ENRIQUES, Gianfranco (noto come Franco Enriquez)
Nacque a Firenze il 20 nov. 1927 da Eugenio (ma in realtà figlio adulterino del direttore d'orchestra Vittorio Gui) e da Elda Solaroli, concertista. Si iscrisse alla facoltà di lettere dell'università della sua città e ne frequentò svogliatamente le lezioni, preferendo assistere a spettacoli drammatici e operistici e, introdotto nell'ambiente musicale, agli incontri con i protagonisti della cultura locale. Conobbe G. Streliler e fu suo assistente alla regia in Assassinio nella cattedrale di T. S. Eliot (chiesa di S. Francesco in San Miniato, 1948), cui segui, l'anno" successivo, l'avvenimento che doveva farlo decidere ad abbandonare gli studi: L. Visconti, a Firenze per la direzione del Troilo e Cressida di W. Shakespeare, lo ebbe accanto come assistente. Presentato al Giardino di Boboli per il Maggio musicale il 21 giugno, questo spettacolo, storico per la contemporanea presenza dei più prestigiosi, o di quelli che lo sarebbero poi diventati, operatori del teatro italiano in sede artistica e tecnica, gli fece un'enorme impressione soprattutto sul piano della sontuosità e della armoniosità della messinscena. Fu ancora aiutante dello Strehler nella Sofonisba di G. Trissino (1950), nell'Enrico IV e ne La dodicesima notte di Shakespeare (1951), e del Visconti che assisté nella prima italiana della Morte di un commesso viaggiatore di A. Miller (stesso anno), mentre Gui lo faceva incontrare con C. Ebert e H. Graf per la pratica della regia lirica.
Il debutto nella regia drammatica avvenne l'11 ott. 1951 con Cesare e Cleopatra di G. B. Shaw (compagnia RicciMagni, teatro Eliseo di Roma); V. Pandolfi scrisse che "Franco Enriques avrà modo di mettere in luce assai meglio le sue qualità in un complesso giovanile", evidenziandone la non raggiunta maturità per impostare la recitazione di cosi ragguardevoli interpreti, e A. Frateili ammise che la regia non era del tutto equilibrata e che a una giusta compostezza delle voci e dei movimenti della folla si giunse solo nel terzo atto. L'esordio nella regia lirica avvenne il 5 nov. 1952 con la Norma di V. Bellini, diretta dal Gui e interpretata da M. Meneghini Callas al Covent Garden di Londra: l'interprete d'eccezione condizionò ma non avvili questa sua fatica.
Il primo successo di pubblico risale alla regia televisiva di Delitto e castigo di L. Ridenti da F. Dostojevskij il 14 marzo 1954 (la condensazione del romanzo in chiave realistica e il contributo di validi interpreti offrirono all'E. l'occasione per emendare i manierismi dell'attività precedente), qualche settimana prima dell'accoglimento "con grande calore di simpatia" verso il padre e lui regista, de La fata Malerba del Gui, diretta dall'autore al Piccolo teatro di musica di Firenze il 7 aprile successivo. Ma il 12 giugno la regia del Saul al teatro Alfieri di Asti per l'annuale manifestazione artistica del Centro nazionale di studi alfieriani, a V. Vecchi non parve dei tutto all'altezza delle difficoltà insite nella messinscena di un classico. Gui lo volle con sé al teatro di Corte di Napoli per la regia di due riesumazioni, il Don Chisciotte della Mancia di G. Paisiello e La locandiera di P. Auletta, e per Ilturco in Italia di G. Rossini (quest'opera inconsueta, entusiasticamente recensita da A. Parente che ne rilevò la regia acuta e sensibile, andò in scena il 16 marzo 1955 e rimase lo spettacolo chiave di quella stagione) e La serva padrona di G. B. Pergolesi, sempre nello stesso teatro.
Il 3 agosto dello stesso anno colse l'occasione di firmare la regia della prima della Beatrice Cenci di A. Moravia (il primo impegno drammatico in senso stretto dello scrittore) che ebbe luogo con esito incerto a San Paolo del Brasile ad opera della Compagnia Ricci-Magni-Proclemer-Albertazzi nel rispetto delle collaudate capacità di questi interpreti. Un primo sentore di disgelo con la critica si ebbe il 28 novembre successivo, quando al teatro Odeon di Milano, per La ragazza di campagna di C. Odets, il Vecchi riconobbe una regia d'atmosfera "bellamente aggressiva", ulteriore segno dell'attenzione dell'E. a soluzioni realistiche nel repertorio contemporaneo. Per allora le riserve erano mescolate alle lodi, come accadde per il Re Lear di Shakespeare (teatro Odeon, 4 nov. 1955), che secondo R. Rebora riusci approssimativo, "senza unidea base da difendere", nonostante la ricchezza dei mezzi e l'impegno, nella compagnia spettacoli RicciMagni-Proclemer-Albertazzi, dei maggiori attori del momento, e per la prima ripresa con varianti de Ilseduttore diD. Fabbri (teatro Olimpia di Milano, 30 dicembre successivo) per il quale E. Possenti defini "indovinata e adatta" la regia. Tra il 1956 e il 1959 fu un susseguirsi di regie liriche ormai esperte che andarono dalla ricostruzione accurata di El retablo de maese Pedro di M. de Falla (Piccola Scala di Milano, 10 marzo 1956) alla grandiosa impostazione de La battaglia di Legnano di G. Verdi diretta dal Gui (teatro della Pergola per l'inaugurazione del XXII Maggio musicale fiorentino, 10 maggio 1959) con alcune tappe importanti costituite dalla prima rappresentazione de La donna è mobile diR. Malipiero (Piccola Scala, 22 febbr. 1957), dalla nuova versione de Il cordovano di G. Petrassi (s.t., 18 febbr. 1959), e dalle riproposte di talune delle opere più popolari dei repertorio ottocentesco italiano.
Per la stagione 1959-60 l'E. assunse la direzione, presso il teatro Mercadante, della Compagnia stabile della città di Napoli, per la quale tradusse, e diresse il 4 dicembre, Pene d'amor perdute di Shakespeare e, come secondo spettacolo, il 23 successivo, una riduzione di C. Terron da P. Veber, Ma in provincia siamo seri; con questi due lavori egli si dimostrava rilettore vigile e attento dei testi, capace di ricreare dimensioni ed effetti moderni (E. Grassi parlò, per la seconda, di "costumi arditissimi" e di "un movimento di scena preciso e scorrevole"). Il 1960 fu un anno decisivo per l'E., che, sempre alle prese con l'opera lirica (l'8 febbraio curò le regia della prima rappresentazione di La notte di un nevrastenico di N. Rota alla Piccola Scala), dopo aver inaugurato la stagione di prosa napoletana con due lavori di E. Ionesco, Ilnuovo inquilino in prima italiana e La lezione (diretti "con idee chiare e con mano sicura": G. Sirano), affidò a G. Mauri e a V. Moriconi (che divenne la compagna d'arte e di vita dell'E.) le parti di Jean e di Daisy, e ad E. Luzzati i bozzetti delle scene nella prima italiana de Ilrinoceronte il2 dicembre (Grassi scrisse che l'E. "ha colto e sottolineato tutto quanto di amaro e di vittimistico fosse nella tragicommedia di E. lonesco. Quasi, direi, il doloroso dei tre atti è stato enucleato dal direttore nella sua poderosa messa in scena"). Il successo di tale lavoro pose le basi per la costituzione della Compagnia dei quattro (E., Moriconi, Mauri, Scaccia), che esordi con la ripresa de Ilrinoceronte il6 ott. 1961 al teatro di via Manzoni di Milano, essendo inseriti M. Scaccia nella parte di Jean e G. Mauri in quella di Berenger e rimanendo inalterato il contributo del Luzzati (che entrerà in ditta a partire dalla stagione successiva, uscitone lo Scaccia).
Questa volta l'E. ebbe un riconoscimento pieno anche presso i critici più sofisticati; il Mosca parlò di "un saggio di regia che non si può esitare a definire superbo", e lo stesso Ionesco intervenne a una replica dichiarandosene entusiasta. Questa rimase forse la sua regia migliore essendovi realizzata una perfetta corrispondenza tra il suo estro creativo e il mondo traslucido e rabbrividente evocato dall'autore.
Nel cartellone figurava, in un contesto ambizioso e di non facile realizzazione, un titolo assai suggestivo, La barraca di F. Garcia Lorca (teatro Quirino di Roma, 22 nov. 1961): si trattava di uno spettacolo antologico che muoveva dal Romancero e finiva col Compianto attraverso le farse La calzolaia meravigliosa, Il teatrino di don Cristóbal e Un amore di don Perlimplin, adattati o ridotti con intelligenza e rispetto per gli originali tanto che il Frateili riconobbe che il regista era riuscito "a comporlo in una vivace continuità di ritmo e in una equilibrata fusione dei diversi valori". Il 14 luglio 1962 fu la volta de La bisbetica domata di Shakespeare allestita al teatro Romano di Verona: ad essa l'E. conferi un carattere di novità riportando ai nostri tempi l'azione che fa da cornice alla vicenda di Caterina e Petruccio, e orchestrandola "come una farsa paradossale" (uno dei primi, ancora castigati aggiornamenti e travestimenti che di li a qualche anno diventeranno, sulle scene italiane, frequenti e invadenti, per il quale R. De Monticelli riferi di "una trovata forse un po' sconcertante, ma che alla fine funziona"). La Piccola Scala lo vide ancora attivo per la prima rappresentazione milanese del Serse di G. F. Haendel (16 genn. 1962) e per l'Arianna a Nasso di R. Strauss (11 genn. 1963), tra alti e bassi della sua attività registica ordinaria (Le Fenicie di Euripide furono applaudite con convinzione al teatro Grande di Pompei il 25 luglio 1963, ma l'Edoardo II di B. Brecht e L. Feuchtwanger da C. Marlowe al teatro Valle di Roma il 12 ottobre successivo e la prima de Il vantone di P.P. Pasolini da Plauto al teatro della Pergola di Firenze il 10 novembre non convinsero i critici, che ravvisarono nell'E., in quest'ultimo caso, un regista "pago di saper sfruttare, pur senza eccedere troppo, ogni motivo di sicura comicità").
Memorabile, invece, riusci lo spettacolo inaugurale della stagione, Cavalleria rusticana (con L'amico Fritz) di P. Mascagni alla Scala il 7 dicembre in cui si disse "finalmente ritrovata la grigia tragicità della Sicilia".
Nella primavera del 1964 la compagnia si sciolse, dopo aver portato nei principali teatri italiani e in due festival di Glyndebourne un repertorio ampio e significativo con riferimenti assidui alla letteratura teatrale contemporanea (il regista continuò a dedicare le sue cure al teatro lirico e il 28 novembre inaugurò la stagione all'Opera di Roma curando un'edizione sontuosa de I Vespri siciliani del Verdi), ma nell'estate del 1965 si ricompose e conflui nella compagnia Teatro stabile di Torino, dopo la partecipazione al XXIV festival internazionale del teatro di prosa con una fondamentale La locandiera di C. Goldoni (campo S. Zaccaria a Venezia, 19 agosto).
La scelta felice del luogo (già caro a R. Simoni), l'inglobamento del pittoresco albero d'angolo, lo scorrimento a vista e la rapida ricomposizione delle pareti lignee (ideate dal Luzzati, altra prefigurazione delle rutilanti scene mobili del teatro degli anni avvenire), l'abbandono dei richiami stilistici all'epoca della commedia ricondotta dal piano documentario del costume settecentesco ad un'espressione più generica dei significati morali attribuiti dall'autore ai suoi personaggi, la valorizzazione delle sue comiche Ortensia e Deianira, fanno di questo spettacolo un punto di riferimento per lo studioso dei problemi della regia italiana degli anni della "contestazione globale".
Dopo la melodrammatica regia televisiva di Resurrezione, su riduzione e sceneggiatura di O. Del Buono e dello stesso E. da L. N. Tolstoj (dal 31 ott. 1965 in sei puntate), che peraltro riscosse un pieno successo di pubblico, I fisici di F. Dúrrenmatt (teatro Stabile di Torino, 20 novembre successivo) fecero scrivere al Ridenti - che il lavoro "procede spedito ed efficace, come quello di un buon capocomico che sa ciò che vuole dai suoi attori". Con la Compagnia dei quattro (denominazione puramente nostalgica) l'E. incontrò una nuova, eclatante affermazione con La vedova scaltra (teatro La Fenice di Venezia, 1º ott. 1967, nell'ambito del XXVI festival internazionale della prosa), e un insuccesso con Ilmercante di Venezia di Shakespeare (teatro Metastasio di Prato, 13 ottobre). Secondo G. Calendoli, un "luminoso ed elegante spettacolo" il primo, che continuava felicemente l'esperienza goldoniana cominciata con La locandiera; ilregista vi segui, dichiaratamente, la chiave realistica e quella favolistica con grande agilità, di volta in volta nei rimandi sociali e nelle situazioni giocose, e fu invitato a ricavarne un'edizione televisiva andata in onda il 24, sett. 1968.
Il 1968 fu un anno d'iniziative importanti: dopo la prima italiana di Rosencrantz e Guildestern sono morti di T. Stoppard (teatro Metastasio di Prato, 24 gennaio) con i sorprendenti abiti maschili di Rosencrantz per la Moriconi, fu la volta della sbandata patetica con Le mosche di J.-P. Sartre (teatro Olimpico di Vicenza, 27 settembre), del melodramma classicamente atteggiato con La clemenza di Tito di W. A. Mozart (teatro dell'Opera di Roma, 4 dicembre), dell'accensione boulevardière con La dame de Chez Maxim's di G. Feydeau (teatro Lirico di Milano, 28 dicembre). Veramente in sintonia con gli scottanti rivolgimenti del momento si collocò il primo contributo teatrale all'agitazione studentesca: il Discorso per la lettera a una professoressa della scuola di Barbiana e la rivolta degli studenti firmato dall'E. e da F. Cuomo venne proposto al teatro Corso di Mestre il 19 settembre in stile goliardico, provocatorio, con l'ausilio dello schermo di fondo che riportava diapositive e filmati dei fatti del maggio parigino e di manifestazioni italiane davanti a un pubblico ancora, peraltro, rigidamente separato dalla scena, stimolato e catechizzato da una pioggia di battute lette o semplicemente gridate da interpreti volutamente sciatti. Con la compagnia del teatro Stabile di Catania curò successivamente le diligenti regie de Iviceré da F. De Roberto (Lirico di Milano, 1970) dai grandi effetti corali e, di nuovo con la Compagnia dei quattro, di La tragedia di Macbeth di Shakespeare (teatro Romano di Verona, luglio 1971) dai cupi costumi; poi lavorò su una pluralità di mezzi espressivi (dall'immobilità degli attori che raccontano senza coloriture drammatiche alle immagini cinematografiche e all'esorbitante corredo sonoro) nel Vangelo secondo Borges di D. Porzio (teatro Gobetti di Torino, febbraio 1972), e impiantò un melodramma recitato con la Medea di Euripide (teatro Greco di Siracusa, luglio successivo).
In una intervista rilasciata a Sipario l'E. annunciava la creazione, per il Teatro di Roma, di un cartello di registi "non scritturati per dirigere spettacoli ma che hanno accettato di lavorare insieme per tre anni, di decidere insieme le scelte programmatiche da compiere, di confrontare le proprie esperienze, pur mantenendo ciascuno la propria caratterizzazione e tenendosi uniti da uno stesso - misterioso -comun denominatore". E una vera e propria professione di vita e di teatro risultava la seguente affermazione: "… noi non crediamo ai discorsi coerenti, rifiutiamo la noia e la mancanza di fantasia che la coerenza porta con sé, proclamiamo la nostra vocazione all'incoerenza e l'ambizione a muoverci verso quante più direzioni è possibile". Tra queste ultime egli citava la promozione in centri regionali di nuclei di ricerca e di studio del fatto teatrale (iniziativa inficiata o vanificata da mistificatori e improvvisatori), una sistemazione articolata del teatroscuola (gli va riconosciuto il merito di essere stato tra i primi ad accogliere folle di studenti, anche dalla provincia, che si avvicinavano, molti per la prima volta, a un teatro serio e impegnato) e il decentramento degli spettacoli (fu abbondantemente anche se non sempre felicemente praticato, data l'inadeguatezza di diverse sale messe a disposizione).
Il teatro Argentina ospitò pertanto un cartellone che fu definito "eclettico" perché, accanto alla firma di lui direttore artistico (per Gliinnamorati del Goldoni, spettacolo di esordio che dispiacque a R. Tian per le sue esorbitanti tinte caricaturali il 21 ott. 1972, e per la ripresa della Medea), figuravano quelle di G. Nanni, esponente di grido dell'avanguardia romana della quale l'E. risultava manifestamente debitore, di F. Zeffirelli, legato a un teatro di stampo accademico. terso e colorito, dell'autore F. Brusati, del critico-autore F. Quadri, del mimo G. Cobelli, di L. Ronconi, reduce dai successi di un travolgente Orlando furioso, del pasolinide A. Giupponi. A cavallo delle polemiche originate dal fatto che, pur disponendo di un teatro come l'Argentina, preferisse riservarsi le sue produzioni sotto una tenda, egli fece conoscere il mitteleuropeo O. von Horváth, quasi ignorato in Italia, con la prima di Kasimir e Karoline (teatro Circo di Roma, 15 genn. 1974), uno "spettacolo d'arte varia" severamente giudicato dal Quadri. Con la prima italiana di Divinas palabras di R. del Valle-Inclán (stesso teatro, giugno successivo) sempre secondo il Quadri colmò la misura: effetti scontati, come luci stroboscopiche, esplosioni di fumo, mimi strabuzzanti, corse e processioni già viste nelle cantine e un altro importante autore europeo scoperto e sacrificato all'idea che l'E. aveva del circo.
Con l'ultimo spettacolo della stagione 1975-76, Ilsipario ducale di P. Volponi (teatro Pergolesi di Iesi, 27 marzo 1976), sospinto inesorabilmente sul versante fumettistico, egli si congedò dal Teatro di Roma dopo aver riproposto, ammodernando alla luce delle più recenti esperienze del femminismo il personaggio di Caterina, La bisbetica domata (teatro Mancinelli di Orvieto, 18 ott. 1975). Una insistente polemica sul "grosso spreco di denaro" l'accompagnò negli ultimi mesi di gestione, ma non ne fiaccò lo spirito, ricostitui la Compagnia dei quattro (in effetti i nomi in ditta furono solo due, l'E. e la Moriconi) e nella stagione successiva presentò un unico spettacolo, la novità Le notti bianche dello stesso E. da Dostojevskij (teatro Pergolesi di Iesi, 9 dic. 1976), in cui impersonava il sognatore. Arrestato a Roma il 7 maggio 1977 per reati fiscali (non aveva presentato la denuncia dei redditi nel 1968), ottenne una serie di permessi motivati per recitare fino all'esaurimento delle repliche romane e scontò la condanna a un mese di reclusione nel carcere di Rebibbia. Riprese in considerazione lo Horváth e per l'inaugurazione della stagione del teatro Stabile del Friuli-Venezia Giulia presentò la prima italiana delle Storie del bosco viennese (politeama Rossetti di Trieste, 28 ott. 1977): questa volta dal capolavoro del drammaturgo austriaco ricavò uno spettacolo gradevole, senza tuttavia riuscire ad evitare l'impressione di un accumulo di episodi frammentari.
Prima dell'incombente declino ebbe un'impennata geniale: nella chiesa di S. Francesco a San Miniato che l'aveva visto affacciarsi all'arte della scena, fece rappresentare il 25 ag. 1978 Eloisa ed Abelardo, su testo suo ricavato dall'epistolario dei due tragici amanti. Questo spettacolo affascinante e suadente, secondo M. R. Cimnaghi, "ai pregi del montaggio aggiungeva quelli di natura registica"; il manoscritto portava l'indicazione "Maggio 1977 - dal carcere di Rebibbia: cella 14 del XII braccio. Gennaio 1978 - dall'albergo Europe di Zurigo" e i segni di una segreta sofferenza. Il teatrante "talentoso", iperattivo, goliardico, confezionatore di spettacoli intelligenti, talvolta frettolosi, mai volgari, che lo spettatore era sempre in grado di capire, parve l'ombra di se stesso nelle regie routinières de Ilseduttore del Fabbri e di Iparenti terribili di J. Cocteau, da lui tradotti e ridotti per la compagnia Miserocchi-Brignone (19 ottobre al teatro delle Arti di Roma e 30 nov. 1978 al teatro del Giglio di Lucca). Un estremo sussulto lo portò ad assumersi regia, scenografia e interpretazione (del principe di Dalina, dopo G. Cavina) della novità Il Gattopardo diB. Belfiore da G. Tommasi di Lampedusa (teatro Romano di Tindari, 10 ag. 1979); dopo aver messo in scena, con qualche stanca concessione alla "sregolatezza", la novità del Fabbri L'hai mai vista in scena? (teatro Duse di Bologna, 5 ottobre successivo), unica produzione della compagnia V. Moriconi, i sintomi di una grave disfunzione epatica lo costrinsero al riposo. Ricoverato in una clinica di Ancona, vi mori nella notte tra il 29 e il 30 ag. 1980.
In un manoscritto di poesie dal titolo Elegie a Sirolo aveva manifestato la volontà di essere sepolto in questa località.
Fonti e Bibl.: Arch. d. Comune di Firenze, Stato civile, nascita, a. 1927 p.I serie A vol. 6 n. 2328. Sipario, ottobre 1951; dicembre 1955; agosto-settembre 1962; luglio-ottobre 1972; dicembre 1977; dicembre 1979; Il Dramma, 1º nov. 1951; 15 giugno 1953; 1º luglio 1954; dicembre 1955; gennaio, dicembre 1960; ottobre, novembre 1961; gennaio, agosto-settembre 1962; settembre, ottobre, novembre 1963; agosto-settembre, novembre-dicembre 1965; ottobre 1967; gennaio 1979; Radiocorriere TV, 14-20 marzo 1954; 31 ott. - 6 nov. 1965; 22-28 sett. 1968; Il Mattino, 17 marzo 1955; Corriere della sera, 5 novembre, 31 dic. 1955; Il Messaggero, 22 ott. 1972, 8 maggio 1977, 31 ag. 1980 (necrologio); La Repubblica, 31 ag-1º sett. 1980 (necrologio); La Scala1946/1966, Milano 1966, p. 135 e passim; L. Pinzauti, Il Maggio musicale fiorentino, Firenze 1967, p. 146 e passim; F. Quadri, La politica del regista, I, Milano 1980, pp. 184 ss.; Il Patalogo tre - Teatro + Musica, Milano 1981, pp. 59 s. (necrologio); Enciclopedia dello spettacolo, IV, col. 1503.