GIBERTI, Gian Matteo
Diplomatico e vescovo, nacque a Palermo di padre genovese, il 20 settembre 1495, morì in Verona il 30 dicembre 1543. Intorno al 1513 seguì suo padre a Roma (la cui cittadinanza otteneva cinque anni appresso); e venuto in grazia del card. Giulio de' Medici, il futuro Clemente VII, fu suo segretario e confidente, sì da aver subito parte importante negli affari di curia. A lui per primo toccava ricevere le istruzioni del pontefice intorno ai più rilevanti negozî di stato; di modo che, eletto il Medici papa, il G. fu subito nominato datario, e poco appresso (1524) vescovo di Verona, divenendo con Niccolò Schönberg l'uomo più autorevole della curia vaticana. Sennonché, mentre il Schönberg sosteneva l'imperatore Carlo V, il G. rappresentava il partito antimperiale, favorevole a Francesco I; e così, orientatasi decisamente la politica pontificia verso la Francia, al G. toccò nel giugno-luglio 1525 di dirigere i negoziati più gravi. Nel novembre 1524 Clemente l'inviò a Francesco I; e in questa occasione, aiutato efficacemente dal conte di Carpi, gli riuscì d'indurre il riluttante pontefice alla convenzione col re (5 gennaio 1525). Le conseguenze della battaglia di Pavia solo momentaneamente rattennero il G. dall'attuare i suoi piani politici; ché nel giugno e luglio 1525, in buon accordo con la reggente di Francia, Luisa di Savoia, riprese a lavorare in senso nettamente antimperiale, ottenendo al fine di coronare la sua opera con la Lega di Cognac. Era venuto il momento, così scriveva il G., di combattere per la libertà d'Italia. Pienamente d'intesa con Francesco Guicciardini per una energica condotta delle operazioni, fermo nell'additare la conquista di Genova come la cosa che più premeva per il buon esito della guerra, vide invece frustrati i suoi sforzi dall'incerta condotta di Francesco Maria della Rovere; tuttavia persistette nella sua azione antimperiale. Durante il sacco di Roma rimase chiuso col papa in Castel Sant'Angelo; poi fu compreso tra gli ostaggi forniti da Clemente a garanzia delle sue promesse.
Vinto politicamente (pur rimanendo caro al pontefice), sentendosi ormai fuori dal vortice degli affari politici, passò, come già innanzi aveva desiderato, alla sua sede di Verona (18 febbraio 1528). S'aprì allora per lui un nuovo campo di zelo apostolico, dove risplendette la sua figura di vescovo come riformatore dei costumi del clero e del popolo e custode della fede cattolica. Monumento della sua inesausta energia, attestata dalle più autorevoli testimonianze di contemporanei, rimangono le Constitutiones, non piccola parte delle quali passarono indi a non molto nei canoni tridentini. Stimato da Paolo III non meno che avesse fatto il predecessore Clemente, non ebbe il cardinalato non già per i natali illegittimi, come scrissero alcuni storici, ma per l'opposizione dell'imperatore Carlo V, presso cui era in voce di essere troppo ligio alla Francia.
Bibl.: P. e G. Ballerini, Io. Matthaei G. episcopi veronensis, Venezia 1733; G. B. Pighi, G. M. G., 2ª ed., Verona 1924; L. Pastor, Storia dei papi, trad. it., IV, nuova ed., Roma 1926-30; V, ivi 1924.