GIANNIZZERI (in turco yenī čerī "nuovo soldato" e in senso collettivo "nuova milizia")
Corpo di truppe a piedi dell'Impero ottomano, istituito per la prima volta al tempo del secondo sultano ottomano, Ōrkhān. È falsa la leggenda secondo la quale il santo musulmano Ḥāǵǵī Bektāsh (v. bektāshī) avrebbe benedetto la nuova milizia. È vero però che i giannizzeri ebbero una particolare venerazione per Bektāsh e che la confraternita dei Bektāshī (che trasse nome da lui) si giovò a sua volta del prestigio che esercitava sulla forte milizia.
Nei primi secoli il corpo fu quasi esclusivamente alimentato da giovani presi nelle guerre contro i cristiani e dalle migliaia di fanciulli delle famiglie cristiane dell'Impero (specialmente quelle della Turchia Europea: i cristiani d'Asia erano per lo più esentati) raccolti con una levata detta devshirme. Essi erano istruiti nella religione musulmana e abituati a parlare in turco; prima di entrare nei giannizzeri passavano alcuni anni di tirocinio militare nel corpo degli 'Agem Oghlan (in qualche scrittore veneto giannizzerotti). Benché cristiani d'origine i giannizzeri diventavano sotto le armi i più fanatici difensori dell'Islām. La devshirme durò fino al 1700 circa; in seguito l'arruolamento dei giannizzeri si fece in certo modo eterogeneo, entrando a farne parte anche i figli dei Turchi e specialmente i figli dei giannizzeri stessi.
I giannizzeri erano divisi in tre classi: yayabey, buluklu, seymen (o seyban); ognuna delle tre classi comprendeva un certo numero di reggimenti, detti orta; alla fine del sec. XVII le orta erano 196; il numero dei componenti di ogni orta andò aumentando col tempo: da 100 circa, nei primi due secoli, a persino 800 nel sec. XVII; più tardi qualche orta ebbe anche più di mille soldati iscritti, ma non tutti presenti. I giannizzeri erano da 6 a 10.000 al tempo di Maometto II; furono aumentati di numero da Solimano il Magnifico (1520-1566). Nel 1592 giungevano alla cifra di 24-25.000, un secolo dopo erano 23.000; in periodi di guerre continuate pare che il loro numero salisse fino a 100.000 e oltre, contando anche i veterani e gli orfani; il loro aumento nel sec. XVIII era però fittizio; moltissimi erano soltanto iscritti senza prestare servizio. Il loro generale era l'"Agha dei giannizzeri" (yeničeri aghasï) assistito dal luogotenente detto kiāhyā (ketkhudā); ogni orta era comandata da un čorbagï, il quale era aiutato da ufficiali subalterni: odabashï, vekīl-kharǵ, bairaqdār, ecc. Ogni orta era distinta con il proprio numero e di solito anche con particolari denominazioni, come seymen, zaghargï, turnagï, solaq; avevano funzioni e privilegi tradizionali; ad esempio i solaq costituivano la scorta personale del sultano nei viaggi e nelle cerimonie. Ogni orta aveva il proprio vessillo con distintivi speciali. I soldati portavano un'uniforme di panno e avevano in capo una specie di cuffia bianca di lana con un lungo lembo cadente sulle spalle; erano armati di lance, sciabole, pugnali, accette, archibugi.
Il corpo dei giannizzeri in generale era designato con il nome ogiaq, propriamente "focolare"; simbolo di coesione e di solidarietà erano le marmitte (qazan) nelle quali era cotto il loro cibo e che rovesciavano in segno di malcontento quando avevano motivo di lagnarsi dei loro capi. Molti titoli della gerarchia dei loro ufficiali e sottufficiali erano derivati da termini della cucina. Era consuetudine che i giannizzeri non prendessero moglie; tuttavia il matrimonio non era loro vietato; i figli nati dall'unione di giannizzeri con donne indigene nelle reggenze barbaresche finirono per formarvi un nuovo elemento etnico, i Cologhli (qul-oghlu "figlio di schiavo": i giannizzeri erano considerati schiavi del sultano). I giannizzeri diventati inabili per età o ferite erano detti oturaqlï e mantenuti dal Sultano; anche gli orfani ricevevano pensioni. Non tutti i giannizzeri stavano a Costantinopoli, dove abitavano in proprie caserme dette Odalar; circa la metà di essi erano dislocati nelle provincie.
I giannizzeri furono per molto tempo uno dei principali sostegni dell'Impero ottomano; però anche nei periodi di maggiore potenza di questo furono cagione di disordini e rivoluzioni; la loro disciplina andò man mano scadendo mentre crescevano le richieste di aumenti di paga; e più volte s'intromisero negli affari della corte e del governo e ottennero la deposizione e la morte non soltanto di ministri e gran visir, ma anche di sultani (‛Osmān II nel 1622 e Ibrāhīm nel 1648).
Il sultano Selīm III (1787-1807), l'iniziatore delle riforme dell'Impero, tentò di disfarsi di quella milizia; nel 1792-1793 egli introdusse nell'esercito un nuovo corpo di fanteria, istruito con i sistemi moderni europei, cui fu dato il nome di niẓām-i gedīd "nuovo ordinamento"; i giannizzeri, di fronte a quelle novità che apparivano loro come imitazioni degl'infedeli, si rivoltarono e (maggio 1807) deposero Selīm III facendo salire sul trono Muṣṭafà IV. Sotto il sultano Maḥmūd II, successo a Muṣṭafà IV, il gran visir ‛Alemdār Muṣṭafà pascià riprese il tentativo di trasformazione della milizia giannizzera, cercando di trarre dalla stessa il nuovo corpo dei seymen-i gedīd; la sua opera fu subito troncata (novembre 1808) da una nuova ribellione dei giannizzeri nella quale egli trovò la morte. Il sultano Maḥmūd II istituì nel 1826 il nuovo corpo di eshkingi che doveva essere rifornito mediante i migliori elementi dei giannizzeri. Questi si sollevarono; il gran visir li lasciò radunare nell'Ippodromo e li fece annientare con l'artiglieria (16 giugno 1826). Nella caccia data ai giannizzeri si calcola che 30.000 di essi fossero uccisi. La confraternita dei Bektāshī intimamente legata negli ultimi tempi ai giannizzeri fu abolita.
Bibl.: Oltre le storie generali dell'Impero ottomano di Hammer, Jorga, ecc.; Alberi, Relazioni degli ambasciatori veneti, s. 3ª; Barozzi-Berchet, Le relazioni degli stati euoropei lette al Senato, s. 5ª; Rycaut, The Present State of the Ottoman Empire, Londra 1670 (trad. italiana di C. Belli, Venezia 1672); L. F. Marsigli, Stato militare dell'Imperio ottomanno, Amsterdam 1732, in italiano e in francese; Sermed Mouktar, Musée Militaire Ottoman. Guide, Costantinopoli 1920-22. In turco: Es‛ad Efendī, Uss-i Ẓafer (Storia della distruzione dei giannizzeri), 1ª ed., Costantinopoli 1827, trad. franc., Parigi 1833; Aḥmed Gevād, Ta'rikh-i ‛askerī-i ‛osmānī, I, Yeničeriler (Storia militare ottomana, I vol., I giannizzari), Costantinopoli 1883.