FANCELLI, Gian Pietro
Nacque a Siena nel luglio 1682 da Girolamo, cancelliere del magistrato dei Conservatori, e da Nobilia Bigelli, secondo di quattro figli. Fu inviato nel seminario arcivescovile di S. Giorgio per compiere gli studi di grammatica, umanità e rettorica sotto la guida del sacerdote F. Castellucci.
Nel seminario si distinse per le sue buone qualità oratorie (recitò diverse composizioni latine e volgari nelle accademie pubbliche che vi venivano organizzate) e per la particolare pietà religiosa (fu ascritto alla ven. Compagnia di S. Caterina da Siena detta della Notte, che impegnava all'imitazione delle virtù eminenti della santa). Nel 1700, in occasione dell'anno santo, partecipò al pellegrinaggio alle basiliche romane e al santuario di Loreto. La particolare devozione mariana lo spinse ad accettare, assai giovane, l'incarico di sacrestano dell'oratorio della Compagnia.
Nel 1702 entrò nell'Ordine dei servi di Maria presso il convento senese, sul colle di S. Clemente. Per eccezione gli venne lasciato il nome di battesimo e, finito l'anno di noviziato, il 20 luglio 1703, emise la professione solenne.
In considerazione delle sue buone qualità intellettuali fu scelto fra gli studenti "promovendi" ai gradi accademici. Studiò greco, ebraico e filosofia sotto la guida del p. Gherardo Capassi, che si distingueva per l'applicazione del metodo storico-critico dei maurini francesi. Seguì a Roma i corsi teologici del p. Callisto Lodigeri, autore di tre volumi di Disputationes theologicae, e conseguì il baccellierato in teologia presso lo Studio generale "Gandavense". Dopo altri tre anni coronò gli studi teologici con la laurea (nel 1712 ebbe l'onore di dedicare le sue "tesi" al card. Lorenzo Corsini, protettore dell'Ordine).
Fu inviato lettore di filosofia nel collegio di S. Giuseppe di Bologna e per un anno in quello di Siena, dopo di che venne eletto per un biennio reggente del convento della Ss. Annunziata di Firenze. Chiamato a reggere lo Studio generale "Gandavense" di Roma, v'insegnò per nove anni con notevole vantaggio dell'Ordine dei serviti, essendo usciti dalla sua scuola diversi insegnanti, predicatori e provinciali di una certa rinomanza. Benedetto XIII lo nominò teologo del concilio romano lateranense del 1725.
Oltre che all'attività didattica, il F. si dedicò all'oratoria sacra. Fra i suoi panegirici viene segnalato quello tenuto nella chiesa del Gesù di Roma in occasione della canonizzazione di Luigi Gonzaga e di Stanislao Kostka nel 1726.
Durante la sua permanenza a Roma strinse amicizia col concittadino Girolamo Gigli, che in segno di pentimento delle sue focose battaglie letterarie lo incaricò di distruggere tutti i suoi manoscritti dopo la morte.
Il suo antico maestro Capassi lo pregò di sostituirlo nella lettura di teologia dogmatica presso l'università di Pisa e il granduca Gian Gastone gli assicurò la successione nella medesima cattedra. A Pisa il F. insegnò per sette anni la teologia scolastica (1727-1734) e poi la dogmatica (1735-1736) riportando il lusinghiero giudizio tramandatoci dal Fabroni che "molti lo ritennero pari ai sommi teologi" per la dottrina, l'eleganza dello stile, la pronta memoria e la delicata pronuncia. Nei suoi corsi si occupò della confutazione delle teorie del pastore calvinista J. Daillé e di quelle del giurista Y. de Barbeyrac circa la morale dei padri della Chiesa.
Nel 1727 Giulio Rucellai, che era stato suo collega d'insegnamento, si offrì di presentarlo al primo posto nella terna dei candidati al vescovado di Pescia, ma il F. rifiutò. Sette anni più tardi fu promosso provinciale della Toscana da Clemente XII. Nel 1737, convocato il capitolo provinciale, venne eletto definitore generale, esaminatore e definitore perpetuo della provincia. Ricevette molteplici incarichi di controllo sul clero secolare dal granduca Gian Gastone e dall'arcivescovo di Pisa; il presidente dell'Ordine dei cavalieri di S. Stefano gli affidò la direzione spirituale delle nobili cavalieresse di Pisa.
Scadendo il mandato del padre generale servita Giuseppe Inghirami Curti nel 1744, alcuni membri dell'Ordine, vista l'impossibilità di convocare il capitolo generale per la guerra di successione austriaca e per mancanza di mezzi, proposero al cardinal protettore di far nominare direttamente dal papa il successore e indicarono nel F. uno dei candidati. Esaminata la volontà dei "vocali" mediante lettera, risultò indicato il F. che, eletto con breve papale del 26 marzo 1744, prese possesso il 23 maggio seguente.
Come generale dei serviti, egli si preoccupò prima di tutto del riordinamento degli studi (circolari 6 marzo 1745 e 7 genn. 1747). Esercitò molta cura nella scelta dei "promovendi" ai gradi accademici e si preoccupò d'allargare gli orizzonti culturali degli studenti coll'affermare, per i baccellieri in filosofia, una certa libertà metodologica. In particolare tolse ogni obbligo di difendere "più uno che un altro sistema" filosofico, compreso quello aristotelico. Queste direttive furono accompagnate da provvedimenti concreti diretti ad elevare il grado degli studi letterari nelle sedi di noviziato mediante l'apporto d'insegnanti esterni e a rinnovare gli studi scientifici e teologici su base sperimentale e storica, in evidente sintonia col movimento culturale caratteristico del pontificato di Benedetto XIV.
S'impegnò anche nel far osservare la disciplina regolare negli eremi di Cibona e di Monterano (decreto del 22 genn. 1747); ottenne per l'Ordine la facoltà d'impartire una volta l'anno la benedizione papale (12 apr. 1747).
Nell'adunanza capitolare del 16 maggio 1750 il F. fu confermato nella carica di generale per un altro sessennio, durante il quale visitò la maggior parte dei conventi italiani. Nel 1751 fu anche eletto membro della congregazione dell'Esame dei vescovi alla presenza del papa.
Decaduto dalla carica, nel 1756 ritornò nel convento di Siena al quale dimostrò uno speciale attaccamento provvedendo ad alcuni restauri, donando arredi e suppellettili sacre e fornendolo di una grande biblioteca con testi moderni.
Morì a Siena il 12 dic. 1757.
Nonostante i tanti anni d'insegnamento e d'impegno culturale, il F. non ha lasciato, per espressa volontà testamentaria, scritto alcuno, fatta eccezione della Vita del santo servita Pellegrino Laziosi pubblicata anonima a Roma nel 1727 (Fabroni, p. 116).
Fonti e Bibl.: Siena, Bibl. comun., B. VII, 18, filza III, Miscellanea, fasc. 5; Archivio di Stato di Firenze, Corporazioni religiose soppresse, Ss. Annunziata, vol. 57, Ricordanze, 1744 maggio 23, p. 373; A. Fabroni, Historiae Academiae Pisanae, III, Pisis 1795, pp. 114, 116, 119 s.; Monumenta Ordinis servorum S. Mariae, XX, Romae 1930, pp. 211 s., 313-316; R. Taucci, Il p. G. P. F. senese, generale, in Studi storici dell'Ordine dei servi di Maria, I (1933), pp. 208-218; A. M. Rossi, Manuale di storia dell'Ordine dei servi di Maria, Roma 1956, pp. 136 s., 794; G. M. Roschini, Galleria servitana, Roma 1976, p. 451; P. Benassi, La formazione culturale del card. Caselli, in Studi storici dell'Ordine dei servi di Maria, XXX (1980), pp. 169 s.; D. Marrara, Le cattedre ed i programmi d'insegnamento dello Studio pisano nell'ultima età medicea (1712-1737), in Boll. stor. pisano, LI (1982), p. 140; L. De Candido, I servi di Maria in Italia nel secolo XVIII, in I servi Maria nel Settecento, Monte Senario 1986, pp. 32, 45.