CALOGROSSO, Gianotto (Gianotto da Salerno)
Ben poco sappiamo di questo poeta volgare, fiorito intorno al 1450. L'identificazione (avanzata cautamente dal Crescimbeni) del C. con un Gianotto Salernitano - che, secondo C. Ghirardacci(Historia di Bologna, II, Bologna 1657, p. 381), guidò come capitano di Carlo d'Angiò, duca di Durazzo, venuto in Italia nel 1380, una spedizione contro Siena - fu ripresa, sempre con cautela, dal Tafuri e in ultimo confutata dal Frati, che trovò ad essa un ostacolo insormontabile negli indizi cronologici deducibili da alcune sue rime contenute nel cosiddetto codice Isoldiano.Tali rime furono scritte dal C. su commissione di Sante Bentivoglio per una Nicolosa Castellani, seconda moglie di Nicolò Sanuti.
Si tratta di due sestine ("Splendida nympha, e candida colomba" e "Sacrate muse, e donne mie dilecte") e di un sonetto caudato ("Signor benegno, e albergho de virtute"), anteriore al 5 maggio 1450, data di morte dell'"inico [iniquo] Antonio" (vv. 16-17), che figlio di primo letto del Sanuti, fu poco gradito alla matrigna Nicolosa. La presenza delle sestine, - con numero d'ordine V e XII e in una seconda redazione lievemente diversa, nel corpo di un'operetta mista di prosa e versi contenuta, senza indicazione di titolo e di autore, nel ms. Italiano 1036(8145ª) della Biblioteca nazionale di Parigi - ha permesso ai primi, recenti editori l'attribuzione di questa al Calogrosso.
Argomento dell'opera è l'amore dei due aristocratici personaggi, Sante, che nel romanzo assume il nome di Filoteo, e Nicolosa, mai nominata se non per acrostico (ad esempio nella canzone "Nacque miranda sotto dolce Idea", da cui si ricava Nicolosabella, che poi è il titolo dato all'opera dagli editori) o per simboli (fenice e colomba). Ad episodi documentabili si allude poi in maniera non troppo enigmatica: come Sante, il protagonista passò la giovinezza in Etruria per poi tornare, trionfalmente accolto dal popolo, a Bologna, dove fu armato cavaliere.
Nella finzione romanzesca l'innamoramento di Filoteo, avvenuto durante le feste in onore di s. Giacomo (11 maggio), porta a tutte le vicende sentimentali proprie del genere in cui si colloca l'operetta e che ha come precedenti la Vita Nova e i romanzi boccacceschi. Queste sono qui indagate secondo un'ingenua psicologia su di un'esile trama narrativa fatta di luoghi comuni gentilmente espressi: il tormento amoroso di Filoteo la sera del primo incontro, nella solitudine della cameretta, il suo emblematico sogno nel quale l'amata cinge di una catena d'oro il collo dell'innamorato trasformato in leopardo, i primi scambi di lettere, le prime gelosie, i buoni uffici del confidente Ginnasio (sotto le cui spoglie si cela l'autore) presso la donna che, come maritata, si mostra, prima di cedere, combattuta tra amore e vergogna. La parte poetica dell'operetta, in cui si esprimono gli indugi e le esaltazioni liriche dei protagonisti, non è priva di un certo petrarchismo "d'istinto", secondo la definizione del Gaeta; il linguaggio, su un fondo toscano, presenta qualche coloritura meridionale dovuta forse all'autore e qualche elemento emiliano risalente forse al copista.
La data di composizione porta, pur approssimativamente, agli anni tra il 1453 (rima XCVII) e il 1459 (rime XCVI e XCVIII in cui la durata dell'amore, iniziato probabilmente nel 1447 e durato fin dopo il matrimonio di Sante con Ginevra Sforza avvenuto nell'aprile 1454, è calcolata in dodici anni). Non si può nemmeno escludere che le rime siano state via via composte durante lo svolgimento della relazione amorosa, come sembra voler significare il C. nella prosa introduttiva, ove afferma di averle "per ordine raccolte e poste…". In questa prospettiva, la parte prosastica, giuntaci con qualche lacuna, e che, nella seconda prosa, presenta affinità psicologica con una lettera composta, forse dallo stesso C., per Nicolosa verso il 1454, rappresenterebbe dunque la posteriore organizzazione in romanzo della materia lirica.
Un altro sonetto del codice Isoldiano, ("Eccho el giulglello e la candida perla") scritto, sempre su commissione, dal C. in lode di Margherita di Gianfrancesco Bevilacqua di Verona, andata sposa nel 1458 al conte Iacopo Sacrati di Ferrara, riconferma l'immagine di un C. tipico rappresentante di quella poesia che nelle corti italiane del XV e XVI secolo rispondeva ad intenti celebrativi di natura non soltanto poetica, ma sociale e politica, e che ha il suo testo più noto nel Liber Isottaeus di Basinio da Parma.
La lettera per Nicolosa fu pubblicata da L. Frati, Lettere amorose di G. Marescotti e di S. Bentivoglio, in Giorn. stor. d. letter. ital., XXVI (1895), pp. 333-339; alcune rime sono tra Le rime del codice Isoldiano (Bologna, Univ. 1739), a cura di L. Frati, I, Bologna 1913, pp. 118-121, 306; tutta l'opera poetica è in G. C., Nicolosa bella, prose e versi d'amore del sec. XV, inediti, a cura di F. Gaeta e R. Spongano, Bologna 1959.
Bibl.:G.M. Crescimbeni, Commentari all'istoria della volgar poesia, Roma 1710, II, 2, pp. 137s.; oppure: Venezia 1730, III, p. 248;G. B.Tafuri, Istoria degli scrittori nati nel Regno di Napoli, II, 2, Napoli [1749], pp. 199 s.;C. Minieri Riccio, Memorie storiche degli scrittori nati nel Regno di Napoli, Napoli 1844, p. 69.