Ferrara lasciava mano libera in Toscana, entrò in conflitto con Paolo Guinigi, signore di Lucca, il quale, vistosi alle strette, si volse per aiuto al duca di Milano. Poiché il trattato di Ferrara gli vietava di intervenire in prima persona in quello scacchiere, Filippo Maria agì per vie indirette. Si premunì innanzi tutto contro il pericolo di attacchi proditori, facendo occupare dalle sue truppe Borgotaro. Indusse poi il governo di Genova, della quale era signore, ad allearsi al Guinigi e ad inviargli consistenti aiuti militari per rintuzzare l'offensiva fiorentina.
La perdita di Borgotaro provocò la reazione del Fieschi, che si riavvicinarono a Firenze: ciò consentì al duca di Milano e al governo genovese di agire a fondo contro di loro. Nel settembre del 1430 un corpo d'esercito visconteo, uscito da Genova sotto il comando di Niccolò Piccinino, investì il piccolo Stato del Fieschi, provocandone la rapida caduta: Torriglia, Savignone, Portofino, l'intera Val di Taro, Varese Ligure furono in breve occupate. Un altro corpo d'esercito, condotto dal genovese Francesco Spinola, conquistò Sestri Levante e Moneglia. Il F., rinchiuso in Pontremoli, resistette ad un primo attacco delle forze del Piccinino. Rimasto senza aiuti dopo la vittoria riportata, sotto le mura di Lucca, dal condottiero visconteo sui Fiorentini, dovette abbandonare la partita quando il generale vittorioso rinnovò l'attacco contro la sua città. Abbandonata Pontremoli al nemico, il F., con la madre, cercò rifugio a Pisa e lì rimase in esilio per diversi anni, sino a quando i Genovesi, sul finire del 1435, si ribellarono al Visconti, cacciandone i rappresentanti.
Non sembra che il F. abbia svolto parti di rilievo nelle fasi successive del conflitto, che si andò allargando e che vide emergere altri esponenti. Nel 1432 Niccolò, uno dei fratelli del F., riprese Torriglia ma fu in seguito battuto e catturato; portato a Genova, fu trattenuto in prigione. La gravissima sconfitta obbligò la famiglia a vendere a Genova per 6000 lire anche il feudo di Roccatagliata. Fu, questo, il periodo più buio per i Fieschi, che dopo aver dovuto abbandonare in mano al duca di Milano i loro domini, si videro ora privati delle loro proprietà immobiliari in Genova senza poter opporre resistenza. Il 27 sett. 1435 i feudi fliscani furono assegnati, da Filippo Maria, a Giacomo Giustiniani, ma il provvedimento non ebbe, in pratica, alcun effetto, superato, come fu, dalle conseguenze della rivolta contro la signoria del duca di Milano, scoppiata in Genova il 28 dicembre di quello stesso anno.Nel 1436 Tommaso Fregoso, tornato al potere come nuovo doge della Repubblica di Genova (3 aprile), fece restituire al F. tutti i suoi antichi domini, ad eccezione di Pontremoli, e lo nominò capitano generale della Riviera di Levante. Quando l'esercito visconteo attaccò Pietrasanta e nel giugno in soccorso della località fu inviato da Genova Niccolò Federici, questi dalle autorità municipali ricevette il mandato anche di accordarsi col F. e di mettersi ai suoi ordini. Del resto Genova, che nel maggio era riuscita a recuperare i castelli nella zona, raccomandò a Francesco Sforza, che militava per Firenze, di collaborare col F. per il riacquisto del controllo di Pontremoli. Sempre con la speranza di poter ottenere questo borgo, il F. partecipò con i suoi armati all'assedio di Lucca e, nel luglio, fece pressioni sullo Sforza, che aveva occupato Nozzano, perché tentasse l'impresa. Il F., tuttavia, non riuscì nel suo intento: Pontremoli passò in effetti, qualche tempo dopo, allo Sforza, ma fu sottratta per sempre al controllo fliscano.
Nonostante questa perdita, il F. dovette svolgere allora un ruolo primario nella vita economica e in quella pubblica genovese. Da un documento del 6 dic. 1437 è possibile ricostruire l'elenco dei beni immobiliari che egli possedeva in Genova: il palazzo di Carignano, uno dei più sontuosi della città (venne fatto radere al suolo da Andrea Doria nel 1547) e che si trovava al centro del quartiere pazientemente costruito dalla famiglia sul colle che domina la città vecchia; il palazzo di piazza S. Lorenzo e quello di piazza S. Donato; e poi edifici minori in altre parti del tessuto urbano. Nei dintorni della città, il F. e la sua famiglia possedevano una villa ad Albaro ed avevano molte proprietà immobiliari anche a Parma. A Genova, dove aveva potuto far ritorno dopo undici anni di forzata lontananza, il F. riprese la sua attività politica collaborando strettamente col doge. Negli anni seguenti il F. mantenne il pieno controllo del suo feudo, sebbene l'iniziativa politica e militare della famiglia, guidata dal nipote Giovanni Antonio Fieschi, fosse di decisa opposizione a Tommaso Fregoso. Ciò dovette preoccupare non poco il F., che vedeva nel nipote anche un pericoloso rivale del proprio figlio Giovanni Filippo per il controllo del feudo familiare. Il 22 giugno 1442 partecipò alle solenni esequie di Battista Fregoso.
Non sappiamo quale posizione il F. abbia assunto negli anni successivi. Certo è che, divenuto doge Giano Fregoso dopo il colpo di Stato del 30-31 genn. 1447, già in quello stesso anno gli fu assegnata una pensione annua di 1200 lire, cui re Alfonso aggiunse altri 1000 scudi. Ebbe anche l'onore di poter sedere in Consiglio accanto al doge. Si impegnò, infine, a collaborare nella guerra contro Galeotto Del Carretto marchese di Finale, scoppiata sul finire dell'anno. Sempre nel 1447 tuttavia, informato da Giano che Giovanni Antonio Fieschi stava trattando una alleanza privata con il re di Francia, il F. preferì non intervenire nella vicenda. Però quando il nipote fu arrestato e messo a morte per alto tradimento (1º ottobre) , chiese che gli venisse affidato il di lui figlioletto, Nicolosino. La richiesta non fu accolta; il F. riuscì, tuttavia, ad ottenere che i feudi già stati del nipote passassero al proprio figlio Giovanni Filippo, destinato a guidare la famiglia negli anni seguenti. Morto Giano Fregoso, il F. propose in Consiglio che al suo posto venisse eletto il fratello Ludovico Fregoso (dicembre 1448).
Il F. morì nel gennaio del 145 1 nel suo feudo di Torriglia (Genova).
Aveva sposato Luisetta (o Lucetta) di Rollando Fregoso, che era ancora in vita nel 1459. Da lei il F. ebbe: Giovanni Filippo; Gottardo, che dopo la morte del F. ne assunse il nome; Antonio Maria; Orlando; Ibleto; Franchetta, che sposò Pietro Fregoso e, dopo la morte di quest'ultimo, Ludovico Gonzaga; e Violante.
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