FREGOSO, Giano
Nacque a Verona il 15 genn. 1531 da Cesare e Costanza Rangoni, maggiore di quattro fratelli.
Nel 1541, dopo l'assassinio a opera di sicari del marito - agente diplomatico francese -, Costanza aveva trovato rifugio in Francia, stabilendosi con i suoi figli nel castello di Bazens, residenza dei vescovi di Agen. Tale vescovato era stato promesso da Francesco I a Cesare Fregoso e concesso al cardinale Jean de Lorraine in attesa che uno dei figli di Cesare fosse in età da riceverne l'investitura. Di fatto i Fregoso percepivano elargizioni reali, pensioni e benefici ecclesiastici, che assicuravano loro una confortevole rendita di circa 10.000 scudi all'anno.
Dal 1549 il F. godette di una pensione di 600 scudi. Come i suoi fratelli Ettore e Cesare, ad Agen egli ricevette un'educazione particolarmente accurata da due celebri umanisti: Giulio Cesare Della Scala (lo Scaligero), da tempo residente ad Agen, e Matteo Bandello, il quale costì aveva seguito i Fregoso; intorno a loro si costituì un importante cenacolo culturale. Precettori del F. furono Mathieu Drouart, più noto come Beroaldo, Giovanni Strazelius - che qualche anno dopo divenne titolare della cattedra di greco al Collège de France - e Simon Beaupé. Federico Ceruti, giovane erudito veronese distintosi verso la fine del secolo per i suoi commenti e le sue traduzioni di Orazio, Cicerone, Giovenale e Virgilio, si trovava anch'egli ad Agen all'inizio degli anni Cinquanta. I pochi libri della biblioteca del F. che sono stati rinvenuti (una sintesi dei quattro Vangeli, pubblicata a Basilea da A. Osiander nel 1537; le opere di Tolomeo, ivi pubblicate nel 1541) possono dare un'idea dell'importanza che ebbe nella formazione culturale del F. la tradizione tramandata dal Bandello e dal cenacolo italianizzante di Agen. Il ruolo del Bandello, poi, fu fondamentale anche nella vicenda personale del F.: nel 1528, a Verona, Bandello aveva negoziato il matrimonio dei suoi genitori; nel 1531 aveva salutato la nascita del F. con alcuni versi poi pubblicati nei suoi Canti; dopo la morte di Cesare aveva dimostrato alla vedova e ai figli una devozione senza cedimenti, che aveva permesso di conservare alla famiglia il vescovato di Agen. Questo, infatti, era stato promesso a un fratellio del F., Ettore, il quale, però, non aveva ancora raggiunto l'età canonica; Bandello aveva allora accettato di ricevere il vescovato per mantenerlo ai suoi signori (1550), riservando comunque a Ettore la metà delle rendite; dopo la morte di Ettore, avvenuta il 10 febbr. 1552, Bandello, sulla base della medesima sistemazione finanziaria, tenne il vescovato per il F., cui lo cedette alla fine del 1554, riservandosi il solo castello di Bazens. A questa data il F. si trovava a Roma, dove completava con il precettore Beroaldo la sua educazione nel corso di un viaggio, iniziato nel settembre 1554, al seguito del cardinale d'Armagnac.
Nominato vescovo di Agen il 23 genn. 1555, grazie alla protezione di Caterina de' Medici, il F. fu consacrato a Roma dal vescovo di Verona ma fece il suo ingresso solenne nella sede episcopale solo il 7 sett. 1558. Non molto si sa dei primi anni del suo episcopato, proprio nel periodo in cui la città subiva prove tremende: conquista e occupazione da parte dei protestanti tra aprile e agosto del 1562, peste e carestia nel 1563. Alcuni indizi, comunque, fanno pensare che il F. si sia stabilito nella diocesi agli inizi degli anni Sessanta.
L'attività del F. fu caratterizzata dalla lotta ai protestanti del Sudovest. Nel novembre 1569 il F. contribuì all'organizzazione di una compagnia di uomini d'arme italiani per la difesa di Agen. I viaggi da lui compiuti tra la sua residenza episcopale e l'abbazia di Fonfroide, nella diocesi di Narbona, gli permisero, durante la terza guerra di religione (1568-70), di osservare la situazione delle province attraversate, e di informarne i capi di parte cattolica, in particolare Monluc, luogotenente generale di Guienna. L'intesa tra il F. e Monluc si guastò, comunque, in seguito al tentativo di assassinio di cui quest'ultimo fu vittima ad Agen nel 1570; secondo Monluc il F., all'inizio completamente all'oscuro del piano, ne sarebbe poi stato informato da suo fratello Ottavio, nemico giurato di Monluc, e si sarebbe quindi lasciato trascinare nel progetto di attentato. Questo episodio, del resto mai chiarito, non distrusse il credito di cui il F. godeva presso la corte, per la quale egli continuò a svolgere il ruolo di informatore. Per il F. la debolezza dei cattolici nella bassa Linguadoca era essenzialmente dovuta alla mancanza di un capo e questo scoraggiava ogni loro iniziativa; perciò egli dette il suo appoggio al cattolicissimo Guillaume de Joyeuse, luogotenente generale del re.
Nel 1570 il F. denunciò alla corte François de la Jugie, barone di Rieux, governatore di Narbona, accusando quest'ultimo - allora in conflitto con i consoli e i cattolici di Narbona circa una lista degli abitanti sospettati di simpatie protestanti e accusati di voler tradire la città - di essere passato dalla parte dei protestanti e di perseguitare apertamente i cattolici narbonesi.
La fedeltà del F. alla Corona (condivisa da tutta la sua famiglia) lo portava, comunque, a difendere la politica conciliante di Enrico III e di Caterina de' Medici, i quali, in ragione di ciò, nel febbr. 1579, vollero che entrasse nel Consiglio affiancato ai sovrani di Navarra su suggerimento di Guy du Faur de Pibrac; costui sperava che il F. si inserisse fra i consiglieri più importanti. Il F. divenne così uno degli agenti reali incaricati di far applicare, nel Sudovest, il trattato di Nérac (febbraio 1579); nel marzo dello stesso anno, il F. ricevette ad Agen le due regine Caterina de' Medici e Margherita di Navarra, che avevano riunito gli Stati generali della regione agenese, cui fecero giurare l'osservanza dell'editto del 1577 e quanto stabilito dalla conferenza di Nérac. Ben presto, tuttavia, il F. dovette riconoscere l'impossibilità di negoziare in una regione in cui le rivalità religiose erano esasperate dalle ambizioni politiche e dall'incompatibilità di carattere esistente fra Biron, governatore della Guienna, e il re di Navarra. Ad appena tre mesi dall'inizio della missione di conciliazione il F., constatando la sua impotenza, chiese di potersi ritirare nella sua diocesi. Caterina de' Medici, che lo considerava uno dei migliori servitori della Corona nella regione, lo trattenne fino alla fine del 1579; tuttavia, nel gennaio 1580, gli fu permesso di rientrare ad Agen. Il periodo trascorso nel Consiglio del re di Navarra gli valse, comunque, la stima e l'amicizia della regina Margherita; in cambio il F. le assicurò l'appoggio e la fedeltà dei notabili di Agen, in particolare del sindico del territorio, il che non fu forse estraneo al tentativo di Margherita di fare di Agen, nel 1585, il centro della sua ribellione alla Corona.
Dal 1580 fino alla sua morte il F. non cessò mai di denunciare le violazioni da parte dei protestanti degli editti di conciliazione; contemporaneamente condannò la mancanza di risolutezza della Corona, che si risolveva a favore dei protestanti e scoraggiava i cattolici. Mancando la necessaria determinazione nella difesa dei cattolici (che il F. identificava con i "fedeli sudditi del re"), la Corona correva il rischio di perdere la loro fedeltà. Il F. ci appare, dunque, un lucido osservatore della crisi di fiducia di larga parte dei cattolici nei confronti della monarchia rappresentata da Enrico III.
In ogni caso la fedeltà personale del F. al potere reale si dimostrò indefettibile, anche se egli concluse la sua vita in semidisgrazia non essendo riuscito a ottenere, nonostante le reiterate richieste, la carica di coadiutore di Agen per il cugino Alessandro, il quale ebbe solo l'abbazia di Fonfroide, che conservò fino al 1620.
Il F. morì ad Agen il 16 ott. 1586, circondato da reputazione di grande probità; in effetti egli non aveva ammassato ricchezze e nelle sue lettere si qualificava come il più povero prelato del Regno.
Ciò è confermato, nel 1579, da Caterina de' Medici che, a motivo appunto della povertà del F., chiese ad Anna d'Este di convincere il fratello, Luigi d'Este, a rinunciare al processo che questi aveva allora in corso con il F., probabilmente a causa del possesso dell'abbazia di Fonfroide, sulla quale i cardinali di casa d'Este nutrivano delle mire; tale povertà era dovuta, almeno in parte, al rifiuto del F. di cumulare i benefici. Francesco II gli aveva in effetti concesso Fonfroide, ma il possesso gli era stato contestato e ancora nel 1579 fu necessario il fermo appoggio di Caterina perché il F. potesse conservare la sua abbazia. Nel 1560, proprio a causa dei conflitti insorti al riguardo, Carlo IX aveva dovuto nominare economo di Fonfroide il veronese G. Massei, il quale tenne l'amministrazione fino al 1582; fu solo a partire da questa data che il F. poté riceverne le rendite per intero.
Il F. fu venerato dalla popolazione cattolica della sua diocesi per due motivi; intanto per la fermezza e la combattività di cui dette prova nei confronti dei protestanti: grazie a lui la città di Agen, più volte minacciata fra il 1569 e il 1580, non cadde in loro mano. Quindi per la sua azione specificamente religiosa: vescovo di Agen per più di trent'anni, il F. fu tra i primi prelati francesi ad attuare i dettati del concilio di Trento. Se i primi anni del suo episcopato furono segnati eminentemente dalla lotta armata contro i protestanti, gli ultimi si caratterizzarono invece per l'attività di riforma svolta dal F. durante il lungo soggiorno nella sua diocesi; nonostante le relazioni a corte e i legami con Caterina de' Medici e la regina di Navarra - di cui favorì la devozione e le manifestazioni di pietà accompagnandola, nell'agosto 1584, in pellegrinaggio a Nôtre-Dame de Bonencontre - il F. non fu un prelato cortigiano. Nel 1582 convinse la città di Agen a chiamare i gesuiti: la donazione maggiore della quale questi beneficiarono si deve al F. che, nonostante le modeste disponibilità, si impegnò per 233 scudi.
Nel 1583 partecipò al concilio provinciale di Bordeaux, tenuto dall'arcivescovo Prévost di Sansac, anch'egli grande riformatore. Ritornato alla sua diocesi il F., secondo la linea d'azione stabilita a Bordeaux, si sforzò di eliminare dal culto e dai riti locali le festività troppo legate al folclore; a questo fine pubblicò un catalogo delle feste riconosciute dalla sua Chiesa (1584).
Fonti e Bibl.: Parigi, Bibl. nationale, Fonds franç., 6912, ff. 128, 138; 15562, f. 290; 15906¹, f. 296; Ibid., Collection Dupuy 588, f. 103; Ph. Tamizey de Larroque, Lettres inédites de Janus Frégose, évêque d'Agen, (estratto da: Recueil des travaux de la Société d'agriculture, sciences et arts d'Agen, Bordeaux 1873); Lettres de Catherine de Médicis, a cura di H. de La Ferriere, VI, Paris 1897, pp. 260, 300, 338, 501; VII, ibid. 1899, p. 155; J. Tissier, Documents inédits pour servir à l'histoire de la Réforme et de la Ligue à Narbonne, Narbonne 1900, pp. 9-11; M. Bandello, Tutte le opere, a cura di F. Flora, II, Milano 1952, pp. 579, 599; B. de Monluc, Commentaires, 1521-1576, a cura di P. Courteault, Paris 1964, pp. 762-765; Correspondance des nonces en France Dandino, Della Torre et Trivultio (1546-1551), a cura di J. Lestocquoy, Rome-Paris 1966, p. 317; F.S. Maffei, Verona illustrata, Milano 1825, II, 4, pp. 286-289; E. Cauvet, Étude historique sur Fonfroide, Montpellier-Paris 1875, pp. 577-579; M. Labenazie, Histoire de la ville et pays d'Agenais, Saint-Nicolas-de-la-Balerme 1888, p. 286; P. Lauzun, Itinéraire raisonné de Marguerite de Valois en Gascogne d'après ses livres de comptes, 1578-1586, Paris 1902, pp. 85, 270, 298 s.; J. Mommejat, À quelle date naquit l'évêque Janus Frégose?, in Revue de l'Agenais, XXXIV (1907), pp. 548 s.; L. Desgraves, Trois livres des bibliothèques de Matteo Bandello et de G. F., évêque d'Agen, in Revue française d'histoire du livre, 1974, pp. 361-363; G. von Gulik - C. Eubel, Hierarchia catholica…, III, Monasterii 1923, p. 98; Dict. de biographie française, XIV, Paris 1979, p. 1166.