SILVIO, Gian Pietro (Giovan Pietro, Giampietro). – Non si conoscono luogo e data di nascita di questo pittore, figlio di un certo Marco di Francesco (sconosciuto risulta il nome della madre)
, attivo a Venezia e nel suo entroterra a partire dagli anni Trenta del Cinquecento.
La presenza di numerosi dipinti firmati nel Trevigiano e nel Bergamasco ha suggerito l’ipotesi di una provenienza da una di queste aree geografiche, ipotesi che tuttavia non ha ancora trovato una base documentaria. Altrettanto difficile da stabilire è la data di nascita, che, sulla scorta delle prime opere giunteci, dovrebbe potersi collocare entro lo scadere dell’ultimo decennio del Quattrocento (Scirè, 1969, p. 210). Secondo questa cronologia dovrebbe collocarsi entro la fine del terzo decennio del nuovo secolo il matrimonio con Graziosa Vasio, sorella del poeta e umanista di origine friulana Gianpaolo Vasio. La coppia – che un tardo documento del luglio del 1548 attesta come residente a Venezia nella parrocchia di S. Maria Formosa (Ludwig, 1905, p. 150) – ebbe tre figli: Francesco, Troilo (documentato nel 1539 come procuratore del padre), e Marco Antonio, anche quest’ultimo pittore (Scirè, 1969, p. 210). Di grande interesse per la ricostruzione biografica è infine la citazione del suo nome da parte di Gianpaolo Vasio nella dedica a Gaspare Contarini, vescovo di Belluno, de La Eneide di Virgilio tradotta in terza rima (per Bernardino di Vitali, Venezia 1538), nella quale Silvio viene ricordato come «eccellente pittore, cugnato suo, et servidore vostro» (c. 2v).
Restano ignoti i dettagli della formazione di Silvio, che si presume si possa essere svolta a Venezia tra il secondo e il terzo decennio del Cinquecento. Per quanto nel suo linguaggio compaiano riferimenti tizianeschi, è ancora priva di qualsiasi riscontro l’ipotesi di un suo alunnato presso Tiziano, riportata da numerose fonti ottocentesche (tra cui anche Cicogna, 1842, p. 757). L’analisi stilistica ha consentito di rintracciare spunti e citazioni da numerosi pittori attivi nel contesto veneziano di primo Cinquecento, che testimoniano la grande ricettività del maestro. Tra i modelli cui Silvio sembra aver guardato con più attenzione figurano Palma il Vecchio, Paris Bordon, Lorenzo Lotto, Giovan Girolamo Savoldo e il Moretto (Scirè, 1969, p. 211).
La prima opera firmata risale al 1532, quando Silvio licenziò la pala con S. Martino in trono tra i ss. Pietro e Paolo per il duomo di Piove di Sacco (Padova), un dipinto che rielabora formule di repertorio prossime a quelle di Palma il Vecchio e Tiziano. A questa tela si lega la Madonna in trono tra i ss. Agostino e Lorenzo, già in deposito all’Art Gallery di Glasgow, che riprende la figura dell’angelo musicante posto ai piedi del trono. Qualche anno più tardi, nel 1536, Silvio ricevette un pagamento per due teleri «da portego» non identificati (raffiguranti un Ratto delle Sabine e una Centauromachia) eseguiti per Zuan Paolo da Ponte, il quale fece seguito a un precedente esborso per un ritratto della moglie, registrato sotto il 1533 (Muraro, 1949, pp. 84 s.). L’attività di ritrattista proseguì anche negli anni seguenti, con la realizzazione di un Ritratto d’uomo con una lettera in mano (Vienna, Kunsthistorisches Museum; Wilde, 1934), firmato «Jo. pe. S.» e datato 1542. Attorno a questo dipinto è stato riunito un piccolo gruppo di ulteriori ritratti, che rivelano discrete capacità di indagine psicologica e resa formale (Scirè, 1969, pp. 212 s.).
Il 6 marzo 1539, come vincitore di un concorso che vedeva partecipi tra gli altri Bordon e Bonifacio Veronese, Silvio ricevette l’incarico per la realizzazione di un telero per la Scuola Grande della Carità raffigurante lo Sposalizio della Vergine (Venezia, Gallerie dell’Accademia; in deposito a Mason Vicentino, chiesa parrocchiale). La commissione (già affidata a Pordenone, che non poté assolverla per la morte prematura nel gennaio del 1539) prevedeva che il dipinto dovesse venir completato entro un anno dalla firma del contratto, una scadenza che tuttavia Silvio non riuscì a onorare, nonostante che avesse già ricevuto un sostanzioso anticipo di 40 ducati alla stipula dell’accordo. Dopo numerosi solleciti da parte dei confratelli, il grande telero venne finalmente portato a compimento entro i primi mesi del 1544 (Rosand, 1997, pp. 104 s.). L’opera rivela un pittore non del tutto a suo agio con il genere narrativo di grande formato, incapace di articolare in profondità lo svolgimento dell’azione, che viene risolta in una galleria di ritratti dei confratelli della Scuola. Il ritardo nell’esecuzione fu forse determinato dal concomitante impegno con i nobili Priuli per l’altare di famiglia nella chiesa di S. Felice: da essi Silvio ricevette alcuni pagamenti (tra il dicembre del 1539 e il marzo del 1540; Ludwig, 1905, p. 149) per una pala (perduta) che raffigurava secondo le fonti antiche S. Giacomo tra i ss. Paolo, Nicolò, Andrea e Bernardino; è interessante notare come anche in questo caso si trattasse di un incarico affidato in precedenza a Pordenone. Tra i documenti relativi a questa commissione si conserva una supplica inedita non datata di mano del Silvio indirizzata a Nicolò Priuli, nel quale il pittore – evidentemente in ristrettezze economiche – richiedeva al nobile «qualche ducato per spender in questi giornj» (Archivio di Stato di Venezia, Procuratori de citra, b. 13, f. interno). Tra quarto e quinto decennio del Cinquecento si collocano anche alcune delle principali pale d’altare eseguite per l’entroterra veneziano. Non datata, ma riferibile alla seconda metà degli anni Trenta, è la pala firmata con Cristo morto sostenuto da angeli per la chiesa di S. Giacomo di Sedrina, nel Bergamasco. Firmata e datata 1546 è invece l’Ascensione alla presenza di s. Zeno per la chiesa di S. Zeno ad Aviano (Pordenone), il cui contratto di commissione porta la data del 1544 (Cicogna, 1842, p. 757). Al 1549 risale il S. Vendemiano fra i ss. Girolamo e Liberale con Cristo morto sorretto dagli angeli per la parrocchiale di S. Vendemiano, vicino Treviso. Al contesto degli anni Quaranta dovrebbe appartenere infine anche la Madonna in trono fra i ss. Giovanni Battista e Donato vescovo per la chiesa di S. Donato di Garigliano, nel Veneziano (Lucco, 1988, p. 209).
Attorno a questo nucleo di opere per lo più firmate e datate è stato riunito in diversi tempi un sostanzioso gruppo di dipinti contraddistinti da analoghe caratteristiche formali, gruppo che consente di restituire a Silvio il profilo di un pittore di ampio successo nel contesto veneziano del secondo quarto del Cinquecento. In base alla densa ricostruzione operata in due tempi da Alessandro Ballarin (1991; 2006), spetterebbero a Silvio tra gli altri: la Madonna in trono con i ss. Benedetto e Giustina, un Compianto sul Cristo morto e un Ritratto di donna con turbante e collana di perle (Padova, Musei civici); il telero con i Ss. Francesco e Girolamo con due devoti in paesaggio, già in precedenza conteso tra Pellegrino da San Daniele e Francesco Beccaruzzi (Dublino, National Gallery of Ireland); un affresco staccato con la Vergine in trono tra i ss. Antonio da Padova e Bernardino (Padova, chiesa di Ognissanti); una Vergine in trono tra i ss. Lorenzo e Orsola e il procuratore Lorenzo Pasqualigo (già a Murano, S. Maria degli Angeli; ora a Murano, S. Pietro Martire), databile attorno alla metà degli anni Trenta e in passato a lungo attribuita a Giulio Licinio; un Cristo e l’adultera (Berlino, Gemäldegalerie), già riferito a Rocco Marconi; la Sacra famiglia e i ss. Giovanni Battista e Girolamo (Baltimora, The Walters Art Gallery); e la Sacra famiglia con i ss. Maria Maddalena e Francesco e il ritratto del committente (San Francisco, De Young Memorial Museum), in precedenza assegnata a Bonifacio Veronese. Sulla base di questa ricostruzione, il corpus pittorico di Gian Pietro Silvio è stato in seguito ulteriormente allargato dall’aggiunta di un Cristo e l’adultera (mercato antiquario, già Verona, collezione Giusti del Giardino; Tanzi, 1997), nonché di un’Ultima Cena (Verona, Museo di Castelvecchio; in deposito presso il refettorio di S. Bernardino della stessa città) e un Ritrovamento della vera croce (Odessa, Museo d’arte occidentale e orientale), derivato da un disegno attribuito a Baldassarre Peruzzi e databile alla fine degli anni Trenta (Fossaluzza, 2012).
Non si conosce con precisione la data di morte, che dovette avvenire a Venezia plausibilmente verso la fine del 1551, come conferma il fatto che il 7 gennaio 1552 la moglie inoltrò una supplica ai giudici del Proprio per mettere al sicuro la dote di fronte ai debitori del marito (Ludwig, 1905, p. 150). Gustav Ludwig dà anche notizia del ritrovamento di un inventario post mortem del pittore, che tuttavia non risulta essere più stato pubblicato (p. 145).
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Procuratori di San Marco, de citra, b. 13, f. interno.
P. Pino, Dialogo di pittura, Venezia 1548, c. 24r; E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, V, Venezia 1842, pp. 591, 757; G. Ludwig, Archivalische Beiträge zur Geschichte der venezianischen Malerei, in Jahrbuch der Königlich Preussischen Kunstsammelungen, 1905, vol. 26, pp. 1-159 (in partic. pp. 142-150); J. Wilde, Zwei Tizian-Zuschreibungen des 17. Jahrhunderts, in Jahrbuch der Kunsthistorischen Sammlungen in Wien, n.s., 1934, vol. 8, pp. 161-172; G. Fiocco, S., G.P., in Allgemeines Lexikon der bildenden Künstler, a cura di U. Thieme - F. Becker, XXXI, Leipzig 1937, p. 41; M. Muraro, Il memoriale di Zuan Paolo da Ponte, in Archivio veneto, LXXIX (1949), pp. 77-88; S. Moschini Marconi, Gallerie dell’Accademia. Opere d’arte del secolo XVI, Roma 1962, pp. 212 s.; R. Pallucchini, Tiziano, I, Firenze 1969, p. 220; G. Scirè, Appunti sul Silvio, in Arte veneta, XXIII (1969), pp. 210-217; M. Lucco, La pittura nelle provincie di Treviso e di Belluno nel Cinquecento, in La pittura in Italia. Il Cinquecento, a cura di G. Briganti, I, Milano 1988, pp. 208-218 (in partic. pp. 209, 215 nota 10); Id., S., G.P., ibid., II, p. 838; A. Ballarin, in Da Bellini a Tintoretto. Dipinti dei Musei civici di Padova dalla metà del Quattrocento ai primi del Seicento (catal., Padova), Roma 1991, pp. 123-135, n. 59, p. 251, n. 178; M. Lucco, Venezia 1500-1540, in La pittura nel Veneto. Il Cinquecento, I, Milano 1996, pp. 13-146 (in partic. pp. 91, 139 s. nota 358, 143 nota 379); P. Tieto, Pala di G.P. S. a Piove di Sacco, in Padova e il suo territorio, XI (1996), 59, pp. 14 s.; D. Rosand, Painting in sixteenth century Venice. Titian, Veronese, Tintoretto, Cambridge 1997, pp. 104 s., 173 s.; M. Tanzi, Una nuova “Adultera” del Silvio, in Scritti per l’Istituto germanico di storia dell’arte di Firenze, a cura di C. Acidini Luchinat et al., Firenze 1997, pp. 307-310; G. Fossaluzza, in Restituzioni 2002. Capolavori restaurati (catal.), a cura di C. Bertelli, Vicenza 2002, pp. 152-159, n. 23; M. Lucco, in Natura e maniera. Le ceneri violette di Giorgione (catal., Mantova), a cura di V. Sgarbi, Milano 2004, pp. 154 s., nn. 30-31; A. Ballarin, La “Salomè” del Romanino ed altri studi sulla pittura bresciana del Cinquecento, a cura di B.M. Savy, I, Cittadella 2006, pp. 219-254; G. Fossaluzza, Da Baldassarre Peruzzi a Giampietro Silvio: il Ritrovamento della Vera Croce di Odessa – una soluzione per Alessandro Oliverio, in La sensibilità della ragione. Studi in omaggio a Franco Piva, a cura di L. Colombo et al., Verona 2012, pp. 201-230; Un Cinquecento inquieto: da Cima da Conegliano al rogo di Riccardo Perucolo (catal., Conegliano), a cura di G. Romanelli - G. Fossaluzza, Venezia 2014, pp. 200-202.