Vedi Giappone dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
Il Giappone è una potenza regionale, che possiede un sistema economico e una rete di relazioni internazionali tali da permettergli di svolgere un ruolo di primo piano nel panorama asiatico. Inoltre, sebbene nel 2010 sia stato superato dalla Cina, per più di quarant’anni il Giappone ha mantenuto lo status di seconda potenza economica al mondo dopo gli Stati Uniti. Già indebolito dalla crisi economica internazionale, il paese deve oggi far fronte alle conseguenze del violentissimo terremoto che l’11 marzo 2011 ha colpito il suo territorio con esiti drammatici in termini di vittime, distruzione materiale, sicurezza e salute della popolazione. Sotto il profilo geografico il Giappone si presenta come un arcipelago composto da quattro isole maggiori e da più di 6000 isole minori, sparse nell’Oceano Pacifico; la caratteristica geopolitica più rilevante è dunque quella di essere un paese insulare.
Dalla fine della Seconda guerra mondiale, dopo essere stato sconfitto dalle potenze alleate, il Giappone è stato cooptato dagli Stati Uniti all’interno delle dinamiche geopolitiche e strategiche del blocco occidentale, arrivando a costituire uno dei punti di riferimento fondamentali in Asia per Washington. Occupato dagli Stati Uniti fino al 1952, il paese ha adottato una linea pacifista fissandola nell’articolo 9 della sua Costituzione, approvata nel 1947. In tale articolo si esprime la condanna degli atti di aggressione e la rinuncia alla costituzione di un esercito autonomo, tanto che oggi formalmente il paese non dispone di forze armate, ma solo di una forza di autodifesa. Nonostante gli stretti rapporti con gli Stati Uniti, negli anni Tokyo ha rivendicato, e continua a farlo, un grado sempre maggiore di indipendenza nella gestione della propria politica estera, anche alle luce degli interessi che il paese detiene nella regione asiatica.
Proprio nel quadro delle dinamiche regionali, tuttavia, il Giappone risente ancora oggi del fatto di essere stato esso stesso una potenza occupante in alcune aree (principalmente nelle due Coree e in alcune regioni cinesi) durante le giunte militari degli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso. Non a caso i rapporti con la Cina sono a tutt’oggi ambivalenti: da un lato Pechino è il primo partner commerciale del Giappone, ma dall’altro la Cina compete con Tokyo per questioni di influenza regionale, è animata dal revanscismo del periodo dell’occupazione giapponese e, più di recente, ha innalzato il livello di tensione attorno ad alcune dispute territoriali che coinvolgono i due paesi. Nello specifico, le vertenze si concentrano attorno ai diritti di sovranità sulle Isole Senkaku-Diaoyu, nel Mar Cinese Orientale, rivendicate da entrambi i paesi anche in ragione delle ingenti riserve di idrocarburi che sarebbero presenti al largo delle loro coste. Altre dispute territoriali ad oggi ancora aperte sono quelle con la Russia, relative al possesso delle Isole Curili. È proprio tale vertenza, infatti, a costituire uno dei maggiori ostacoli nei rapporti tra Giappone e Russia, tanto che i due paesi non hanno ancora firmato un trattato di pace che sancisca la chiusura del secondo conflitto mondiale. Infine, si registrano tensioni anche nelle relazioni tra Tokyo e la Corea del Nord, rispetto alla quale le distanze dettate da ragioni ideologiche si sommano ai timori provocati dal programma nucleare avviato dalla fine degli anni Ottanta da Pyeongyang. Sempre nell’ambito regionale, il Giappone intrattiene invece relazioni più distese con la Corea del Sud, alleato di Tokyo in nome dei comuni rapporti con gli Stati Uniti, e con l’Indonesia, uno dei paesi da cui il Giappone importa tra le maggiori quantità del gas naturale necessario per soddisfare i propri fabbisogni energetici. Inoltre il Giappone sembra essere tra i primi sostenitori di una politica multilaterale nel continente asiatico, anche grazie allo strumento dell’Asia-Pacific Economic Cooperation (Apec), organismo per la cooperazione economica che comprende i maggiori attori dell’area, tra cui lo stesso Giappone, la Cina e la Russia, oltre agli Stati Uniti.
Ordinamento istituzionale e politica interna
La Camera dei consiglieri è invece composta da 242 membri eletti ogni sei anni, con la metà dei membri rinnovata ogni tre anni. A dominare lo scenario politico dell’ultimo mezzo secolo è stato il Partito liberaldemocratico, ininterrottamente in carica tra il 1955 e il 2009, quando il Partito democratico giapponese è riuscito a prevalere nelle elezioni per la Camera dei rappresentanti e a scalzare i liberaldemocratici dalla guida dell’esecutivo. Nel dicembre 2012, però, l’ex primo ministro Yoshihiko Noda ha sciolto la Camera bassa (Camera dei Rappresentanti), convocando elezioni anticipate. Dalle elezioni è emerso ancora una volta vincitore il Partito Liberaldemocratico guidato dal nazionalista Shinzo Abe, che torna quindi alla guida del paese dopo la parentesi del 2006-07. Dal 2006 a oggi il sistema politico giapponese è stato testimone di una forte instabilità, manifestatasi con l’avvicendamento di sei diversi primi ministri in sei anni, dopo lo stabile periodo di governo di Junichiro Koizumi (2001-06).
Popolazione e società
Il Giappone è tra i primi paesi al mondo per densità demografica. Disponendo di un territorio la cui superficie è di poco superiore a quella italiana, i suoi abitanti sono tuttavia più del doppio rispetto all’Italia. Più di un terzo della popolazione risiede nella Grande Area di Tokyo, facendo di quest’ultima l’area metropolitana più popolosa al mondo. Tale area è caratterizzata da un’elevatissima densità di abitanti (circa 2600 persone per km²), sette volte superiore alla media nazionale, e il suo pil è di poco inferiore a quello francese.
I giapponesi hanno un’età mediana di 44,7 anni e sono la popolazione più vecchia del mondo davanti a Germania e Italia. Inoltre il paese detiene anche il primato relativo alla quota di persone che hanno superato i sessanta anni (29,7%) e gli ottanta (6,1%), mentre sconta uno dei tassi di fecondità più bassi al mondo (1,4 figli per donna).
La rilevanza di questi dati emerge ancora più chiaramente se analizzati in prospettiva storica: se per un paese industrializzato è infatti comune avere circa un 20% della popolazione con più di sessanta anni, l’incremento percentuale verificatosi in Giappone nel corso di trenta anni richiede normalmente un secolo. Alla fine della Seconda guerra mondiale, infatti, l’età mediana giapponese era esattamente la metà di quella attuale e fino alla metà degli anni Settanta il tasso di fecondità superava il 2%, permettendo una certa stabilità demografica. Oggi invece si assiste alla prima contrazione della popolazione totale (osservata nel quinquennio 2005-10), con una riduzione dello 0,07% (91.000 persone), ed è previsto un decremento ancora più rapido nei prossimi decenni. Un simile trend demografico è carico di implicazioni, innanzitutto di natura economica. Tra queste, una delle più immediate è data dalla crescente incidenza delle pensioni sulla spesa pubblica: se oggi tale quota non supera il 20% del pil, si stima che nel 2035 potrebbe oltrepassare il 35%. Un altro dato che caratterizza la società giapponese è la fortissima omogeneità linguistica, culturale e storica: il 99,4% della popolazione è infatti giapponese e condivide un forte orgoglio e sentimento di unità nazionale. L’unico gruppo etnico distinto è quello Ainu, che conta 25.000 persone e che è concentrato quasi esclusivamente sull’isola di Hokkaido e sulle Isole Curili.
Libertà e diritti
Nonostante l’indice di corruzione percepita di Transparency International collochi il Giappone al 14° posto, lo stretto legame tra il mondo industriale, burocratico e politico, che costituisce il cosiddetto ‘triangolo di ferro’, produce rapporti personali molto forti e che in molti casi rasentano l’illecito. Inoltre, pur avendo firmato la Convenzione contro la corruzione delle Nazioni Unite, Tokyo non ha ancora proceduto alla sua ratifica. Quanto al settore dei media, nonostante i cinque maggiori quotidiani giapponesi siano i più venduti nel mondo, anche la libertà di stampa è minacciata dalla prassi del governo di utilizzare i club della stampa (kisha kurabu) per assicurarsi il controllo dell’informazione. Entrare a far parte di questi ultimi rappresenta l’aspirazione massima per i giornalisti giapponesi. Trovandosi all’interno delle strutture pubbliche, questi club hanno l’esclusiva su molte informazioni ufficiali, fornite direttamente da esponenti politici, ma non sviluppano un autonomo giornalismo d’inchiesta. Altre libertà sono invece maggiormente tutelate: internet è completamente libero e la Costituzione garantisce la piena libertà di associazione e di religione. I sindacati, inoltre, sono indipendenti ed è previsto il diritto di sciopero, fatta eccezione per i componenti delle forze di polizia e dei vigili del fuoco. Ulteriori problemi della società giapponese emergono attorno alla parità di genere: sebbene la Costituzione la tuteli, le donne sono frequentemente discriminate a livello lavorativo. Infine, il Giappone ha attirato le critiche dei movimenti ambientalisti e animalisti per il fatto di non aver vietato la caccia alle balene.
Economia
Fino al 2009 il Giappone è stata la seconda economia del mondo in termini di pil; nonostante nel 2010 sia stato superato dalla Cina, rimane tuttora uno tra i primi paesi al mondo quanto a pil pro capite. Per dare una stima della sua influenza all’interno delle organizzazioni economiche internazionali, basti dire che la sua quota nel Fondo monetario internazionale è inferiore soltanto a quella detenuta dagli Stati Uniti. Tuttavia, la crisi globale ha colpito duramente l’economia nipponica, facendone precipitare il pil del 5,3% nel 2009 e provocando un incremento della disoccupazione, che ha raggiunto un picco del 5,6% nell’estate 2009 (dato inferiore, tuttavia, a quello di quasi tutti gli altri paesi a capitalismo avanzato). Nonostante una tenue ripresa economica sia stata registrata già nel 2010, le previsioni per il prossimo futuro indicano un pil in crescita solo dell’1% all’anno. La crisi, unita alla bassa natalità strutturale del Giappone e alle forti restrizioni verso l’immigrazione straniera, ostacola infatti l’espansione della forza lavoro necessaria a un ulteriore sviluppo economico. Le strutture della forza lavoro stanno inoltre vivendo un momento di transizione, improntato a una maggiore diffusione degli impieghi part-time e della flessibilità. Un altro peso che grava sul futuro dell’economia giapponese è il livello del suo debito pubblico: esso è infatti il più alto al mondo, e oggi supera il 200% del pil.
L’alto debito ha conseguenze negative sulle politiche fiscali, dal momento che una grossa fetta del bilancio statale deve essere diretta al pagamento del passivo accumulato, mentre la Banca centrale è impossibilitata ad attuare politiche monetarie espansive a causa del livello attuale dei tassi di interesse, già prossimi allo zero – caso unico al mondo – per scongiurare un’altra grande paura del Giappone: la deflazione. Il quadro è aggravato anche dall’instabilità politica degli ultimi anni, che non permette all’esecutivo di implementare riforme economiche e fiscali di ampio respiro. Se si considera che anche la crisi globale ha avuto un forte impatto, dal momento che l’economia si regge per buona parte sulle esportazioni, un indicatore che fa guardare con più ottimismo al futuro è proprio il fatto che queste ultime siano tornate a crescere, e nettamente: nel 2010 si è assistito a un’espansione dell’export di quasi il 25%, e nei prossimi anni si stima un incremento medio attorno al 5%. Tuttavia anche le importazioni stanno costantemente aumentando, e a un tasso analogo a quello delle esportazioni, soprattutto a causa della competitività dei prodotti provenienti dalla Cina (il 22,3% sulle importazioni totali) e dagli altri stati dell’area, e ciò complica lo stato della bilancia commerciale. In effetti il margine che negli ultimi venticinque anni ha garantito una bilancia commerciale fortemente positiva si è andato assottigliando proprio nell’ultimo lustro. Passando al commercio con l’estero, i principali partner commerciali del Giappone per quanto riguarda l’export sono nell’ordine Cina e Stati Uniti, seguiti dalla Corea del Sud, mentre la Cina detiene il primato assoluto come paese d’origine delle importazioni.
L’economia giapponese è relativamente chiusa: il volume complessivo del commercio con l’estero non supera il 25% del pil e procedendo a un confronto con le prime dieci economie del mondo quella giapponese risulta tra le meno aperte. Infine, è da notare come uno dei maggiori punti di forza del Giappone risieda nelle entrate derivanti dagli investimenti esteri, sia diretti sia di portafoglio, e nella capacità di mantenersi costantemente ai vertici tecnologici, grazie alla priorità strategica che il paese continua a dare ai settori della ricerca e dello sviluppo. Il Giappone è infatti leader nella produzione di auto, computer, prodotti elettronici, e nel campo della robotica.
Energia e ambiente
Il dato centrale della politica energetica del Giappone è rappresentato dalla sua forte dipendenza dalle importazioni: solo il 13% del fabbisogno di energia è soddisfatto tramite risorse interne al paese. Se a ciò si aggiunge che il Giappone è il terzo consumatore mondiale di petrolio (dopo Cina e Stati Uniti), il secondo importatore netto di greggio e il primo importatore assoluto di gas liquefatto e carbone, appare chiara la necessità di adottare strategie atte a ridurre la vulnerabilità derivante dalla dipendenza.
In primo luogo, negli scorsi decenni il governo giapponese ha cercato di ridurre il consumo di petrolio e ha conseguito l’obiettivo, dal momento che la percentuale di greggio all’interno del mix energetico del paese è passata dal 70% degli anni Settanta all’attuale 42%. Inoltre, il paese mantiene un buono stock di riserve, attualmente quantificabili in 590 milioni di barili di petrolio, ovvero, dato il livello del consumo medio, sufficiente a soddisfare la domanda per circa quattro mesi e mezzo. In secondo luogo, le compagnie giapponesi nel campo dell’energia investono massicciamente all’estero, soprattutto in Medio Oriente e negli stati del sud-est asiatico, sulla base di un elevato know how a livello ingegneristico e grazie al primato detenuto dal Giappone come primo esportatore al mondo di attrezzature per l’industria energetica. Infine, negli ultimi decenni, il Giappone ha anche investito nella costruzione di un consistente parco di centrali nucleari. In seguito al terremoto che ha colpito il paese l’11 marzo 2011 e il successivo danneggiamento della centrale di Fukushima, tuttavia, numerose centrali sono state spente per verifiche sulla sicurezza, riducendo drasticamente la produzione nazionale, scesa a 163 TWh (-44% su base annua). Per compensare, gli operatori giapponesi hanno fatto ricorso in modo massiccio al gas naturale importato, aumentando così il livello di dipendenza del paese. Sotto il profilo ambientale il Giappone è celebre per aver ospitato nel 1997 i lavori che hanno condotto al Protocollo di Kyoto sulla riduzione delle emissioni di gas serra. La performance del paese relativa all’inquinamento assume connotazioni opposte a seconda che si guardi all’inquinamento totale o a quello pro capite: sotto il primo aspetto il Giappone è il quinto stato al mondo per emissioni di CO2, con più di un miliardo di tonnellate ogni anno, mentre sotto il secondo si attesta su standard leggermente inferiori a quelli di paesi come Norvegia e Danimarca, noti per essere particolarmente attenti all’ambiente.
La performance ambientale non è aiutata dalla larghissima diffusione di automobili – il 90% dei giapponesi ne possiede una. Infine, da un punto di vista geologico l’isola nipponica è uno degli stati più colpiti da fenomeni sismici, che si verificano mediamente un migliaio di volte all’anno; detto altrimenti, il 10% dei terremoti registrati che ogni 12 mesi colpiscono il pianeta avvengono in Giappone.
Difesa e sicurezza
Come già accennato, ufficialmente il Giappone non possiede un vero e proprio esercito, ma solo delle forze di ‘autodifesa’, e tale disposizione è stata fissata nella carta costituzionale. Nonostante ciò, oggi sul fronte interno imperversa un dibattito molto acceso sull’eventualità di rivedere le politiche di difesa e sicurezza del paese alla luce del nuovo contesto internazionale e regionale. Il Giappone è l’unico paese ad aver subito un attacco nucleare sul proprio territorio, con le bombe sganciate su Hiroshima e Nagasaki alla fine del secondo conflitto mondiale, e questo può spiegare in parte l’avversione del paese alle armi, così come il timore nei confronti della Corea del Nord. Quest’ultima rimane la prima minaccia percepita, sia a causa del suo programma nucleare, sia per la prossimità al territorio giapponese. Tokyo appartiene a quel gruppo di paesi che ha tentato di negoziare con Pyongyang affinché ponesse fine al proprio programma nucleare; si tratta del cosiddetto Six Party Process, che oltre alla Corea del Nord e al Giappone include anche la Corea del Sud, la Russia, gli Stati Uniti e la Cina. I negoziati sembrano essere arrivati a un punto di stallo nel 2009, anno in cui la Corea del Nord ha annunciato di voler riprendere il programma nucleare e ha effettuato nuovi test. L’altro stato con cui il Giappone deve confrontarsi a livello regionale è la Cina: le linee guida del programma nazionale di sicurezza approvate dal governo nel dicembre 2010, con durata decennale, prevedono uno spostamento di alcune importanti risorse militari giapponesi dal nord al sud del paese, per fronteggiare un eventuale pericolo proveniente dalle Isole Curili. Questa decisione dà la misura di quanto il confronto con la Cina rappresenti una priorità strategica per Tokyo. A questo scopo il governo giapponese ha previsto maggiori investimenti nelle forze navali e aeree, diminuendo quelli diretti alle truppe di terra. Lo stesso programma prevede un rafforzamento delle difese anti-missilistiche, allo scopo di contrastare eventuali attacchi da parte della Corea del Nord. Infine, anche alla luce delle controversie attuali e potenziali con Pechino e Pyeongyang, il Giappone continua a essere un alleato degli Stati Uniti, con i quali ha firmato un accordo di sicurezza nel 1960, nonostante non si sia ancora spento il dibattito attorno al rinnovo delle autorizzazioni per l’utilizzo da parte statunitense della base di Okinawa. A livello di politica interna è ancora in corso la discussione circa la possibilità di riformare il proprio apparato di sicurezza e le politiche di difesa. In effetti, già nel 1992 la Dieta aveva approvato una legge che oggi permette al Giappone di inviare militari nell’ambito di missioni multilaterali all’estero, sebbene con regole d’ingaggio molto limitate. La legge è stata approvata dopo la prima Guerra del Golfo del 1990-91, alla quale Tokyo non poté partecipare con truppe e si limitò a contribuire attraverso aiuti finanziari. Nel 1992 il Giappone ha inviato soldati nell’ambito della missione delle Nazioni Unite in Cambogia, dando un contributo fondamentale alla transizione politica di quel paese. Nel 2004, poi, su richiesta di Washington Tokyo ha inviato un contingente di circa 600 soldati in Iraq. Quest’ultima scelta è stata particolarmente controversa, dal momento che non si trattava di una missione delle Nazioni Unite: per la prima volta dalla Seconda guerra mondiale Tokyo ha inviato dei militari in un teatro di guerra.
L’11 marzo del 2011, alle ore 14 e 46, il Giappone è stato colpito da un violentissimo terremoto di magnitudo 9 sulla scala Richter. Epicentro del sisma è stata una zona marina al largo della costa della regione di To¯hoku, nel nord del paese. Ciò ha determinato un maremoto, le cui onde hanno superato la velocità di 750 chilometri orari e, in alcuni casi – come nella città di Miyako – l’altezza di 40 metri. Nonostante il paese sia uno dei più soggetti a eventi sismici in tutto il mondo e sia dotato di tecnologie ingegneristiche in grado di resistere anche a terremoti di alta intensità, l’eccezionalità dell’evento del marzo 2011 ha comportato conseguenze disastrose sui territori colpiti. Il terremoto – il quinto più grande in assoluto per intensità del 20° e 21° secolo e il più grave della storia del Giappone – unitamente al conseguente tsunami, ha devastato intere aree urbane e provocato la morte di circa 15.000 persone, mentre i dispersi sono stati più di 10.000. A seguito di quella che lo stesso primo ministro giapponese Naoto Kan ha definito la più grande tragedia nazionale dalla fine della Seconda guerra mondiale, vi è stata una mobilitazione internazionale per aiutare la popolazione colpita e il governo giapponese nell’affrontare la crisi umanitaria ed economica. Squadre di aiuto sono arrivate dalla Nuova Zelanda, che aveva subito un violento terremoto solo tre settimane prima, oltre che da Australia, Corea del Sud, Regno Unito e Stati Uniti. Aiuti economici e umanitari sono inoltre arrivati da gran parte della comunità internazionale. Lo tsunami ha comportato anche una gravissima emergenza nucleare, dal momento che 14 reattori, 10 dei quali presso Fukushima, si sono spenti dopo il terremoto per azione delle barre di controllo, ma il loro processo di raffreddamento si è fermato dopo il maremoto, provocando una serie di esplosioni e la fuga di materiale radioattivo nel territorio circostante. La catastrofe nucleare ha riportato alla mente l’episodio di Cernobyl del 1986 e ha innescato un nuovo dibattito internazionale circa la sicurezza del nucleare civile – spingendo, per esempio, la Germania ad accelerare l’abbandono del proprio programma nucleare. I danni provocati dal terremoto ammonterebbero, secondo la Banca mondiale, a più di 230 miliardi di dollari. L’allora primo ministro Kan ha tuttavia incassato in giugno la fiducia del parlamento circa la gestione dell’emergenza. Il governo giapponese ha adottato una serie di misure economiche volte ad aiutare le popolazioni colpite dal terremoto e per la ricostruzione delle aree distrutte. Il primo pacchetto di aiuti è stato approvato già in marzo ed ammontava a circa 50 miliardi di dollari, mentre il secondo, in luglio, è stato di circa 17 miliardi di dollari. Il governo ha stanziato 10 miliardi di dollari per coprire i costi di possibili future emergenze correlate al terremoto, 6,7 miliardi di dollari come sussidi ai governi locali colpiti dal disastro, mentre un miliardo di dollari coprirà le spese sanitarie nei prossimi 30 anni per i controlli sugli abitanti di Fukushima.
Dal 1955 al 2009 il Giappone ha visto governi a costante conduzione liberaldemocratica: il Partito liberaldemocratico si era infatti affermato come la maggiore forza politica del paese, raccogliendo attorno a sé gran parte dell’élite burocratica giapponese. Nel 1998 un gruppo di politici riformisti facenti parte di varie fazioni dell’opposizione ha dato vita al Partito democratico, con lo scopo di creare una forza di opposizione che potesse realmente competere con il dominio politico del Partito liberaldemocratico. A differenza di quest’ultimo, composto essenzialmente da burocrati, il nuovo partito ha accolto tra le sue file anche personalità della società civile, come giornalisti, avvocati e membri di organizzazioni non governative. Il Partito democratico ha avuto una rapida crescita dei consensi e nel 2007 ha ottenuto per la prima volta la maggioranza dei voti durante le elezioni per il rinnovo della metà dei membri della Camera dei consiglieri. La vittoria politica è finalmente stata raggiunta alle elezioni del 2009, nelle quali ha conquistato 308 seggi su 480, relegando per la prima volta nella storia del Giappone il Partito liberaldemocratico al secondo posto. Yukio Hatoyama è così divenuto primo ministro, cui è succeduto Naoto Kan nel 2010 e Yoshihiko Noda nel 2011. La parentesi del Partito democratico si è però chiusa nel dicembre 2012, con lo scioglimento della Camera bassa e l’indizione di elezioni anticipate, che hanno riconsegnato il paese al Partito Liberaldemocratico.
La caccia alle balene rappresenta una tradizione millenaria per il Giappone e per la sua cultura culinaria. Insieme al Giappone, sono soltanto due i paesi al mondo che praticano quest’attività: la Norvegia e l’Islanda. Per effetto della moratoria della Commissione internazionale per la caccia alle balene (International Whaling Commission, Iwc), entrata in vigore nel 1986, la pratica è stata vietata per fini commerciali, mentre è consentita ai fini della ricerca scientifica. Sfruttando questa clausola, Tokyo continua a uccidere circa 1000 cetacei ogni anno, ufficialmente a scopo di ricerca. Ciò continua a suscitare le proteste delle organizzazioni animaliste, così come di alcuni paesi, in particolar modo l’Australia, che nel 2010 ha presentato ricorso alla Corte internazionale di giustizia. Canberra accusa infatti il governo giapponese di ledere i suoi interessi economici nel Mare Antartico, dal momento che verrebbe colpito direttamente il giro di affari che ruota intorno al whale-watching in Australia, attività turistica che porta nelle casse dello stato oceanico circa 300 milioni di dollari all’anno.
Dalla fine della Seconda guerra mondiale in poi gli Stati Uniti hanno mantenuto una presenza militare in Giappone che ha superato i 40.000 soldati. Le relazioni tra Tokyo e Washington sono incentrate sin dal dopoguerra da un lato sulle questioni della sicurezza e della difesa, e dall’altro sui legami commerciali che intercorrono tra i due paesi (nel 2011 il volume complessivo del commercio bilaterale ha raggiunto la cifra di 260 miliardi di dollari). Per il Giappone, la presenza statunitense sul proprio territorio costituisce una garanzia di sicurezza rispetto alle possibili minacce regionali, come la Corea del Nord e la Cina; allo stesso tempo, per gli Stati Uniti la presenza in Giappone costituisce il caposaldo della strategia di sicurezza in Asia orientale. Washington e Tokyo hanno firmato un accordo di sicurezza nel 1960, che regola e determina la presenza statunitense in Giappone. Tuttavia, negli ultimi anni in Giappone si è aperto un dibattito circa la presenza dei militari statunitensi sull’isola di Okinawa. L’isola è stata amministrata direttamente da Washington fino al 1972, anno in cui è tornata sotto la sovranità giapponese. Ad oggi, più della metà degli oltre 40.000 militari statunitensi presenti in Giappone sono dispiegati sull’isola, che rappresenta solo l’1% del territorio totale giapponese. Nel 2006 gli Stati Uniti e il Giappone hanno raggiunto un accordo circa lo spostamento dei militari di stanza nella base aerea di Futenma, una delle basi di Okinawa, verso altre basi del territorio giapponese. Durante la campagna elettorale del 2009 il Partito democratico ha vinto anche grazie alla promessa di rivedere l’accordo, allo scopo di trasferire tutti i soldati americani dall’isola di Okinawa. La questione ha rischiato di incrinare la special relationship tra Tokyo e Washington, dal momento che per gli Stati Uniti la posizione di Okinawa è strategica e difficilmente sostituibile con altre basi (per esempio l’isola statunitense di Guam), essendo equidistante da molti teatri importanti come Taiwan, la Cina e la penisola coreana. Nonostante le promesse elettorali, una volta eletto l’allora primo ministro Hatoyama ha tuttavia ammesso che fosse irrealistico pensare a uno spostamento del contingente di Futenma al di fuori dell’isola. Sebbene ciò abbia contribuito a rinsaldare i legami con Washington, la gestione ambivalente della questione ha concorso alle dimissioni di Hatoyama nel 2010.