CAVALCANTI, Giannozzo
Nato a Firenze con ogni probabilità alla fine del sec. XIII, da Uberto di Pazzo, apparteneva al ramo di Leto della nota famiglia guelfa arricchitasi con l’esercizio della mercatura, e già nel sec. XII annoverata nella nobiltà cittadina. Il C., che secondo Scipione Ammirato fu “un de’ più principali e valorosi huomini de’ suoi tempi, trovandosi non meno nelli affari della pace che nelle opere militari adoperato”, viene ricordato insieme col fratello Giachinotto per la prima volta in un documento del 1317 conservato presso l'archivio della badia di Firenze, come feudatario della badia stessa per il castello di Ostina e per altri castelli che il conte Ugo, marchese di Toscana, aveva donato a quel monastero.
Nel 1320 compare nella lista dei feditori del sesto di San Pier Scheraggio (nel quale si trovava il nucleo principale delle abitazioni dei Cavalcanti ) arruolati per la guerra che allora Firenze combatteva contro Castruccio Castracani signore di Lucca; e ancora nel 1325 è impegnato come feditore sempre in operazioni militari contro Castruccio.
Nell’autunno del 1326, insieme con Amerigo Donati, venne investito del comando di 300 cavalieri scelti e di 1.000 fanti per prestare soccorso ai presidi di Mammiano e Gavinana, due castelli della montagna pistolese assediati dall’esercito di Castruccio. La guerra tra Firenze e il signore di Lucca dovette mettere in luce la figura del C., poiché le numerose cariche politiche che gli vennero attribuite a partire da questo periodo furono la diretta conseguenza dei suoi impegni militari, che si protrassero ancora per alcuni anni. I principali artefici della sua ascesa politica furono comunque indubbiamente gli Angioini di Napoli. I Cavalcanti, dal canto loro, come altre famiglie fiorentine di mercanti e di banchieri, oltre ad aver concesso larghissimi prestiti alla corte angioina, avevano investito nel Regno di Napoli i loro capitali, contribuendo in maniera determinante alla sua organizzazione ed al suo consolidamento.
Nel 1327 il C. ricoprì la carica di vicario angioino a Brescia, nel 1328 fu luogotenente generale di Carlo d’Angiò duca di Calabria nelle operazioni militari contro Castruccio Castracani, e nel 1330 fu capitano dell’esercito fiorentino nell’assedio di Montecatini. Le imprese militari contribuirono a rafforzare i legami esistenti tra il C. e gli Angioini, poiché proprio da Roberto d’Angiò egli venne investito nel 1335 dell’importante carica di podestà di Genova, dove rimase fino al momento della cacciata dei guelfi da parte dei ghibellini genovesi sostenuti da Savona e da altre città della Riviera. Il 25 nov. 1338 assunse la carica di capitano del Popolo di San Gimignano: probabilmente a questo incarico si riferisce l’Ammirato quando dichiara che fu podestà di San Gimignano.
I suoi meriti politici e militari, non disgiunti dal fatto di appartenere a un ricco e nobile casato, valsero a consolidare la sua fama e il suo prestigio anche nell’ambito cittadino. Nel febbraio del 1342, assieme ad Angelo Acciaiuoli e Giovanni Barrile, funse da testimonio alla solenne stesura dell’atto di donazione di alcuni beni posti in Val d’Ema, stipulato da Nicola Acciaiuoli a favore di due certosini, del priore del convento di S. Maria di Siena e del priore di S. Girolamo di Bologna, per la fondazione della certosa di Galluzzo. Il 1342 è inoltre l’anno in cui Gualtieri di Brienne duca d’Atene salì al potere con l’appoggio dei magnati fiorentini e del vescovo Angelo Acciaiuoli, ed il C. con tutta la sua famiglia, quale esponente della classe magnatizia, sposò interamente la causa del duca, diventando uno dei suoi più accesi sostenitori. Le sorti del duca d’Atene, così strettamente legate alla classe dei mercanti e dei banchieri, mutarono però appena un anno dopo la sua ascesa.
Si riferisce a questa vicenda l’episodio più noto della biografia del Cavalcanti. Narrano i cronisti fiorentini che il 26 luglio 1343, giorno in cui scoppiò la rivolta contro il duca d’Atene, 300 uomini fedeli al duca, fra cui il C., tentarono di fronteggiare i ribelli al grido di “Viva il signore lo duca”, ma senza risultati apprezzabili. Vistisi isolati, i 300 passarono rapidamente alla parte avversa, ad eccezione del C., di cui viene sottolineato il senso dell’onore, e di pochi altri. Il C. si recò infatti al Mercato Nuovo e, salito su un banco, cercò di persuadere il popolo a schierarsi con il duca. Senza successo tuttavia, sicché egli, visto inutile ogni tentativo, si chiuse nelle sue case.
Nonostante il C. avesse fino all’ultimo sostenuto il duca d’Atene, nel corso della settimana successiva alla sommossa, cioè fra il 26 luglio e il 2 agosto, fu eletto nella commissione di quattordici cittadini chiamati dal Parlamento a riformare l’ordinamento costituzionale del Comune di Firenze. Tale commissione era del resto composta per tre quarti da esponenti delle famiglie magnatizie cui i Cavalcanti eano legati. Si trattava di una commissione provvista di ampi poteri poiché, come narra il Villani, “detti 14 cassarono ogni ordine e decreto che il duca aveva fatto”.
Tre anni dopo, nel 1346, è di nuovo al servizio degli Angiò: ci risulta infatti che era stato incaricato dalla regina Giovanna I di assoldare, insieme con Andrea Buondelmonti, mercenari toscani da opporre a Roberto di Taranto e a Carlo di Durazzo, di cui si temeva un colpo di mano per vendicare l’oscura morte di Andrea d’Ungheria. In un documento dello stesso anno, rilasciato il 9 marzo da Giovanna I, inoltre, il C. è detto “capitaneo ad guerram civitatis Reati” (Faraglia, p. 192).
L’Ammirato ritiene che il C. sia morto nel 1348 a seguito della peste, ma a torto. Il cronista Donato Velluti riferisce infatti che nel luglio-agosto 1351 il C. venne inviato in sua compagnia a Siena, quale ambasciatore, per discutere con i Senesi, gli Aretini ed i Perugini sull’opportunità di costituire una lega contro l’arcivescovo di Milano Giovanni Visconti e le città ghibelline che avevano mosso guerra a Firenze. La missione dovette essere portata a termine in modo assai soddisfacente, se nel 1352 proprio il C. venne inviato come ambasciatore a Sarzana per trattare la pace con l’arcivescovo di Milano.
Non conosciamo la data precisa della sua morte, né le fonti ci tramandano notizie relative agli anni successivi al 1352.
Ebbe quattro figli: Uberto, Neri, Vanni e Amerigo, dei quali sappiamo che ricoprirono anch'essi importanti cariche nel Comune fiorentino.
Fonti e Bibl.: Bibl. Ap. Vaticana, ms. Barb. lat. 5003: S. Ammirato, Hist. della famiglia del Cavalcanti di Firenze..., ff. 209r-243r; Dominici de Gravina notarii Chronicon de rebus in Apulia gestis, in Rer. Italic. Script., 2 ed., XII, 2, a cura di A. Sorbelli, p. 56; Marchionne di Coppo Stefani, Cronaca fiorentina, ibid., XXX, 1, a cura di N. Rodolico, p. 207; A. Pucci, Centiloquio, in Diario di anon. fiorentino dal 1358 al 1389, in Delizie degli eruditi toscani, V (1774), p. 223; a cura di A. Gherardi, Firenze 1876, p. 297; N. F. Faraglia, Codice diplom. sulmonese, Lanciano 1888, p. 192; G. Villani, Cronica, in Cronisti del Trecento, a cura di R. Palmarocchi, Milano 1935, pp. 436 ss.; D. Velluti, Cronica domestica, ibid., pp. 578, 587 s.; E. Gamurrini, Istoria geneal. delle famiglie nobili toscane et umbre, II, I, Firenze 1673, pp. 57-78 passim; B. Aldimari, Memorie histor. di diverse famiglie nobili..., Napoli 1691, p. 262; G. M. Mecatti, Storia cronol. della città di Firenze, I, Firenze 1755, pp. 190 s., 252; G. Capponi, Storia della Repubblica di Firenze, Firenze 1875, I, p. 205; R. Davidsohn, Forsch. zur älteren Geschichte von Florenz, II, Berlin 1896, p. 293; R. Gaggese, Roberto d’Angiò e i suoi tempi, Firenze 1922, I, p. 274; A. Sapori, La crisi delle compagnie mercantili dei Bardi e dei Peruzzi, Firenze 1926, pp. 103 ss.; C. Ugurgieri della Berardenga, Gli Acciaiuoli di Firenze, Firenze 1962, I, pp. 127, 130, 144; R. Davidsohn, Storia di Firenze, IV, Firenze 1973, p. 1083; D. Tribilli-Giuliani, Somm. stor. delle fam. toscane, I, Firenze 1862, sub voce.