STRATICO (Stratico), Giandomenico
STRATICO (Straticò), Giandomenico. – Nacque a Zara il 19 marzo 1732, figlio di Giambattista e di Maria Castelli.
Fuggiti dal loro feudo di Creta per sottrarsi ai turchi approdarono, dopo un soggiorno barese di quattro anni, in Dalmazia, dove Giambattista ottenne onorevoli impieghi e venne ascritto alla nobiltà di Zara. Qui nacquero i suoi figli Giuseppe Michele, che diverrà un noto musicista e compositore; Simone, celebre scienziato e ingegnere nautico; Gregorio, avvocato e diplomatico. Con loro Giandomenico, il quale, colpito da una forma di cataratta che rischiava di renderlo cieco, a soli due anni fu votato dai genitori a san Domenico e conseguentemente affidato, qualche tempo dopo, per la sua educazione, ai domenicani, le cui scuole frequentò fino all’archiginnasio sotto la guida di padre Delmare. Di precoce ingegno, a nove anni recitava prose e poesie, sia in latino sia in italiano, e a dodici era in grado di affrontare dispute filosofiche in pubblico, come accadde nell’agosto del 1744 nella chiesa di S. Domenico. Vedendolo così dotato, i genitori lasciarono che lo zio materno, Giovanni Antonio Castelli, vescovo di Cattaro, lo portasse con sé a Roma per continuare gli studi presso il collegio della Minerva; qui diede prova di grande vivacità di spirito e capacità di improvvisatore, cosicché i suoi educatori e protettori lo esibirono ripetutamente e con successo nelle accademie poetiche romane.
Nel contempo coltivò anche studi più impegnativi, compreso il greco e le lingue orientali; a ventiquattro anni venne nominato lettore di filosofia alla Minerva e poco dopo si segnalò come polemista con due Lettere [...] intorno a certi passi della Storia letteraria d’Italia (Roma 1757), che s’inserirono in una delle molte controversie suscitate dalla Storia letteraria d’Italia, il periodico apertamente filogesuita redatto da Francesco Antonio Zaccaria: Stratico vi confutava alcune notizie contenute in articoli lì pubblicati.
Diventato a tutti gli effetti frate domenicano, Giandomenico si spostò non ancora trentenne in Toscana, destinato alla cattedra teologica di S. Maria Novella a Firenze: qui però dovette ben presto fare i conti con un ambiente conventuale decisamente ostile, che gli rimproverava certe simpatie illuministiche e il suo immischiarsi in questioni di gerarchia ecclesiastica. Nonostante questo isolamento, divenne socio dell’Accademia dei Georgofili, mentre Angelo Maria Bandini, bibliotecario della Laurenziana, gli affidava l’ardua interpretazione di alcuni codici greci; ed è probabilmente con il suo aiuto che nel 1763 passò a Siena, a ricoprire nella locale università la cattedra di esegesi biblica. Qui condusse vita licenziosa e salottiera, circondandosi di giovani poetesse improvvisatrici, tra le quali pochi anni dopo brillerà l’allieva prediletta Fortunata Sulgher Fantastici. Si impegnò anche nella composizione di varie orazioni e opuscoli, tra i quali una Vita di san Guglielmo Magno duca d’Aquitania (Siena 1770) e, per i suoi meriti letterari di brillante improvvisatore poetico, venne ascritto all’Accademia dei Fisiocratici e a quella dei Rozzi, con il nome di Esaltato. Trasferito nel 1769 all’Università di Pisa, quale docente di Sacra Scrittura e letteratura greca, in contemporanea con Siena, vi stette due anni. Qui lo conobbe Giacomo Casanova, che nell’Histoire de ma vie ne loderà l’intelligenza e la dottrina, per poi descrivere con entusiasmo gli otto giorni trascorsi con lui nella casa di Pisa, allietati dalle giovani ospiti abituali di questo mezzo frate e mezzo libertino, come lo definì Isidea, ossia la poetessa Maria Fortuna, anch’essa sua allieva improvvisatrice. Fu forse per il piacevole ricordo di quei momenti, ma anche per una convinta ammirazione delle sue doti intellettuali, che Casanova gli dedicherà più tardi il terzo tomo del proprio rifacimento in toscano dell’Iliade (Venezia 1778).
Nel 1772 il granduca Pietro Leopoldo lo fece tornare a Siena, dove intrattenne un contrastato rapporto con Violante Teresa Chigi, brillante nobildonna da poco rimasta vedova. Da tempo maestro e amico di Sulgher Fantastici, dedicò alla ventunenne poetessa la traduzione della Morte d’Abele di Salomon Gessner (Siena 1775, o 1776), firmandola con il nome arcade di Tessalo Cefallenio e pubblicandola con qualche anticipo sull’analogo lavoro di Aurelio Bertola, che se ne rammaricò in una lettera inviata al Giornale di Siena. Si appassionò al Palio e per il fantino vincitore compose dapprima un’Ode olimpionica detta la Romeide, recitata all’Accademia dei Rozzi nel corso della serata in onore del giovane Romeo, inatteso trionfatore del Palio di Siena nel 1775, e in seguito gli può essere attribuito, con plausibili motivazioni di carattere stilistico, l’Applauso poetico a Dorino, rivolto all’omonimo fantino vincitore nel 1789; e ancora potrebbero essere suoi i versi per la corsa del 1793. Frattanto, nel 1775, era morto il padre Lorenzo Ricci, ultimo generale della soppressa Compagnia di Gesù, e Stratico, con generale stupore, se si considera il suo precedente antigesuitismo, produsse un’orazione funebre in sua lode, in versione bilingue italiana e tedesca (1776). Lodato per lo stile, il panegirico fu probabilmente gradito a papa Pio VI, che mal sopportava l’impegno, preso all’inizio del suo pontificato, di non ricostituire l’Ordine dei gesuiti; e fu anche per questo, oltre alla necessità di allontanare Stratico dalla Toscana per le crescenti critiche sul suo stile di vita, che nel 1776 lo nominò vescovo di Cittanova, in Istria, e poco dopo assistente al soglio pontificio.
Il passaggio nella sede episcopale istriana, dopo un breve periodo trascorso a Venezia per sbrigare le pratiche d’uso, coincise con un radicale cambiamento di comportamenti da parte del novello prelato, che fu ancora al centro di piacevoli conversazioni, ma intrattenute con amici e collaboratori a supporto del suo ministero. Indirizzato a un’energica azione di riforma morale, di costumi ed economica, si impegnò in opere di beneficienza e di promozione delle riforme agricole, individuate come mezzo concreto ed efficace per sottrarre i poveri alla fame. Offrono una probante testimonianza di queste iniziative i suoi Opuscoli economico-agrari (Venezia 1790), mentre sul versante ecclesiastico si colloca il resoconto del Synodus Diœcesana Æmoniensis, habita in Ecclesia Cathedrali... (Padova 1781), celebrato a Cittanova nell’agosto del 1780, durante il quale si era toccato il problema delle origini di Cittanova (l’antica Emona) e della sua diocesi, con Stratico intento a rivendicare, in polemica con gli studiosi locali, le antiche radici cristiane della regione. Queste attività pastorali gli valsero il plauso del pontefice, che nel 1784 lo trasferì nella più prestigiosa diocesi dell’isola di Lesina, dove continuò nella sua condotta di vita pia e modesta e nel suo impegno sociale, fondando un istituto per l’educazione dei giovani ecclesiastici, tenendo in vescovado accademie per giovani poeti e musicisti, visitando le parrocchie e promuovendo le arti meccaniche, il che gli valse più tardi le lodi di Niccolò Tommaseo.
Il periodo dalmata fu ripetutamente interrotto da ritorni a Pisa e a Siena, tra i quali risalta, nel 1785, quello contrassegnato dalla partecipazione alla controversia sull’ortodossia della chiesa armena. Nel corso di questi viaggi in Toscana, oltre a rivedere le amiche poetesse, Stratico conobbe e poi incontrò ripetutamente Vittorio Alfieri, il quale non mancò di esprimere su di lui giudizi più che positivi.
Anche nell’ultimo decennio di vita, il vescovo continuò la sua attività oratoria e letteraria: nel 1789, membro onorario della Società dei Georgofili dei castelli di Traù, vi lesse quattro memorie, poi pubblicate, e poco dopo negli Opuscoli economico-agrari dichiarò di voler tornare a coltivare la poesia didattica e il canto popolare. Per lui significò dedicarsi alla traduzione, tuttora rimasta in gran parte manoscritta, delle poesie accluse da Giustiniana Wynne Rosenberg al suo romanzo Les Morlaques (1788), e produrre, attorno al 1794, quella, basata sulla versione francese, delle Meditations among the Tombs (1746) di James Hervey, apparsa a stampa solo sul finire dell’Ottocento. Illudendosi che Venezia potesse resistere a Napoleone, il 7 maggio 1797, giorno del patrono san Marco, volle celebrare una processione e una messa votiva per la sopravvivenza della Repubblica, accompagnandole con una delle sue ultime omelie: l’auspicio però non si avverò, e quando morì, nell’isola di Lesina, il 24 novembre 1799, il trattato di Campoformido aveva già da due anni sottomesso l’amata Dalmazia all’impero austriaco.
Fonti e Bibl.: Molti gli scritti inediti di Stratico, italiani e latini, in versi e in prosa, originali e tradotti, reperibili in varie biblioteche insieme a lettere e documenti che lo riguardano: dalla Marucelliana di Firenze alla Nauçna Biblioteka di Zara, dov’è conservato il manoscritto dei Dodici pezzi poetici sopra i costumi de’ Morlacchi di Giovan Domenico Stratico vescovo di Lesina dall’originale di M.a Rosenberg. Va inoltre segnalato il ms. Typ 654 della Houghton Library, Università di Harvard: Nel faustissimo ritorno del Santissimo Pontefice Pio VI dalla Germania. Orazione gratulatoria umiliata al pontificio trono da F. Giandomenico Stratico dell’ordine de’ Predicatori vescovo di Città Nuova dell’Istria. Un tentativo di pubblicare tutti gli scritti di Stratico ripartiti in tre sezioni (orazioni sacre; orazioni accademiche; miscellanea), ciascuna comprendente 6/8 fascicoli, fu avviato a Venezia nel 1843, ma ne risulta stampato solo il primo numero: Opere edite e inedite di Giandomenico Stratico zaratino, vescovo di Lesina e Brazza, ora insieme pubblicate, Venezia 1843. Sempre nell’Ottocento fu invece editata la traduzione del poema di Hervey, basandosi sull’autografo di Stratico, datato 1794 e conservato insieme ad altre due copie manoscritte dello stesso testo a Zara: Dei Sepolcri dell’Hervey, traduzione poetica libera di Giandomenico Stratico, vescovo di Lesina e Brazza tra gli Arcadi Tessalo Cefallenio. Estratto dal giornale Il Dalmata, Zara 1885.
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