Gian Pietro Chironi
Le tensioni che attraversano la cultura giuridica italiana tra Otto e Novecento si specchiano nell’opera di Chironi, caratterizzata da attenzione per il positivismo scientifico e da nette distinzioni tra questioni giuridiche e sociali, da rivendicazioni di ‘scienza per la scienza’ e da ambigue valorizzazioni della giurisprudenza ‘pratica’. Al di là del quadro stereotipato di una lineare evoluzione della civilistica nazionale dall’esegesi al sistema, le sue pagine fanno emergere il tormentato percorso della «scuola del diritto civile italiano» dalla centralità del codice civile alla crisi dello Stato liberale e alla frammentazione dell’unità del diritto.
Munito di una solida formazione romanistica, aperto alle innovazioni metodologiche, sensibile alle trasformazioni sociali e tenace difensore dell’unitarietà e dell’autonomia del giuridico, Chironi propone il profilo ideale del giurista nazionale: professore, avvocato e politico. Nato a Nuoro il 5 ottobre 1855, laureatosi a Cagliari nel 1876 e poi lì aggregato di diritto romano e civile, professore di diritto civile a Siena dal 1881 e poi a Torino dal 1885 sino al termine della carriera, fu deputato della Sinistra per il collegio di Nuoro nella XVIII legislatura (1892-95) e ricoprì incarichi politici e accademici a Torino (dal 1903 al 1906 fu rettore dall’Ateneo); nel 1908 fu nominato senatore. Morì a Torino il 1°ottobre 1918.
Ricordandolo nel 1927 dalla cattedra torinese, Filippo Vassalli (Discorso, in Gian Pietro Chironi, 1928, pp. 13 e segg.) collegò il suo itinerario scientifico, dai primi scritti degli anni Ottanta alla «fama negli studi», al «travaglio» che condusse la civilistica italiana dalla «gretta casistica» alla ricostruzione sistematica e all’attenzione dei «problemi agitanti la massa sociale nei bisogni nuovi». Già anni prima Alfredo Rocco (La scienza del diritto privato in Italia negli ultimi cinquant'anni, «Rivista di diritto commerciale», 1911, 1, p. 298), indicando Emanuele Gianturco, Vittorio Polacco e Chironi come precursori e promotori del rinnovamento, aveva proposto gli stessi tratti comuni alla civilistica: rinuncia «alla arida casistica e al commentario pedestre»; sistema, privo però delle «astruserie metafisiche della dottrina tedesca»; «uso delle generalizzazioni» consapevole dell’«elemento sociale del diritto». Tutti i necrologi e le commemorazioni (un elenco è in Gian Pietro Chironi, 1928, p. 9) non mancarono di segnalare, spesso in maniera enfatica, la piena corrispondenza tra i caratteri nazionali della civilistica e la vita e le opere del civilista sardo.
Presentando nel 1884 il primo volume della sua opera più nota (La colpa nel diritto civile odierno. Colpa contrattuale), Chironi intervenne con pagine destinate a suscitare polemiche nel dibattito sul «rinnovamento del metodo»: «l’ideale bello, splendido» di «una scuola nazionale nello studio del diritto civile» non esige più «ragionamenti teoretici e astratti» ma studio degli istituti, severa costruzione di una «teoria del codice civile»; la scuola «veramente nazionale» deve risalire alla «purissima» sapienza giuridica romana e al diritto comune, superare i risultati dell’esegesi francese e giungere finalmente a un sistema scientifico del codice «non per i soli bisogni del foro, ma in se stesso, nei suoi principî» (Del libro e del metodo, Prefazione a La colpa nel diritto civile odierno. Colpa contrattuale, 1884, pp. VI e segg.). Il proclama – che a dire di Polacco dava voce a quanti «vagheggi[avano] il sorgere di una scuola civilistica nazionale» (Recensione, «Rivista italiana per le scienze giuridiche», 1885, p. 231) – non riuscì in quel momento a unificare le diverse posizioni: la professione di fede apparve ad alcuni una superficiale e confusa riduzione del diritto civile entro la dimessa veste di scienza del codice, ad altri una grave rottura del ‘felice connubio’ tra scienza e pratica (sul contrasto con Gianturco cfr. Alpa 2000, pp. 182 e segg.).
Nel 1897 Chironi ritornò sulla pagina che aveva suscitato reazioni (non intendevo – scrisse - «consigliare un dissidio tra la scienza e la pratica», ignorare «la vita vera del diritto», La colpa nel diritto civile odierno. Colpa contrattuale, 18972, p. VI) e, nel corso degli anni, non mancò mai di sottolineare il carattere scientifico-pratico di tutti i suoi scritti. Nel raccogliere «in ordine di sistema» i suoi studi, propose come filo conduttore proprio il nesso tra teoria e pratica e sottolineò compiaciuto il contributo apportato al movimento giuridico dell’ultimo trentennio. Alle pagine sulla giurisprudenza antepose i ‘manifesti metodologici’ riuniti entro una linea coerente: la prefazione del 1884, accompagnata com’era dalla ‘rilettura’ del 1897 e da pagine dell’edizione del 1912 delle Istituzioni di diritto civile, proponeva ora l’alleanza tra teoria e pratica come mezzo indispensabile per giungere alla piena conoscenza della legge, per scorgere «l’adattabilità dei principî in essa accolti ai fenomeni nuovi della vita». L’‘unione’ non era disegnata però in maniera paritaria: il ruolo preminente della teoria emergeva dal forte richiamo all’«unità del diritto regolatore dei rapporti umani», alla radicazione di tutte le «differenze» nella «medesima unità», alla presenza di «principî comuni» sempre sottesi «al vario e molteplice atteggiarsi della vita sociale» (Studi e questioni di diritto civile, 1° vol., 1914, p. 17).
La rappresentazione disegnava anche lo sviluppo della scuola italiana di diritto civile: bloccati entro una dimensione ‘pratica’, i fedeli imitatori dei commentari francesi erano privi della visione dell’insieme e del «metodo stesso della buona indagine» («se il diritto è scienza pratica, male l’applicazione si svolge e si presta agilmente alla varietà e delicatezza dei casi della vita, quando manchi padronanza ampia, sicura, netta dei principî costruiti a scienza»); solo grazie all’abbandono del commento e all’approdo a un «corpo ordinato di dottrina» fu possibile acquisire un metodo e formare una scienza. E «scienza vera conduce di necessità a sistema», a piena consapevolezza dell’unitarietà del diritto: il sistema «non [è] la conoscenza dei casi particolari indagati come argomento a sé […] sibbene la notizia sicura dei concetti generali dominanti la varietà specifica dei casi dalla cui disamina e dal cui ordinamento son tratti» (L'opera di E. Pacifici-Mazzoni e lo studio del diritto civile in Italia, 1907, in Studi e questioni di diritto civile, 1° vol., cit., pp. 78 e 80).
Nel manifesto della metà degli anni Ottanta a favore di una ‘scuola’ lontana dalle preoccupazioni del foro si sovrapponevano esigenze di consolidamento scientifico dell’unitario diritto nazionale codificato e necessità di dominare – confrontandosi con la sociologia, l’evoluzionismo, la storia e la comparazione – trasformazioni sociali avvertite come dirompenti per l’unitarietà del diritto. Nella prolusione senese del 1881 il giovane Chironi accomuna i diversi aspetti con l’espressione ‘evoluzione della legislazione civile’. «[L]a necessaria evoluzione» relativizza la legge («la legge non è dogma del quale sia carattere la immutabilità; la legge scritta non ha a rinchiudersi in un assoluto senza vita, […] non può né deve prevalere all’evoluzione feconda delle idee»), modifica formalmente gli istituti o ne raffina «i principî ordinatori» lasciandone immutata «la veste». La «lotta evolutiva» crea «selezione» («le parti deboli […] cedono») e trasforma la realtà giuridica indirizzandola «verso la libertà», «l’eguaglianza coordinata alla libertà»: «ecco la grande evoluzione che si compie nella legislazione come in tutto il mondo morale; la libertà nell’ordine è legge che governa i fatti naturali; che opera costante nel vastissimo concatenarsi dei fatti umani in cospirazione di cause e di effetti, e domina la vita dello spirito» (Il diritto civile nella sua ultima evoluzione, 1882, in Studi e questioni di diritto civile, 1° vol., cit., pp. 36, 42, 43). Anche il pensiero giuridico è segnato da tale evoluzione dal «servaggio scientifico» alla «compiuta indipendenza e autorità», dalla dipendenza da modelli stranieri al «sistema vero del diritto civile italiano». Se ferme sono le certezze evoluzionistiche, altrettanto ferma è però la difesa della legalità codicistica: la teoria è consapevolezza del tutto che si impone al giudice, spingendolo a non staccarsi mai dalla legge: «il magistrato deve pensare che nulla è più savio della legge» (Il diritto civile nella sua ultima evoluzione, cit., pp. 47, 48).
Qualche mese dopo, in occasione della commemorazione di Charles R. Darwin presso l'Università di Siena, la «lotta evolutiva» torna a essere proposta come «rinnovamento di vita», «progresso», «movimento continuo» di un nucleo indiscutibile di certezze che (‘oggettivamente’) si trasformano in modo corrispondente alle nuove condizioni della realtà: le leggi non cadono per volere sovrano ma per «la forza dei tempi», per l’incessante trasformazione di «idee fondamentali [che] rimangono perché intorno ad esse si compie l’evoluzione» (Il darwinismo nel diritto, 1882, pp. 8, 22).
Nel 1885 il confronto con il positivismo di Auguste Comte e soprattutto di Herbert Spencer (di cui si richiama The man versus the State, 1884) diviene più serrato e tormentato. Dalla lezione positivistica della «necessaria corrispondenza fra atto legislativo e condizione sociale del momento», la scienza giuridica deve trarre soprattutto l’insegnamento per cui «la società non è un meccanismo che il legislatore possa regolare a suo arbitrio». La «fede nel progresso continuo dell’umanità», «nella continua evoluzione verso l’autonomia individuale» riconferma la centralità di idee fondamentali («adattantisi a qualunque tempo, a qualunque condizione») sottoposte a lentissima evoluzione grazie al continuo «lavoro di interpretazione» del giurista. Dal «positivismo odierno» – conclude – occorre trarre «la successione storica» (il «metodo storico»), «la tendenza a generalizzare» («il metodo conducente al sistema»), «la prevalenza» della teoria sulla pratica: «nella scuola va costruita la teoria della legge» (Sociologia e diritto civile, 1886, pp. 11, 15).
La ‘necessaria evoluzione’ scientifica del diritto offre anche la via da seguire per sottrarsi alle estremizzazioni liberiste di Spencer e alle opposte richieste di un ruolo eccessivamente attivo dello Stato. Il giurista non può ignorare la comunità politica e la vita associata per schierarsi ‘contro lo Stato’ ma non può neppure accettare la continua interferenza del legislatore nella vita degli istituti e sostenere uno Stato «imprenditore del benessere degli associati»: il sistema (la teoria del diritto nazionale codificato) si pone come punto di equilibrio tra difesa della legalità e necessaria evoluzione del diritto.
Il tema degli infortuni sul lavoro offre un banco di prova rilevante per misurare la tenuta della ‘via intermedia’ di fronte a una questione concreta. I progressi dell’industria – scrive – hanno mutato i rapporti di lavoro ma pensare di risolvere la questione sociale con l’intervento dello Stato (con la legge speciale o, addirittura, con la modifica degli articoli del codice civile) è operazione vana e dannosa: «questo diritto romano e questo Codice civile contro i quali piovvero le censure […] guarantiscono nei modi più ampi la libertà dei contraenti, la inviolabilità dei patti. Perché volere un’eccezione avente tutto il carattere di privilegio?» (Sociologia e diritto civile, cit., p. 12). Al tema Chironi aveva dedicato un denso saggio che, assumendo come «criterio direttivo» la «distinzione della questione giuridica dalla sociale», mirava proprio a negare con forza «privilegi» a favore del lavoro industriale, «eccezioni al diritto comune» e al «criterio generale posto in materia di responsabilità dal codice civile» (Della responsabilità dei padroni rispetto agli operai e della garanzia contro gli infortuni sul lavoro, «Studi senesi», 1884, 2, p. 128).
Il sistema, esaltato negli stessi anni nelle pagine sul metodo, offriva risposte unitarie alle trasformazioni in corso, univa le parti nel tutto, conciliava la lezione dell’evoluzionismo e della sociologia con la «visione legalistica» che restava comunque un «sicuro terreno positivo da cui non allontanarsi» (Grossi 1988, p. 34).
La convinzione che il quadro ‘comune’ di principi codificati offrisse l’ordine attraverso cui interpretare i fatti sociali segna l’intera opera di Chironi. Protesa com’è a sistematizzare i principi tradizionali, la teoria della colpa ha il dichiarato obiettivo di impedire lo sgretolamento dei principi ‘di sempre’ e di ribadire che «nel diritto civile è il diritto comune, quel diritto che più di ogni altro contiene le norme ispirate a generale giustizia» (La colpa nel diritto civile odierno. Colpa contrattuale, 18972, p. 521). La ‘teoria’ realizza la necessaria evoluzione dell’istituto, conserva la generale giustizia, contrasta i privilegi e i frammentari interventi legislativi speciali. L’evoluzione delle idee fondamentali affidata al sistema appare, però, sempre più difficile da conservare: la distinzione tra regola generale e transitorie eccezioni legislative produce incertezze ricostruttive e genera finzioni che restringono l’ambito del diritto comune (di fronte alla legge del 1898 sugli infortuni sul lavoro Chironi restrinse il campo della civilistica «responsabilità vera» per far spazio alla ‘transitoria’ presenza della pubblicistica «garanzia» prospettata dall’assicurazione obbligatoria); l’apertura al sociale del sistema, quando diviene più ardita, è resa fragile dalle coerenze imposte dallo stesso diritto comune (rompendo gli indugi legalistici degli anni antecedenti, Chironi sostenne il divieto di abuso del diritto, ma la possibilità di accordare al giudice la valutazione del fine sociale fu, con argomenti cari allo stesso Chironi, contrastata perché arrecava un vulnus alla logica liberale del sistema e alle ‘idee fondamentali’ del diritto privato). È, in fondo, la stessa tenace difesa del diritto civile come diritto comune a segnare «l’ambiguità» dell’opera di Chironi, ora caratterizzata da aperture, ora da «chiusure e sordità» (Grossi 1998, p. 407).
La prolusione torinese del 1898, dedicata a L’individualismo e la funzione sociale del diritto (in Studi e questioni di diritto civile, 1° vol., cit., pp. 21 e segg.), propone programmaticamente la via dell’equilibrio tra le istanze di «rinnovamento profondo» e «le tendenze strettamente conservatrici». Lo sguardo nei confronti della sociologia è oramai disincantato e preoccupato: l’estensione alla «vita sociale» delle leggi dei fenomeni della «vita fisiologica», la mera applicazione delle conquiste delle scienze sperimentali alla scienze sociali, ha prodotto – scrive – illusioni, esasperazione dei conflitti (la sociologia è divenuta «scienza della lotta per l’egemonia tra i vari gruppi sociali») e «nessun giovamento al malessere sociale». Il diffondersi nel campo giuridico della «dottrina sociologica» e delle «teorie socialistiche» nega ogni forma di equilibrio e, proponendo il completo «assorbimento dell’individuale nel collettivo», mira oramai al radicale mutamento, alla distruzione, della «struttura» e della «concezione stessa del diritto privato odierno». Se il giurista non può trascurare – aggiunge - «le analogie tra la società, nel senso fisiologico, e la società umana», egli non può e non deve giungere a ritenere che «la società è l’essere e che tutte le unità vivono in lei e per lei» e ad accettare così «il livellamento morale», la soppressione «sotto il peso di immaginarie leggi fatali» della libera «azione individuale», lo Stato «dispensatore di beni» e «alleviatore dei mali».
Per fissare il giusto equilibrio tra «signoria individuale» e «freno della socialità», occorre allora trarre dalla «dottrina sociologica» e dal «movimento socialistico» semplicemente l’incentivo a «valutare in ogni istituto l’elemento sociale» e a respingere «le astrazioni puramente metafisiche», le costruzioni fini a se stesse dei «puristi del diritto privato» che «restringono la ragione del diritto alla volontà, all’interesse personale». Senza confondere «la conservazione con l’immutabilità», occorre ancora collegare armonicamente le parti e il tutto per conservare e innovare.
La crisi dell'ordine codicistico rende, però, sempre meno certe le parti da difendere e conservare, sempre più ambigua ‘l’innovazione-conservatrice’.
Partecipando ai festeggiamenti per i cent’anni del codice Napoleone, Chironi propone con enfasi la vicenda della ‘italianizzazione’ del modello napoleonico e il percorso dell’affermarsi di un codice nazionale italiano e di una scienza giuridica autonoma; non manca di sottolineare, però, la crisi dell’unitario ordine codicistico, la sua incapacità di far fronte ai nuovi fenomeni sociali, di conciliare le forze rivali, «l’élément social» e «l’élément individuel». Se il quadro normativo di riferimento è in crisi, restano però i principi: più che riforme e leggi speciali, è necessario soprattutto – torna a ripetere – valorizzare il lavoro dell’interprete:
de la sorte, la loi acquerra la flexibilité de mouvements qui lui permettra de s’adapter aux contingences le plus diverses de la vie; de cette façon, il ne sera pas nécessaire, en présence de toute combinaison nouvelle des phénomènes sociaux, de faire appel au législateur pour lui demander d’innover (Le Code civil et son influence en Italie, in Le Code civil 1804-1904. Livre du centenaire, 1904, poi in Studi e questioni di diritto civile, 1° vol., cit., pp. 65, 66).
Sempre più segnati da umori antilegislativi e antiparlamentari, riemergono i tratti della civilistica nazionale (superamento della ‘gretta’ casistica, sistema ‘non astratto’, attenzione al sociale) ma la certezza di riuscire, conservando e innovando, a fronteggiare il «vario e molteplice atteggiarsi della vita sociale», è sempre meno forte negli anni della crisi della legalità codicistica.
Il darwinismo nel diritto, discorso pronunziato per la commemorazione di C. Darwin, tenuta nella R. Università di Siena il 21 maggio 1882, Siena 1882.
Il diritto civile nella sua ultima evoluzione, prolusione al corso di diritto civile nella R. Università di Siena tenuta il 17 gennaio 1882, Siena 1882; poi in Studi e questioni di diritto civile, 1° vol., 1914, pp. 32 e segg.
Della responsabilità dei padroni rispetto agli operai e della garanzia contro gli infortuni sul lavoro, «Studi senesi», 1884, 2, pp. 127-55; 3, pp. 231-305.
La colpa nel diritto civile odierno, 1° vol., Colpa contrattuale, Torino 1884, 18972; 2° vol., Colpa extra-contrattuale, 2 tt., Torino 1886-1887, 1903-19062.
Sociologia e diritto civile, prolusione al corso di diritto civile nella R. Università di Torino, detta il 25 novembre 1885, Torino 1886.
Istituzioni di diritto civile italiano, 2 voll., Torino 1888-1889, 19122.
Quistioni di diritto civile. Studi e ricerche sulla giurisprudenza civile italiana, Torino 1890.
Trattato dei privilegi, delle ipoteche e del pegno, 2 voll., Torino 1894-1901, 1917-19182.
L’individualismo e la funzione sociale del diritto, discorso letto il 17 novembre 1898 in occasione della solenne apertura degli studi nella R. Università di Torino, in Studi e questioni di diritto civile, 1° vol., 1914, pp. 21 e segg.
Trattato di diritto civile italiano. Parte generale, Torino 1904 (in collaborazione con L. Abello).
Le Code civil et son influence en Italie, in Le Code civil 1804-1904. Livre du centenaire, Paris 1904 [la trad. franc. fu curata da R. Saleilles]; poi in Studi e questioni di diritto civile, 1° vol., 1914, pp. 49 e segg.
L’opera di E. Pacifici-Mazzoni e lo studio del Diritto civile in Italia, 1907, in Studi e questioni di diritto civile, 1° vol., 1914, pp. 77 e segg.
Studi e questioni di diritto civile, 4 voll., Torino 1914-1915.
Gian Pietro Chironi, in Memorie dell’Istituto giuridico della R. Università di Torino, s. II, 1, Torino 1928 (in partic. F. Vassalli, Discorso, pp. 13 e segg., e la bibliografia completa degli scritti, pp. 27-63).
M. Caravale, Chironi Gian Pietro, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 25° vol., Roma 1981, ad vocem.
N. Irti, Francesco Filomusi Guelfi e la crisi della scuola esegetica in Italia (1979), in Id., Scuole e figure del diritto civile, Milano 1982, pp. 33-47.
P. Grossi, «La scienza del diritto privato». Una rivista-progetto nella Firenze di fine secolo (1893-1896), Milano 1988.
G. Cazzetta, Responsabilità aquiliana e frammentazione del diritto comune civilistico. 1865-1914, Milano 1991.
P. Grossi, Itinerarii dell’assolutismo giuridico. Saldezze e incrinature nelle «parti generali» di Chironi, Coviello e Ferrara (1998), in Id., Assolutismo giuridico e diritto privato, Milano 1998, p. 383-441.
G. Alpa, La cultura delle regole. Storia del diritto civile italiano, Roma-Bari 2000.
G. Cazzetta, Codice civile e identità giuridica nazionale, Torino 2011.