PINELLI, Gian Vincenzo
PINELLI, Gian Vincenzo. – Nacque a Napoli nel 1535, figlio di Cosmo e di Clementina Ravascheria. Il padre, genovese di origine, si era trasferito a Napoli per gestire la sede commerciale della famiglia. Dal matrimonio ebbe sei figli: Lucrezia, Galeazzo, Gian Vincenzo e la sorella gemella Cornelia, Carlo e Giulia. Il giovane Gian Vincenzo, di salute piuttosto cagionevole e con inoltre un occhio leso durante un gioco d’infanzia, si dedicò esclusivamente agli studi: ebbe come primo insegnante delle lingue latina e greca il filosofo e letterato napoletano Gian Paolo Vernaglione, mentre venne affidato a Bartolomeo Maranta, allievo di Luca Ghini, per la medicina e la botanica; infine per la musica venne affidato al compositore fiammingo Philippe Van den Berge, meglio noto nella forma italianizzata di Filippo de Monte. Dotato di grandi capacità intellettuali (conosceva il latino, il greco, l’ebraico, il francese e lo spagnolo), chiese di potersi trasferire a Padova per studiare diritto alla celebre università. Dopo un iniziale rifiuto, nel 1558 il suo desiderio venne esaudito dal padre, il quale nutriva la speranza di favorire l’accesso del figlio a una futura carriera ecclesiastica all’interno della Curia romana nella Camera apostolica, ma presso lo Studio padovano il giovane Pinelli non conseguì mai la laurea, preferendo dedicarsi a coltivare i propri interessi in maniera autonoma.
Non è noto dove dimorò nei suoi primi anni nella città antenorea, ma attorno al 1565 prese domicilio in una casa di proprietà della famiglia Mocenigo nelle vicinanze della chiesa di S. Sofia, per poi spostarsi in un palazzo alla Crosara del Santo, identificato con l’attuale numero civico 151 di via del Santo, dove rimase fino alla morte.
Nei primi anni del soggiorno padovano entrò in rapporti di amicizia con Paolo Manuzio, e in seguito anche con il figlio Aldo il Giovane, con l’erudito umanista Gianfrancesco Mussato, con il matematico Guidubaldo Bourbon del Monte, con il futuro cardinale Agostino Valier, con i fratelli Giovanni – poi cardinale – e Ippolito Aldobrandini, quest’ultimo eletto al soglio pontificio con il nome di papa Clemente VIII. Ben presto la sua fama di uomo erudito si diffuse ben al di là dei confini veneti, la sua abitazione divenne punto di incontro di tutti gli intellettuali più in vista di Padova e la biblioteca meta obbligata per gli studiosi in visita nella città: furono suoi ospiti personalità del livello di Galileo Galilei, Giusto Lipsio, Girolamo Mercuriale, Sperone Speroni, Girolamo Fabrici d’Acquapendente, Melchiorre Guilandino, Thomas Segeth, Claude Dupuy, Enrico Van de Putte, Nicolas-Claude Fabri de Peiresc, Torquato Tasso, Donato Giannotti, Giovanni Botero, ma anche Roberto Bellarmino, Cesare Baronio e Federico Borromeo. La tolleranza dello Stato veneziano, il particolare status dell’Università di Padova, frequentata da studenti provenienti da tutta l’Europa, e l’assoluta ortodossia religiosa di Pinelli garantirono attorno alla sua persona una sorta di zona franca dai pervasivi controlli dell’Inquisizione, nonostante il particolare periodo storico in cui viveva. A riprova possono essere citati gli almeno 85 titoli proibiti dall’Indice presenti nella sua biblioteca e soprattutto il fatto che mai vennero poste limitazioni o restrizioni su chi frequentasse la sua casa, punto d’incontro aperto tra intellettuali di diverse nazionalità, religioni e lingue per lo scambio di informazioni e scoperte scientifiche.
Pur essendo un uomo assai colto – molti sono infatti i volumi da lui annotati (Aristotele, Cicerone, Tacito ecc.) e inoltre fece parte di diverse accademie, tra cui quelle degli Elevati, degli Occulti e degli Eterei – non pubblicò mai nessuna opera e non produsse alcun abbozzo di studio a un livello tale da poterne favorire almeno una circolazione manoscritta tra gli amici e i corrispondenti: la sua biografia ‘eroica’, scritta da Paolo Gualdo, risulta essere così la vera e unica testimonianza dell’intensa attività culturale profusa da Pinelli durante l’arco della sua vita. Tale scelta, sicuramente ponderata, risulta quanto meno singolare se raffrontata con l’impostazione degli eruditi e degli umanisti dell’epoca, tutti proiettati alla pubblicazione delle proprie opere per il raggiungimento di fama e di remunerazioni materiali. Pinelli invece, che era un nobile già ricco di mezzi di fortuna e privo di una famiglia propria, decise di dedicare tutte le energie per la creazione di un ambiente riservato e appositamente concepito allo scopo di favorire l’avanzamento della conoscenza comune mediante l’attività scientifica e culturale. Tutto questo grazie a una serie di strumenti di studio da lui stesso forniti, di cui il più importante fu sicuramente la raccolta libraria. Ma oltre alla biblioteca vi era anche una serie di raccolte materiali destinate al supporto della ricerca scientifica, quindi non ancora concepite alla stregua delle Wunderkammer che tanto successo ebbero nel secolo successivo: creò, per esempio, un giardino ricco di numerosissime piante provenienti anche dall’estero e una raccolta di semi (la sua passione per la botanica si era già manifestata in epoca giovanile con la formazione di un piccolo orto botanico nel palazzo napoletano di famiglia), acquisì collezioni di fossili e di minerali, carte geografiche, globi, strumenti astronomici, ottici e geometrici, una scelta raccolta di monete antiche e 105 ritratti di personaggi illustri.
Per molti versi l’abitazione di Pinelli fu la più compiuta realizzazione dell’ideale della Respublica litteraria, in quanto in un unico luogo erano concentrati, e messi a disposizione degli studiosi, fonti e strumenti unicamente finalizzati alla ricerca umanistica e scientifica con un respiro internazionale. L’ospitalità presso la sua casa prevedeva soprattutto l’uso della sua vastissima biblioteca, dotata di edizioni a stampa e di manoscritti non filtrati preventivamente dal controllo censorio. Proprio per questo motivo, un presupposto essenziale per essere ammessi era la garanzia che gli studiosi, sufficientemente noti o presentati da una fonte autorevole, condividessero lo spirito di quel circolo informale, che vi gravitava stabilmente, e fossero dotati della necessaria discrezione. Per esempio, fu grazie a una menzione di lode, fatta da Lipsio nella centuria terza delle sue lettere e ribadita poi dai giudizi favorevoli di Thomas Segeth e di Enrico Puteano, che il giovane Peiresc poté accedere all’abitazione di Pinelli quando giunse a Padova alla fine del 1599 durante il suo tour d’Italie. Qui poté conoscere e frequentare personaggi del calibro di Galileo Galilei, Paolo Sarpi e stringere durature amicizie con Lorenzo Pignoria, Paolo Gualdo, Gerolamo Aleandro il giovane, venendo introdotto a discipline che segnarono la sua esistenza come la filologia, la scienza, la numismatica e l’antiquaria in generale.
Sebbene fosse dotato di una naturale affabilità nei modi, Pinelli fu uomo dalla vita molto riservata. Scelse una forma di aristocratico isolamento, restio com’era a partecipare a occasioni mondane quali balli, spettacoli o banchetti; inoltre per carattere fu sempre reticente nel comunicare agli altri i suoi pensieri e le sue idee, perfino con gli amici più stretti, a cui però garantiva la massima disponibilità nel campo dell’erudizione e della ricerca. Unica eccezione la riservò al più giovane Paolo Aicardo, nato ad Albenga e nel 1570 trasferitosi da Torino a Padova per seguire i corsi di medicina all’Università. Qui assistette alle lezioni di Mercuriale, curandone la pubblicazione nel 1572 con il titolo De morbis cutanei et omnibus corporis humani excrementis tractatus (Venetiis, Meietti, 1572). Probabilmente fu proprio tramite il professore dello Studio, medico personale dell’erudito, che conobbe Pinelli e il suo carattere aperto e brillante incontrò quello più austero e riservato dell’altro. Dai gusti raffinati, amante di oggetti eleganti, di monete antiche e di libri, raccolse uno scelto gruppo di opere di autori classici, poi confluito nella ben più vasta raccolta pinelliana. La stima e la confidenza che si instaurarono tra i due fu tale che, quando Pinelli nel 1573 si recò a Napoli per visitare i fratelli e le sorelle, affidò la propria abitazione e la biblioteca al giovane. Dal momento del suo ritorno, Aicardo stabilì definitivamente la propria residenza nel palazzo Pinelli fino alla morte avvenuta il 10 agosto 1597 con grande dolore dell’amico.
Pinelli si trovò al centro di una vastissima rete epistolare internazionale, che fu lo strumento principale per la creazione di un esteso sistema informativo in grado di far circolare idee e notizie erudite, facilitando così le relazioni tra gli studiosi dell’epoca. Per esempio si fece da tramite per mettere in contatto naturalisti come il bolognese Ulisse Aldrovandi e il napoletano Ferrante Imperato con colleghi d’Oltralpe, come Jacob Zwinger a Basilea, Charles de l’Écluse a Leida e Joachim Camerarius a Norimberga. Grazie alle sue risorse personali e alla rigorosità morale che lo contraddistinse, riuscì a garantire per anni l’effettivo funzionamento di una sorta di circolo culturale non formalizzato, che poté operare sempre in totale autonomia dalle altre istituzioni coeve, quali università, accademie, ordini religiosi e apparati statali o di corte. Non fu un caso se Pinelli conservò i carteggi con i suoi corrispondenti con estrema cura, in quanto inedite fonti documentarie di grande importanza, considerando anche che tra essi vi erano personalità come Claude Dupuy, Iacopo Corbinelli, Fulvio Orsini, Piero Vettori, Carlo Sigonio, Henry Savile, Lipsio, Aldrovandi, Marc-Antoine Muret, Henri Estienne, Joseph-Juste Scaliger, Antonio Agustín e altri ancora. Si può quindi ritenere che l’apporto fornito da Pinelli alla cultura europea del tempo stia nella realizzazione di una duratura rete di relazioni tra intellettuali di varie nazioni in grado di far circolare liberamente un sapere ancora di tipo per lo più enciclopedico.
L’influenza a livello metodologico di Pinelli sulla generazione successiva fu evidente soprattutto in Peiresc, che adottò pienamente il suo modus operandi, trasferendolo dal contesto culturale italiano ancora di stampo umanistico a quello del libertinismo erudito europeo. Pinelli infatti – come del resto lo stesso Peiresc – non fu autore di nessuna opera: i suoi interessi culturali sono testimoniati da scritti rimasti per lo più a uno stadio embrionale o di abbozzo, sicuramente redatti a uso personale e non per una futura stampa. Per comprendere il metodo di lavoro seguito da Pinelli, basta considerare l’esemplare che gli appartenne delle Opere di Aristotele in greco edite da Aldo Manuzio tra il 1495 e il 1498 (Milano, Biblioteca Ambrosiana, Inc.274). L’opera, rilegata in 12 volumi, fu completamente interfogliata per poter aggiungere note e commenti manoscritti, frutto di un continuo lavoro critico durato svariati anni e compiuto non da un’unica persona, ma dall’intera cerchia di studiosi che ruotavano attorno al circolo pinelliano.
Secondo la testimonianza di Peiresc, la biblioteca privata di Pinelli era costituita da circa 10.000 volumi, di cui almeno 8440 a stampa (Carprentras, Bibliothèque Inguimbertine, ms. Peiresc 1769: N.-C. F. de Peiresc, Ex indicibus Ioannis Vincentii Pinelli collecta, c. 331v), tra i quali oltre il 60% provenienti da Oltralpe, e oltre 700 manoscritti. Erano collocati in 21 armadi contrassegnati dalle lettere dell’alfabeto e suddivisi all’interno per sezioni a seconda del soggetto o dell’autore, con un’ulteriore suddivisione per lingua dei testi. Otto erano invece i cataloghi dei manoscritti: greci, latini e volgari, libri a stampa postillati (trattati quindi come manoscritti), scritti dei professori dell’Università di Padova, il catalogo dei cataloghi di manoscritti appartenenti ad altre importanti biblioteche istituzionali e private (tra cui quelle di Giovanni Pico della Mirandola, del cardinale Bessarione, Fulvio Orsini, Francesco Patrizi, Francesco Barozzi, Mercuriale), un indice dei manoscritti ancora da catalogare, manoscritti greci usati per la stampa, regole per la gestione della biblioteca (quest’ultimo andato perduto). Si trattava di una delle pochissime biblioteche di tale consistenza presenti all’epoca in Europa ed era caratterizzata da una particolare attenzione per gli strumenti bibliografici, principali fonti organiche di notizie per l’espansione e la completezza della biblioteca stessa, spesso redatti dallo stesso Pinelli con l’aiuto degli amici e dei suoi corrispondenti, e che poi all’occorrenza venivano diffusi nella sua cerchia. Pur trattandosi di una biblioteca di tipo universale secondo la concezione dell’epoca, si possono evidenziare alcune tematiche maggiormente sviluppate: la teologia, la filosofia – soprattutto le opere aristoteliche con i loro commenti (erano presenti una novantina di edizioni, praticamente tutte le più importanti uscite in Europa), quelle di Platone e le opere filosofiche di Cicerone –, testamenti e opere di genealogia, gli scritti politico-diplomatici delle corti italiane ed europee, le scritture della Repubblica di Venezia (alla sua morte dalle autorità veneziane vennero sequestrate ben due casse di copie manoscritte di documenti riservati, per un totale di circa 200 pezzi, dopo che l’intera biblioteca era stata trasportata a Venezia per essere debitamente esaminata), gli ‘avvisi’ provenienti non solo dall’Italia ma da molte città fino a Praga, a testimonianza dell’interesse di Pinelli per l’attualità, infine matematica, geometria (ancora con una forte presenza di testi di tipo astrologico) e la produzione dei professori dell’Università di Padova, anche con la raccolta delle loro lezioni e praelectiones. Secondo la testimonianza del biografo Gualdo, Pinelli era un tipo di bibliofilo un po’ particolare, in quanto non si curava della bellezza o del pregio estetico dei volumi che acquistava, bensì del testo e del contenuto del libro, poco importandogli se fosse stato slegato, o dotato di una legatura povera, o addirittura rovinata. Inoltre era un accanito raccoglitore di cataloghi di vendita dei librai veneziani e di quelli della fiera di Francoforte, utilizzati come fonti principali d’informazione bibliografica per l’aggiornamento della propria biblioteca. Tali fonti venivano affiancate e integrate dalla corrispondenza con i suoi amici italiani e transalpini, che all’occorrenza si facevano tramite per l’invio dei volumi. Tra i manoscritti di proprietà di Pinelli spicca per la sua particolare importanza la cosiddetta Ilias picta o Ilias Ambrosiana (Milano, Biblioteca Ambrosiana, F.205.inf.), parte di un codice miniato del V secolo di ambito alessandrino, unica testimonianza di questa specifica tradizione artistica libraria. Deve inoltre essere ricordato che la biblioteca di Pinelli è considerata la principale raccolta libraria a cui Galileo fece riferimento nel suo soggiorno a Padova a partire dal 1592. I manoscritti di natura matematica, astronomica, ottica furono oggetto di attento studio da parte del professore pisano, in particolar modo i lavori del matematico Ettore Ausonio sull’ottica e gli scritti di Giuseppe Moleti, lasciati per testamento a Pinelli.
Morì nella sua abitazione a Padova il 3 agosto 1601.
Può sorprendere che, nonostante l’impegno sia intellettuale sia economico profuso in più di quarant’anni di vita nell’allestimento della biblioteca e la liberale disponibilità dimostrata per gli studiosi, non abbia pensato a una qualche forma di istituzionalizzazione atta a preservane l’integrità anche dopo la sua morte. Si sa che inizialmente l’aveva destinata ad Aicardo e che in seguito alla sua morte aveva ipotizzato di lasciarla ai gesuiti, tra cui aveva molti amici come Antonio Possevino. La decisione finale fu invece a favore del nipote Cosmo Pinelli, duca di Acerenza, marchese di Galatina e dal marzo 1601 gran cancelliere del Regno di Napoli, risiedente a palazzo Giugliano nei feudi di famiglia nei pressi di Napoli, a sua volta dotato di un certo gusto bibliofilo. Gian Vincenzo era stato vittima di una malattia durata più di un anno e tale circostanza gli aveva permesso di valutare accuratamente il destino delle sue proprietà. Il fatto di non destinare Padova quale naturale sede della sua biblioteca, ma di farla passare in un contesto ben diverso da quello per cui l’aveva creata, è un evidente segnale che con la propria morte Pinelli ritenesse terminata l’esperienza del circolo raccoltosi attorno a lui e quindi anche la funzione di quei libri che tanti intellettuali avevano studiato, consegnandoli al nipote quasi come fossero una qualsiasi memoria di famiglia. Dopo la sua morte, la biblioteca e le collezioni degli strumenti scientifici furono imballati in 130 casse e nel 1602 caricati su tre navi per il trasporto verso il porto pugliese di Fortore e quindi via terra verso Napoli, ma al largo di Ancona il convoglio venne assalito dai pirati, che si impossessarono di una delle imbarcazioni. Delle 33 casse presenti, ne vennero gettate in acqua 11 (8 di libri, 2 di ritratti e una contenente strumenti matematici e scientifici), perché considerate di nessun valore. La nave abbandonata fece naufragio sulla costa nella zona di Porto San Giorgio, vicino a Fermo, dove vennero recuperate le altre casse di libri. Inaspettatamente il nipote Cosmo, venuto nello Stato veneto con la famiglia per sistemare l’eredità dello zio, morì improvvisamente a Padova il 31 ottobre 1602. La biblioteca passò così al figlio ancora minorenne Giovanni Francesco e, dopo alcuni anni di abbandono, venne venduta in un’asta pubblica il 14 giugno 1608 a Napoli, dove fu acquistata dagli emissari del cardinale Borromeo. Negli anni che corsero tra la morte di Pinelli e la vendita all’asta vennero dispersi circa 3000 volumi (2000 nello sfortunato trasferimento via mare e poco più di 1000 dagli eredi prima della vendita all’asta), come attestano gli inventari post mortem conservatisi. Infine, per finanziare il trasporto della parte che veniva considerata di maggior interesse, soprattutto i manoscritti e le edizioni in greco, venne alienato direttamente nella capitale partenopea circa 1/3 dei libri a stampa. L’anno successivo i volumi restanti vennero trasportati prima a Genova e quindi a Milano, dove entrarono a far parte della Biblioteca Ambrosiana.
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