PALANTI, Giancarlo
PALANTI, Giancarlo. – Nacque a Milano il 26 ottobre 1906, da Giuseppe, noto pittore e decoratore, professore alla Accademia di Brera, e da Ada Romussi.
Il nonno materno era Carlo Romussi, giornalista e uomo politico milanese, intellettuale e critico letterario, redattore al Gazzettino Rosa e al Secolo di Edoardo Sonzogno. Lo zio Mario Palanti (Milano, 20 settembre 1885 - Milano, 4 settembre 1978) fu un architetto italiano particolarmente attivo nel continente latino-americano. Dopo aver terminato gli studi al Politecnico, nel 1909 partì alla volta di Buenos Aires per collaborare, insieme al torinese Francisco Gianotti, alla realizzazione del padiglione italiano per l’Esposizione del centenario della Rivoluzione di Maggio, progettato da Gaetano Moretti. A Buenos Aires costruì molto e tornò a più riprese. È noto per aver realizzato il palazzo Barolo, inaugurato nel 1923 e dichiarato monumento storico nazionale nel 1997: un edificio maestoso ed enfatico, che doveva celebrare la prosperità del suo committente, l’industriale tessile italiano Luigi Barolo, emigrato in Argentina. Fu il primo grattacielo dell’America Latina e per la sua forza espressiva, nel 1922, i fratelli Salvo, anch’essi industriali tessili, commissionarono a Mario Palanti il loro palazzo a Montevideo, un edificio pressoché identico al grattacielo argentino, che lo superava di 15 metri in altezza. Realizzò in seguito il quartier generale della Chrysler (Buenos Aires 1928), un grande edificio che occupa tre isolati, dalle facciate neoclassiche con colonne e frontoni, dotato di una pista di prova in copertura, ispirata al Lingotto di Torino. Architetto eclettico e anticonvenzionale, in Italia realizzò il Civico Mausoleo Palanti nel cimitero Monumentale di Milano (1924) e partecipò ai due più importanti concorsi banditi dal regime fascista: il concorso per il palazzo del littorio a via dell’Impero (Roma 1933) e il concorso per l’auditorium di Roma (1935), soluzioni utopistiche ed eccentriche con le quali cercava di rientrare nel novero degli architetti accreditati dal regime, in un periodo che aveva oramai adottato il linguaggio razionalista.
Laureatosi presso il Politecnico di Milano nel 1929 Giancarlo Palanti frequentò il gruppo originario degli architetti razionalisti, con i quali condivise alcune importanti vicende legate alla nascita del movimento moderno in Italia, che a Milano assunse un carattere meno locale che altrove, con un’adesione più marcata alle esperienze d’Oltralpe. Nacquero in questo ambiente le sue partecipazioni alle Triennali, la collaborazione con le riviste Domus e Casabella, la presenza attiva nell’ambiente accademico come assistente incaricato presso la facoltà di architettura del Politecnico di Milano dal 1935 al 1946, le esperienze nel campo della progettazione. Palanti si fece interprete di istanze e aspirazioni internazionali per tutto il corso della sua vita, sia nei 15 anni che trascorse in Italia, sia successivamente, quando si trasferì definitivamente nel continente latino-americano.
Nel 1931 aprì uno studio professionale a Milano con Franco Albini e Renato Camus con i quali realizzò interventi di edilizia popolare ispirati al modello delle Siedlungen tedesche del primo dopoguerra, caratterizzate da essenzialità formale, massima apertura verso l’esterno, rigore funzionale della viabilità e dei servizi generali. Lo studio esordì nel 1932 con il concorso per il quartiere Baracca a San Siro e nel 1933 partecipò alla V Triennale di Milano che veniva allestita per la prima volta nel nuovo palazzo nel parco Sempione, progettato da Giovanni Muzio: tra le costruzioni dimostrative temporanee costruite nei giardini, il gruppo, guidato da Giuseppe Pagano, presentò la casa in struttura di acciaio, che indagava il tema dell’immagine dell’abitazione moderna esibendo un nudo telaio metallico ai primi due piani; Albini e Palanti si occuparono dell’arredamento di uno degli alloggi.
Nel corso degli anni Trenta gli allestimenti temporanei furono le palestre che permisero ai giovani architetti razionalisti di sperimentare nuove soluzioni, sondando le potenzialità delle nuove teorie e di un nuovo uso dei materiali. Con Emilio Lancia, nel 1934, Palanti fu autore del padiglione Rayon nella casa alla XV Fiera di Milano; nel 1936 dell’allestimento del Salone d’onore della VI Triennale, con Edoardo Persico, Marcello Nizzoli e Lucio Fontana; nel 1938, con Albini, del padiglione della FIAT, alla Fiera campionaria di Milano e nello stesso anno a Roma, alla Mostra autarchica del minerale italiano, allestita al Circo Massimo, con Albini e Giulio Minoletti, realizzò il padiglione del piombo e dello zinco della Montecatini. Sempre nell’ambito della ricerca razionalista, nel 1939 fece parte di un nutrito gruppo di milanesi (Albini, Minoletti, Ignazio Gardella, Giovanni Romano e per la parte artistica Fontana) che partecipò al concorso per il palazzo dell’acqua e della luce per l’E 42.
In questo periodo di crescita del linguaggio moderno, Palanti mise a punto un suo modo personale che, nella ricerca della semplificazione e del rigore di stampo mitteleuropeo, si caratterizzava per una particolare eleganza, ravvisabile in particolare nel prospetto principale dell’edificio ad appartamenti in via Pacini 23 a Milano, realizzato su incarico della società immobiliare Milano-Ticino nel 1934. Seguì la realizzazione dei quartieri dello IFACP (Istituto Fascista Case Popolari) Fabio Filzi (1936-38), Gabriele D’Annunzio ed Ettore Ponti (1939), nei quali, di nuovo in collaborazione con Albini e Camus, affrontò il tema dell’insediamento popolare.
Il Fabio Filzi, caratterizzato da una sequenza di edifici in linea paralleli, disposti ortogonal-mente rispetto alla strada, con spazi aperti tra le case, nega definitivamente il fronte continuo urbano della palazzata ottocentesca con cortili racchiusi sui quattro lati.
Dalla scala del quartiere a quella della città, la ricerca sull’edilizia residenziale divenne occasione per una trattazione scientifica del tema dello spazio urbano sociale. Nel 1938 infatti Palanti fu chiamato a collaborare con l’amministrazione comunale milanese all’interno di un organismo che faceva parte della divisione urbanistica, le cui finalità erano di elaborare varianti, anche parziali, del recente Piano regolatore generale (1934) che aveva suscitato vivaci critiche ancor prima della sua pubblicazione. Dalla combinazione di tutte queste esperienze nacquero i progetti di Milano Verde (1938, in Casabella, dicembre 1939, n. 132, pp. 2-24), quello per le Quattro città satelliti (1940, in Costruzioni-Casabella, agosto 1942, n. 176, pp. 4-22) e infine il piano AR (Architetti Riuniti: Albini, Ludovico Belgiojoso, Piero Bottoni, Ezio Cerutti, Ignazio Gardella, Gabriele Mucchi, Palanti, Enrico Peressuti, Mario Pucci, Aldo Putelli e Ernesto Nathan Rogers), 1944-45. Tutti seguivano dichiaratamente un modello urbano di sviluppo alternativo, in linea con le istanze portate avanti all’interno della sezione italiana dei CIAM (Congrès Internationaux d’Architecture Moderne).
Il primo progetto rappresenta una testimonianza della ricerca razionalista in Italia nel periodo tra le due guerre, ancora una volta ispirato ai quartieri progettati da Walter Gropius intorno alla metà degli anni Venti, fondati sul principio dell’edilizia aperta, e prevedeva un insediamento di 45.000 abitanti in un sistema di lottizzazione di iniziativa privata destinato a un mercato di edilizia borghese di livello medio-alto. Al contrario, il piano AR, che fu concepito come risposta al Concorso per il nuovo piano regolatore, intendeva risolvere i problemi legati alla ricostruzione, proponendo un cambiamento radicale all’assetto della città, con la riduzione drastica dei suoi abitanti, che non avrebbero dovuto superare le 850.000 unità, secondo un principio per cui «l’urbanistica è l’organizzazione di un determinato territorio ai fini di distribuire il lavoro, e quindi i beni e le ricchezze» (G. Mucchi [relatore per gli AR], La descrizione del piano, in Costruzioni-Casabella, 1946, n.194, pp. 6 s.).
Finita la guerra, nell’importante periodo di ricostruzione e rinascita culturale del paese, Palanti diresse insieme ad Albini la rivista Costruzioni-Casabella, curando il numero monografico dedicato a Giuseppe Pagano (con F. Albini e A. Castelli, Giuseppe Pagano Pogatschnig - Architettura e scritti, in Casabella, 1946, n. 195-198).
Fu la sua ultima esperienza italiana: nel 1946 infatti, lasciò l’Italia con la fidanzata Lilly Maggi per trasferirsi a San Paolo del Brasile, dove si costruì un solido avvenire professionale.
Già a partire dalla seconda metà dell’Ottocento la presenza italiana in Brasile, soprattutto a San Paolo, aveva costituito un fattore determinante nell’evoluzione urbanistica e architettonica della città e della sua immagine. I primi lavori di Palanti furono commissionati dalla famiglia Maggi (1947, edificio per gli uffici Maggi Gotti, a San Paolo). Come straniero non poteva firmare i suoi progetti: si avvalse quindi della collaborazione di professionisti già attivi a San Paolo, con i quali continuò a lavorare anche dopo aver ottenuto la cittadinanza brasiliana, nel maggio 1953.
Una delle sue prime importanti realizzazioni in Brasile fu frutto della collaborazione con Daniele Calabi (G. Zucconi, Daniele Calabi. Architetture e progetti 1932-1964, Venezia 1992), architetto di area veneziana emigrato a causa delle persecuzioni razziali, che a sua volta collaborava con l’impresa edilizia la Costrutora Moderna di suo cugino, l’ingegnere Silvio Segre. Tra il 1947 e il 1953, progettarono a San Paolo l’orfanotrofio della Liga das Senhoras Católicas, commissionato dalla nobildonna Amalia Matarazzo che intendeva costruire un grande orfanotrofio per l’infanzia abbandonata, modernamente attrezzato.
Nel 1947 Palanti era appena arrivato in Brasile e Calabi stava partendo per il primo dei suoi viaggi di rientro in Italia. Il progetto, che richiamava soluzioni razionaliste elaborate da Calabi nel 1937 per il concorso per il policlinico di Padova, consisteva di due corpi paralleli disuguali: il più lungo, adibito a residenza dei bambini, l’altro a ospedale pediatrico, raccordati da un blocco perpendicolare con annessa una grande sala-auditorium. Si presentava come un abaco dello stile razionalista, con le perentorie scansioni orizzontali, l’uso modulare di finestre a nastro e la composizione di volumi semplici, ortogonali fra loro. Il complesso fu completato nel 1953 quando Calabi era ormai definitivamente tornato in Italia (1949).
Con Lina Bo Bardi, tra i più importanti architetti italiani che vissero e produssero tra San Paolo e Salvador de Bahia, Palanti aveva fondato lo Studio d’Arte Palma (1947-50) che si avvaleva della collaborazione di artisti affermati quali Roberto Sambonet e lo scultore Bruno Giorgi, con l’obiettivo di perseguire unità di arte e architettura. Lo studio si occupava di progettazione di elementi di arredo e allestimenti, coniugando gli studi sull’ergonomia, cari al movimento moderno, con le sollecitazioni provenienti dai materiali e dagli oggetti della tradizione locale. Ne è un esempio la scrivania Bahia in palissandro, disegnata da Palanti per gli uffici brasiliani della Olivetti.
Dal 1951 al 1954, lavorò a San Paolo con l’impresa di costruzione di Alfredo Mathias, un ingegnere-architetto di origini siriane, nato e laureato in Brasile, con il quale realizzò la biblioteca pubblica Martinico Prado, il cinema Trianon (poi Belas Artes), il gruppo di edifici Chipre e Gibraltar e la revisione del progetto del palazzo per uffici Conde de Prates.
Nel 1954 fondò con Henrique Ephim Mindlin, uno dei più importanti architetti brasiliani del Novecento, uno studio con sedi a San Paolo e Rio de Janeiro, attivo fino al 1966. I due presentarono un importante progetto per Brasilia (1957), che si classificò al quinto posto al concorso per il Piano pilota della nuova capitale, e realizzarono a San Paolo la Bank of London and South America nel 1959, un elegante edificio in acciaio e vetro che occupa l’angolo di un isolato di dimensioni contenute.
Annoverato fin dai primi anni di attività in Brasile fra i più importanti architetti che vi esercitavano una fondamentale opera di rifondazione dell’architettura e di mediazione tra modernità e tradizione locale, Palanti nel 1969 fu incaricato del progetto di ristrutturazione del Museo di arte moderna, nel parco del Ibirapuera a San Paolo (Roberto Burle Marx e Oscar Niemeyer, 1954).
Mantenne intanto un interesse per la ricerca nel campo degli allestimenti e dell’architettura degli interni: tra il 1957 e il 1966 gli furono commissionati più di 20 progetti per i negozi Olivetti in Brasile, caratterizzati dall’assemblaggio di elementi verticali tesi dal pavimento al soffitto, cui erano ancorati ripiani quasi fluttuanti che sorreggevano macchine da scrivere e calcolatori.
Quest’idea, eredità della ricerca svolta con Lina Bo Bardi nello Studio Palma, aveva le radici nelle sperimentazioni italiane degli anni Trenta e particolarmente nella sala delle medaglie d’oro alla Mostra dell’aeronautica, progettata da Edoardo Persico e Marcello Nizzoli (Milano 1934), che fu di ispirazione anche per la grande sala espositiva del MASP (Museo de arte de São Paulo) che Bo Bardi progettò tra il 1957 e il 1958.
Palanti fece uso della stessa idea di negozio allestito come una mini galleria d’arte per l’agenzia della KLM a San Paolo (1957). Qui, l’idea di viaggio, di movimento, di spostamento nello spazio e nel tempo, veniva interpretata metaforicamente attraverso la collocazione all’interno del locale di un grande ‘mobile’ di Alexander Calder. Palanti esplorava così nuovi modelli di comunicazione commerciale mettendo fianco a fianco oggetti da vendere, opere d’arte e questioni concettuali riguardanti l’azienda.
Nel 1959, sposò Dirce Maria Torres, figlia del pittore e cantautore brasiliano Heitor dos Prazeres, con la quale ebbe sei figli. La sua vita nel continente latino-americano fu agiata e piena di grandi soddisfazioni personali e professionali, ma l’allontanamento e il progressivo distacco definitivo dal paese d’origine, insieme ad alcuni eventi drammatici quale la morte in tenera età di due dei suoi figli, lo colpirono profondamente, facendogli a poco a poco perdere interesse per il lavoro, fino ad abbandonarlo del tutto.
Morì a San Paolo del Brasile il 30 settembre 1977.
Fonti e Bibl.: San Paolo, Archivio Giancarlo Palanti, Sezione progetti della Biblioteca della Facoltà di architettura e urbanistica dell’Università di San Paolo del Brasile; P.M. Bardi, Uma arquitectura de interiores para Olivetti, in Habitat, luglio-agosto 1958, n. 49, pp. 1-12; Architettura in Brasile 1925-1977, a cura di M. Gennari - L. Celle - M. Manfroni con R. Leão, in Domus, gennaio 1978, n. 578, Itinerario 6; A. Terranova, in MacmillanEncyclopedia of architects, III, New York - London 1982, pp. 344 s.; E. Faroldi - M.P. Vettori, Italia-Brasile. Dialoghi di architettura, in Abitare, giugno 1998, n. 374, pp. 54-57; A.C. Sanches, A obra e a trajetória de G. P.: Itália e Brasil, tesi di master, São Carlos 2004; D. Vitale, Centenari dimenticati. Palanti do Brasil, in Il giornale dell’architettura, dicembre 2006, n. 46, p. 8; R. Anelli, Gosto moderno: o design da exposição e a exposição do design. Modern taste: exhibition design and design exhibition, in Arqtexto, 2009, n. 14, pp. 92-109; M. Braga, O concurso de Brasília: sete projetos para uma capital, São Paulo 2010.