BERGANTINI, Gian Pietro
Nacque a Venezia il 4 ott. 1685. Ancor giovane si trasferì a Bologna per studiare nel collegio dei gesuiti S. Luigi Gonzaga; dopo otto anni trascorsi a Bologna, si iscrisse all'università di Padova, dove conseguì la laurea in diritto civile e canonico nel 1706. Nel 1711vestì l'abito dell'Ordine teatino, e prese a studiare teologia nella casa S. Bartolomeo in Porta a Bologna, dedicandosi alla predicazione, sino a quando il padre generale dell'Ordine non lo volle con sé a Roma quale segretario (in questa veste egli compie nel 1720 Un viaggio in Germania, di cui abbiamo, manoscritta, la relazione). Dal 1726 in poi dimorò stabilmente a Venezia, dove rimase, dedicandosi quasi esclusivamente alle predilette ricerche lessicali, sino all'anno della morte, che lo raggiunse quasi ottuagenario il 15 febbr. 1764.
L'attività lessicografica del B. va situata nell'ambito delle dispute tra partigiani e avversari dell'Accademia della Crusca: dispute che l'uscita della quarta edizione del Vocabolario (1729-1738) rinfocolava. Egli iniziò quasi in gara con l'Accademia spogli copiosissimi: ma la pubblicazione del suo immenso repertorio Della volgare elocuzione illustrata, ampliata e facilitata (Venezia 1740), "che altri piacque meglio intitolare Tesorodella lingua italiana" - come osserva l'autore nella prefazione alle Voci italiane, p. IX -, s'interruppe al primo volume con le lettere A e B. per quanto l'intera raccolta fosse terminata sin dall'anno 1744. La Crusca, inoltre, che aveva scelto gli autori ammessi secondo i noti criteri puristici, pareva al B. troppo lacunosa: gli riuscì assai facile (seppur molto faticoso, per gli estesi spogli) compilare un nuovo lessico di Voci italiane d'autori approvati dalla Crusca nel Vocabolario d'essa non registrati con altre appartenenti per lo più ad arti e scienze (Venezia 1745).
Con scoperta intenzione polemica il B. vi raccoglieva parole non registrate dalla Crusca al loro luogo alfabetico, eppure da considerarsi "di Crusca", perché usate dagli accademici stessi nelle "definizioni" date nel Vocabolario. Questa fatica lessicografica fu a ragione lodata da alcuni contemporanei, ad esempio dall'Algarotti, dal Sanvitali, e dallo stesso severo critico del B., il Monti, per il quale le Voci italiane costituivano "la poca messe de' buoni vocaboli che in terreno classico fu raccolta dal Bergantini" (Epistolario, IV, p. 274).Ditale raccolta largo uso se ne fece nella ristampa non ufficiale del Vocabolario della Crusca (Napoli 1746), in special modo nella Giunta di vocaboli raccolti dalle opere degli autori approvati dall'Accademia della Crusca, [Napoli] 1751,nella quale si adducevano moltissime delle voci registrate dal B. con spiegazioni assai simili quelle del B. stesso: cosa di cui egli ebbe lagnarsi due anni dopo nel Dizionario italiano, ovvero Voci di scrittori italiani separatamente da quelle che sono sul vocabolario comune (Venezia 1753).
Altri lavori lessicografici del B.: le Voci scoperte e difficoltà incontrate sul vocabolario ultimo della Crusca (Venezia 1758); una nuova raccolta stampata - come annota nella prefazione l'autore - sia perché le Voci scoperte avevanoavuto "in pochi mesi suo spaccio ", sia con il proposito di "surrogar qui le voci de' primi tre padri della toscana lingua che sul vocabolario della Crusca non si veggon poste a registro" (Raccolta di tutte le voci scoperte sul Vocabolario ultimo della Crusca, e aggiunta di altre che ivi mancano di Dante, Petrarca e Boccaccio, Venezia 1760); infine la Scelta d'immagini o saggio d'imitazione di concetti, pubblicata a Venezia nel 1762.
In margine all'attività centrale di lessicografo va annoverata tutta una serie di traduzioni in versi dal latino, soprattutto d'autori francesi: Il Falconiere di J. A. Tuano (trad. del De re accipitraria di A. De Thou) con L'Uccellatura a vischio (trad. dell'Ixeuticon) di P. A. Bargeo (Venezia 1735), opera corredata di molte note erudite; Della possessione di campagna…,del p. J. Vaniero (traduz. del Proedium rusticum del Vanière, ed. di Tolosa 1706), stampata a Venezia nel 1748; una Scelta di poemi latini appartenenti a scienze ed arti di autori della Compagnia di Gesù, pubblicata a Venezia nef 1749, e, sempre nello stesso anno, I quattro libri delle cose botaniche diF. E. Savastano, con copiose annotazioni in fine d'ogni libro che mostrano come il B. fosse un cultore intelligente ed erudito di botanica, e infine l'Antilucrezio o di Dio e della natura del cardinale Melchiorre di Polignac (Verona 1752), apparso quasi in concorrenza alla traduzione del p. Ricci. Scrisse egli stesso poesie di argomento sacro, prive di effettivo valore, e prose oratorie, panegirici in lode di santi (Prose sacre e poesie varie, Venezia 1755). Molte opere del B. giacciono manoscritte - a detta dei suoi biografi - nelle biblioteche dei teatini: tra queste la Relazione di certo viaggio fatto per alcune parti della Germania con varie osservazioni, la traduzione in versi della Coltura degli orti di Columella e I due libri degli orti dell'Esperidi del Pontano, I tre libri della coltura degli orti di G. Milio Voltolina (Vezzosi, pp. 128 s.), oltre ad alcune lettere dirette all'abate Gioidano Baruffaldi (Cicogna, p. 820).
Particolarmente significativa è l'opera lessicografica, nonostante essa rimanga nei limiti di una concezione per lo più conservatrice e priva di grandi novità. Il B. si professa insistentemente "nemico della barbarie" e si pregia di "stare alle leggi d'una lingua", preferendo rivolgersi con ossequio "al modo di scrivere… praticato già con candore, e nitidezza, ne' buoni secoli" (Raccolta di tutte le voci scoperte, pp. 116, 118). Risente comunque l'eco delle idee propugnate con maggiore decisione da coloro che si battevano per l'allargamento del canone, e per l'inclusione più larga nei lessici di voci di scrittori non toscani, o per una maggiore libertà e novità terminologica. Si pensi agli spogli che furono condotti per le Voci italiane: il B. spoglia soprattutto, è vero, autori "approvati" del '300, e pochissimi del '400; ma per il '500 entrano in massa scrittori non "approvati" come il Tansillo, il Navagero, il Franco, il Davila, il Goselini, senesi come il Bargagli e il Lombardelli, e addirittura l'Ulloa e il Ramusio, tutt'altro che puristi, liberissimi anzi nell'accogliere in gran copia forestierismi; indicativa poi l'inclusione, per il Sei e Settecento, di autori come il Rosa, il Botero, il Maggi, Carlo dei Dottori, Guidubaldo Bonarelli, Paolo Beni, il Tassoni, il Tesauro, e poi l'Algarotti, il Crescimbeni, il Gravina, G. Gozzi, il Muratori, ed ancora prosatori di materie scientifiche, da Cosimo Mei e Geminiano Montanari, al Vallisnieri, oltre a un bel numero di minori e di minimi. Non vanno sopravvalutati con ciò i risultati del B., anche perché gli spogli copiosissimi sono ridotti a citazioni troppo sommarie. A ragione il Monti, quando esaminò le parti del Tesoro rimaste inedite, acquistate dal Gamba per incarico del governo di Milano (l'Istituto lombardo, nei primi anni del regime austriaco non aveva lasciato cadere l'iniziativa presa durante gli ultimi anni del regime napoleonico perché si compilasse, ad opera di dotti di tutta Italia, un nuovo grande vocabolario) esprimeva in una lettera del 15 maggio 1815 parere negativo sul manoscritto inviato alla commissione perché se ne servisse, giudicandolo "un inerte e vasto coagulo di parole ", poiché "il Bergantini a null'altro ha posto il suo studio che a far cumulo di parole ( alla qual fatica tutti son atti), traendole senza scelta e senza critica ponderazione da ogni fatta di libri" (Epist., IV, p. 272), da una "ciurma di sciagurati scrittori" senza preoccuparsi di "separarvi l'oro dalla mondiglia" (ibid.,p.274). Il difetto più grave inoltre risiedeva nell'aver citato il solo termine, isolato, senza addurre l'esempio; lo rilevava ancora il Monti, osservando che "le parole, solitariamente considerate non sono che inerti immagini delle cose, e male si può conoscere se quella immagine sia efficace e fedele ove non si vegga posta in azione" (ibid., p. 273).
Quanto alle sue idee linguistiche, non va certo negata la presenza di una nuova coscienza, più concreta, dei fatti di lingua, attenta non solo all'ossequio di una tradizione "nobile" depositata nel complesso delle buone scritture del passato, ma anche rivolta (come propugnava il gruppo del Caffè) alle cose; seppur non direttamente o lucidamente impegnato in contese teoriche d'ambito più generale, lo troviamo molto spesso convinto fautore di idee ben vive nel suo tempo, quando, per esempio, egli mostra di aspirare a un più moderno universalismo linguistico entro la frattura delle province italiane. Si aggiungano poi le sue convinzioni circa la "chiarezza" e la "barbarie" della lingua ("al parlar chiaro, le voci non sono barbare, ma barbaro può ben essere quegli che non sa usarle ": Voci scoperte, p. 124), e sul rapporto tra l'uso vivo del parlato e le imposizioni normative delle accademie (ibid.),nonché sulla vastità del lessico nuovo e della terminologia più moderna rispetto alla povertà degli scrittori approvati dalla Crusca, "che se comparativamente alla proprietà del parlare hanno essi scritto bene, a confronto della vastità del parlare, hanno scritto poco" (Prefazione alle Voci italiane,p. XI). Egli è conscio che il suo secolo è "sopra tutti gli andati ricco di scienze, e di maggiori cognizioni, e di nuove scoperte, e di nuovi libri" (Voci scoperte,p. 116): ilche implica l'insofferenza del lessicografo verso la rigidezza di una tradizione lessicografica d'impronta puristica e retorica.
Bibl.: Oltre a C. von Wurzbach, Biographisches Lexicon des Kaiserthums Oesterreich, Wien 1856-1891, I, p. 298; P. L. Ginguené, in Biographie universelle ancienne et moderne, IV, Paris 1811, pp. 245 s.; F. Novati, Diz. bibl. degli scrittori italiani, s. 1, fasc. I, n. 20, Milano 1898, cfr. G. Cinelli Calvoli, Biblioteca volante, I, Venezia 1734, p. 140; Memorie per la storia letteraria, XII, Venezia 1758, p. 390; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 2, Brescia 1760, p. 943; G. B. Chiaramonti, Elogio del p. Giampietro B., in La Minerva…, XXVII(1764), pp. 249-264; Raccolta d'opuscoli scientifici e filologici, XXVII, Venezia 1742, p. 9; F. Vezzosi, Scrittori de' chierici regolari teatini, I, Roma 1780, p. 121; V. Monti, Proposta di alcune correzioni ed aggiunte al Vocabolario della Crusca, II, 1, Milano 1819, p. VII; Id., Epistolario, IV, Firenze 1929, pp. 272 ss.; B. Gamba, Gall. dei letterati ed artisti più illustri delle prov. austro-ven… nel sec. XVIII, Venezia 1822-1824, I, p. 39; II, p. 306; Id., Serie dei testi di lingua, Venezia 1828, p. 486; E. A. Cicogna, Delle Inscrizioni veneziane…, IV, Venezia 1834, pp. 104, 645; VI, ibid. 1853, p. 820; E. De Tipaldo, Biogr. d. ital. illustri…, Venezia 1834-1845, X, pp. 220 s.; P. Viani, Diz. di pretesi francesismi, I,Firenze 1858, p. LXII; P. A. Saccardo, La botanica in Italia…,Venezia 1901, II, p. 18; P. Donazzolo, I viaggiatori veneti minori, Roma 1927, p. 277; G. Natali, Il Settecento, Milano 1944, pp. 534 s., 554 n., 558 n.; B. Migliorini, Storia della lingua italiana, Firenze 1960, pp. 508-519 (spec. p. 517); Id., Che cos'è un vocabolario, Firenze 1961, pp. 57 n., 58, 62, 66, 79, 86, 97.