GIANO Pannonio (Ianus Pannonius, Giovanni da Csezmicze, Cesinge)
Poeta umanista ungherese, n. il 29 ag. 1434, m. il 27 marzo 1472 presso Zagabria. Mandato dallo zio Giovanni Vitéz, vescovo di Várad e più tardi arcivescovo di Strigonia (Esztergom), alla scuola ferrarese di Guarino Veronese nella primavera del 1447, vi fece rapidi progressi, divenendo ben presto uno dei primi poeti latini di Ferrara.
Fra le opere di quel periodo sono da ricordare anzitutto gli epigrammi, che risentono dello studio di Marziale e dell'Ermafrodito del Beccadelli, e hanno particolare importanza per la conoscenza della vita studentesca ferrarese. Meno riuscite sono le elegie, ché solo molto più tardi i dolori fisici e le passioni ispirarono a G. più felici componimenti. Fra le maggiori poesie di quegli anni vanno annoverati il Carmen pro pacanda Italia ad Imp. Caes. Fridericum III, scritto nel 1452 per commissione di Renato d'Angiò in occasione del viaggio in Italia di Federico III; il Panegyricus in Renatum, giunto a noi incompiuto, che fu come la preparazione letteraria della campagna militare di Renato nel 1453; il Carmen ad Ludovicum Gonzagam principem Mantuanum, un lungo epitalamio, composto nel 1453 per incarico di Guarino, in occasione del matrimonio di Paola Barbaro, figlia di Francesco, il grande umanista veneziano; infine la Silva Panegyrica ad Guarinum Veronensem praeceptorem suum, del 1453, ma ridotta alla sua forma definitiva, a quanto pare, solo nel 1469, forse per le sollecitazioni di Battista Guarino.
Salito già in gran fama per la sua attività poetica presso principi e letterati, G. lasciava nell'autunno del 1454 la scuola di Guarino e si trasferiva a Padova per seguirvi gli studî di diritto canonico.
Fra le poche elegie allora composte, la più celebre è quella ad Andrea Mantegna, che aveva dipinto il suo ritratto insieme con quello di Galeotto Marzio (Laus Amlreae Mantegnae pictoris patavini, 1458). Notevole anche il lunghissimo Panegyricus ad Iacobum Marcellum Venetum, nel quale G. esprime la sua gratitudine a uno dei suoi primi patroni. A Padova, per suggerimento dell'amico Marco Aurelio veneziano cominciò pure la sua attività di traduttore, volgendo in latino due opuscoli di Plutarco.
Ottenuta la laurea (1458), dopo aver visitato Roma, Firenze, ecc., G. ritornò in patria, dove la protezione di Giovanni Vitéz e del giovane re Mattia gli procurò subito alte cariche, e già nel 1459 egli otteneva il vescovato di Cinquechiese (Pécs). In Ungheria G. attese soprattutto agli affari pubblici e ai lavori della cancelleria. Ma quando nel 1465 fu mandato dal suo sovrano a Roma a rendere omaggio al nuovo papa Paolo II, e a pregarlo di aiuti per la guerra contro i Turchi, si rinnovò in lui la passione umanistica.
Appartengono a questo periodo alcune belle elegie e traduzioni da Plutarco, Demostene, Omero, Plotino, e inoltre il poema epico Annales oggi perduto, in cui trattò alcune parti della storia nazionale. Ma poi di nuovo la sua attività letteraria e poetica fu interrotta dalla politica, per lui questa volta fatale. Già con lo zio Giovanni Vitéz congiurò contro il re Mattia Corvino per elevare al trono ungherese in sua vece Casimiro, figlio del re polacco. Scoperti, G. dovette fuggire, e mentre probabilmente cercava di passare in Italia, morì presso Zagabria.
La gloria maggiore di G. è di avere per primo condotto la poesia sulle rive del Danubio, e mostrato al mondo della cultura come anche nell'Ungheria, fino allora famosa quasi soltanto per fasti guerreschi potesse nascere un poeta. La sua attività di umanista e di poeta in Ungheria è una delle testimonianze più precoci e più preziose della forza espansiva del Rinascimento italiano.
L'edizione più compiuta delle sue opere è: J. P. Poemata, 1784; Opere posteriormente scoperte ha pubblicato E. Abel, Analecta ad historiam renascentium in Hungaria litterarum spectantia, Budapest 1800.
Bibl.: G. Carducci, La gioventù di L. Ariosto e la poesia latina in Ferrara, in Opere di G. C., XV, pp. 59-70; V. Reforgiato, Gli epigrammi di G. P., Catania 1896; R. Sabbadini, Epistolario di Guarino Veronese, I-III, Venezia 1915-1919; J. Huszti, Tendenze platonizzanti nella corte di Mattia Corvino, in Giorn. crit. della filos. it., 1930; J. Huszti, J. P., Pécs 1931.