CASOPERO, Giano Teseo
Nacque a Cirò (l'antica Psychròn, donde il patrionimico Psicroneo) il 10 apr. 1509 da Agamennone, di famiglia un tempo ricca e nobile, originaria di Lecce, emigrata a Cirò e nella vicina Melissa, e da Margherita Spoletino. Particolarmente dotato tra gli altri fratelli (Donato, Niccolò, Pietro, Pomponio, Aurelia e lacoba), il C. a dodici anni, per interessamento dello zio materno, valente giureconsulto, che insieme ad altri maestri aveva curato la sua prima educazione nella cittadina natale, fu affidato a Niccolò Salerni, che teneva allora scuola a Rovito, presso Cosenza.
Destinato dalla famiglia alla carriera giuridica, il C. non poté. recarsi subito a Padova a studiare legge per le precarie condizioni economiche della famiglia e per la grave situazione politica che faceva dell'Italia il campo della guerra franco-spagnola. Coniponeva intanto versi e si abbandonava al delicato e impulsivo amore di adolescente per una "Fastia" ventenne, sposa e madre, non altrimenti connotabile. Morto nel 1526 a Napoli don Andrea Carafa, conte di Santa Severina e delle terre vicine, fra cui Cirò, il C. pronunciò in paese dinnanzi al nuovo signore Galeotto, nipote del defunto, l'orazione commemorativa, in cui si fece interprete insieme del dolore e delle speranze della città.
Il discorso sapientemente costruito secondo gli schemi della retorica classica, ma estremamente sincero sulla bocca di un giovinetto, lo rivelò al conte, al di lui segretario Marcantonio Magno ed a Ludovico Angeriano, poeta latino e volgare, che riuscì ad ottenergli l'insegnamento nella vicina Rocca Bemarda.
Non rimase a lungo nell'insano paesino: ammalatosi, nell'aprile del 1526 era nuovamente a Cirò. Cagionevole di salute, a letto lo colse la notizia della pace di Cambrai (5 ag. 1529). Ottenne un nuovo insegnamento a Santa Severina, ma, di nuovo ammalatosi di febbre terzana, fu costretto a ritornare a Cirò. Da questa epoca data la sua amicizia con Antonio Telesio, che gli inviò copia della sua tragedia Imber aureus, per sollecitarne un giudizio, e con Luigi Giglio (il riformatore del calendario), suo compaesano. Nel settembre 1532 si recò a Roma, ma giunto dopo un viaggio avventuroso, disgustato dal disordine e dall'abbandono in cui giaceva la città non ancora riavutasi dopo il terribile sacco del '27, speso gia tutto il danaro, ripartì subito, aiutato da Francesco Franchini. Si fermò a Napoli, dove, oltre al Telesio e ai fratelli Martirano, ritrovò lo zio, che lo riportò con sé in Calabria e gli permise con il suo aiuto di partire finalmente nell'ottobre del 1533 alla volta di Padova, per frequentarvi l'università.
Qui ascoltò le lezioni dei più illustri. professori di diritto di quello Studio, Mariano Socino e Giovanni Antonio de' Rossi, e continuò a coltivare i prediletti studi letterari, frequentando i corsi di Lazzaro Bonamico e partecipando alle vivaci polemiche pro e contro il volgare, pro e contro Cicerone. A Padova si sistemò, a partire dal febbraio 1534, nel Collegio del Santo o Pratense. Non facili furono gli anni trascorsi nella città veneta; spesso, per le precarie condizioni economiche, il C. fu costretto a rivolgersi ad uno strozzino e ad impegnare i suoi libri. Si laureò nel 1537. Dopo questa data più nulla si sa di lui.
Nel 1535 aveva già pubblicato a Venezia presso l'editore Bernardino De Vitali tutte le sue opere, le epistole (Epistularwn libri duo), le selve, le elegie e gli epigrammi (Sylvarum libri duo. Eiusdem elegiarwn et epigrammaton libri quattuor), gli Amorum libri quattuor ad Fastiam. L'orazione letta in occa sione della laurea (Oratio habita in celeberrimo collegio Patavino post examen in Pontificio et Caesareo iure)fu stampata, forse dallo stesso editore, a Venezia nel 1537. Scritte a partire dal 1526 le Epistole hanno valore documentario e nel loro perfetto stile squisitamente ciceroniano, sono, se si tien conto della giovanissima età del C., "un miracolo, per il colore la proprietà delle espressioni" (Cianfione, 1955, p. 62). Nell'ambito della scuola restano i versi delle Selve, delle Elegie e degli Epigrammi, che, legati alle tematiche e agli stilemi della lirica latina del Rinascimento, nello specifico, calabrese-cosentina (si pensi al Parrasio, al Franchini, al Telesio, al Salerni), sostenuti solo dal motivo encomiastico contingente o altrimenti occasionale, appesantiti dalla casistica mitologica e storica, dall'imitazione classica ricercata e preziosa, dall'alessandrinismo di marca polizianesca, ma a diverso livello di ricreazione e di risultato poetico, forzati dal posticcio esito didascalico, si liberano solo saltuariamente M aperture dì scabro o edenico paesaggio calabrese, si riscaldano di fanciulleschi abbandoni di sentimento e si riscattano per un genuino fondo umano, che detta al C. parole di orrore per la guerra e di pietà per i morti. Più interessante il canzoniere per Fastia, una raccolta di versi d'amore composti dall'età di sedici-diciassette anni, quando il C. si innamorò della bella crotonese, sino ai primi anni padovani, quando ormai la passione aveva lasciato il posto ad un tenero, nostalgico ricordo. Ricalcando, ma con freschezza, motivi e temi catufliani, propeliiani,ovidiani, stiinovistici e neoplatonici, i quattro libri ripercorrono i momenti psicologici dell'amore del C., dalla trepidante speranza dei primi approcci, all'esultanza per l'affetto ricambiato, di tanto in tanto incrinato dalle forzate separazioni o dai periodici litigi, al dolore della rottura definitiva. Non un amore platonico il C. canta, non un amore casto prova per Fastia, ma la passione è quella di un adolescente, trepidante e candida: si spiega così perché questo canzoniere raggiunga accenti di garbata originalità.
Fonti e Bibl.: Per la vita del C. si attinge, oltre che alle sue opere, alla biografia scritta da C. Paolo da Montalto, Iani Thesei Psychronaei Vita, Venetiii 1535. Suoi componimenti si leggono, con brevissimi cenni biografici, in: R. Ghero, Deliciae Italorum poetarum huius superiorisque aevi illustrium, In officina Janae Rosae 1608, pp. 1153 s.; F. Daniele, A. Thyiesii Carmina et Epistulae quae ab editione Neapolitana exuIant, Neapoli 1708,- pp. 27-30, 55, 58; E. D'Amato, Pantopologia Calabra, Neapoli 1725, pp. 95, 375; T. Aceti, In Gabrielis Barrii Francicani de antiquitate et situ Calabriae libros auinque..., Romae 1737, p. 354; G. F. Pugliese, Descriz. e istor. narrazione della origine e vicende politico-economi che di Cirò, I, Napoli 1849, pp. 222 ss., 28-33; G. Falcone, Poeti e rimatori calabri, I, Napoli 1902, pp. 111-14. Su di lui, oltre le opere già citate e i vecchi repertori di C. Gesneri, Bibliotheca universalis, Tigurii 1575, p. 329; H. D. Caramella, Museum illustrium poetarum qui latino carmine scripserunt, s.l. 1651, p. 135; A. Zavarroni, Bibliotheca Calabra, Neapoli 1753, p. 81; B. Chioccarelli, De illustribus scriptor. qui in civitate et Regno Neapolis... floruerunt, I, Neapoli 1780, p. 1238; E. A. Cicogna, Delle Inscrizioni veneziane, Venezia 1824-53, IV, p. 179; V, pp. 232, 234, 237, cfr. B. Brugi, La scuola padovana di diritto romano del sec. XVI, Padova 1888, pp. 41, 58, 73 s.; Id., La scuola dei giuristi in Padova nel '500, Venezia 1922, p. 51; G. Morgante, Saggio di un catal. ragionato di antiche e rare edizioni stampate prima dell'anno 1550..., Roma 1906, pp. 112 ss.; L. Aliquò Lenzi, Gli scrittori calabresi, Messina 1913, p. 69; G. Aromolo, Psychròn, Catanzaro 1921, pp. 12-15; Id., L. Giglio, Napoli 1930, pp. 10-12, 27 s.; A. Pagano, A. Telesio, Napoli 1935, pp. 33 s.; L. Aliquò Lenzi-F. Aliquò Taverriti, Gli scrittori calabresi, Diz., I, Reggio Calabria 1955, pp. 167 s.; e soprattutto la monogr. (con bibl.) di G. Cianflone, Un poeta latino del XVI sec., G. T. C. I suoi amici - I suoi tempi, Napoli 1950 (2 ed. ampliata e corretta, G.T.C. Poeta latino del XVI sec. e gli umanisti calabresi e veneti, Napoli 1955); e A. Piromalli, La letter. calabrese, Cosenza 1965, pp. 69-71.