GIARABUB (arabo al-Giaghbūb; A. T., 113-114)
L'oasi di Giarabub, intesa in senso ampio, è formata da varî palmeti che si distendono sul fondo d'un ampio bacino chiuso denominato impropriamente Uadi Giarabub e compreso fra 29° 30′ 40″ e 29° 50′. di lat. N. e fra 24° 20′ 30″ e 25° di long. E. L'oasi è situata nella sezione orientale della Cirenaica (Marmarica), salvo l'estremo est che giace in territorio egiziano. e dista circa 200 km. dalla costa mediterranea (Porto Bardia). Fa parte, insieme con Sīwah, Gialo, Augila e Marada, di quella catena di oasi che segna il limite settentrionale del Deserto Libico.
Il nome di Giarabub si affaccia nella storia solo in epoca assai recente. Nell'antichità l'oasi doveva però, essere abitata, poiché esistono numerose tombe scavate in roccia, alcune delle quali racchiudono anche mummie simili a certi tipi del vicino Egitto. Ma probabilmente Giarabub non era allora che una dipendenza dell'oasi di Sīwah, ben più nota per il suo famoso tempio di Giove Ammone. Nel 1856 venne a stabilire la sua sede nell'oasi di Giarabub Mohammed ibn ‛Alī as-Sanūsī, il fondatore della confraternita senussita, e con lui convennero i membri della íamiglia e una numerosa schiera di sacerdoti, di fedeli e di servi. Fu fondata la zavia (Zāwiyah) o sede di confraternita, che ben presto divenne famosa fra le popolazioni musulmane della Libia e dell'Egitto e in essa sorsero una scuola coranica molto rinomata, fornita di una ricca biblioteca, e una moschea, nella quale ancor oggi si conservano le ceneri del primo senusso. Nel 1895 Mohammed el-Mahdī, capo della confraternita e figlio di Mohammed ibn ‛Alī, trasferì la sua residenza da Giarabub a Cufra e da allora la nostra oasi, che contava circa 3000 abitanti, incominciò a perdere d'importanza, per quanto la presenza della tomba del primo senusso richiamasse per lungo tempo ancora numerosi pellegrini.
Il primo viaggiatore che raggiunse Giarabub e ne diede notizia fu l'inglese W. G. Browne, che da Alessandria si spinse nel marzo del 1792 sino al margine orientale dell'oasi. Pochi anni dopo transitò per Giarabub il tedesco, F. Hornemann, che veniva da Gialo e che prosegui per Sīwah. Per due volte l'oasi fu toccata successivamente da J. R. Pacho fra il 1823 e il 1825 e fu visitata più tardi, nel 1852, da J. Hamilton, che ci lasciò una descrizione delle più accurate del territorio di Giarabub. I viaggiatori che lo seguirono furono G. Rohlfs nel 1869, Rosita Forbes con Hassanein Bey nel 1921, lo stesso Hassanein nel 1923 e B. de Laborie nel medesimo anno. Finalmente, nel febbraio del 1926, l'oasi fu occupata dalle truppe italiane e nell'estate fu raggiunta da una missione naturalistica inviata dalla R. Società Geografica Italiana, che eseguì un accurato studio monografico dell'oasi (Resultati scientifici della missione alla oasi di Giarabub 1926-1927, Roma, R. Società Geografica Italiana, 1928-1931).
L'Uadi Giarabub, nel quale è contenuta l'oasi, è una cavità irregolare che scende sino a 29 m. sotto il mare e che s'infossa, con ripide scarpate di un centinaio di metri, nella superficie pianeggiante dell'arido tavolato marmarico. L'uadi è formato da tre bacini contigui e più o meno largamente comunicanti che misurano complessivamente 694 kmq. di superficie. Ciascun bacino contiene dei laghetti salati, di cui alcuni, come quelli di Arrascia (940 ettari) e di Fazza (330 ettari), nel bacino orientale, e quello di Melfa (72 ettari), nel bacino centrale, abbastanza vasti e popolati da pesci (Cyprinodon fasciatus) e da molluschi (Heli ella Gestroi, Chondrula Caprae e Paludestrina Confalonierii). Intorno ai laghi v'è per solito della vegetazione alofila che riveste il terreno argilloso e salino di sebcha. Sul limite meridionale dell'uadi s'innalzano le prime catene di altissime dune che segnano l'inizio del Grande Erg Libico. Dal punto di vista geologico l'Uadi Giarabub risulta inciso in una serie suborizzontale di strati prevalentemente calcareo-arenacei, ricchissimi di fossili marini del Miocene inferiore e medio. L'origine della cavità è da ricercarsi essenzialmente nell'azione erosiva di un antichissimo corso d'acqua e, posteriormente, in quella del vento.
L'abitato di Giarabub si trova nella parte nord-occidentale dell'uadi ed è formato da un fitto agglomeramento di case, racchiuse da un muro di cinta, che sormonta un modesto rilievo. Non si tratta però d'un vero e proprio villaggio, di cui non v'è traccia nell'oasi, ma piuttosto d'una grande zavia, ossia d'una di quelle stazioni politico-religiose che la setta senussita ha istituito in tante località dell'Africa settentrionale. A un lato della zavia si trova la grande moschea, tutta tinta di bianco e sormontata da una cupola sotto la quale giace la tomba del primo senusso. Questa consiste in un grande sarcofago di legno, coperto di stoffa e circondato da un'artistica ringhiera di bronzo, sul quale è sospeso un lampadario. Tutt'intorno sono stesi ricchi tappeti. Ai lati della zavia sono due fortini costruiti dalle nostre truppe.
La popolazione indigena (278 abitanti) presenta un carattere speciale in quanto è formata da insegnanti e allievi della scuola coranica e dai servi sudanesi che provvedono ai lavori di fatica nella zavia e curano i giardini dell'oasi.
Alle spalle della zavia si stende l'unico palmeto mantenuto ancora in efficienza e intramezzato da giardini abbastanza fiorenti, nei quali si coltivano orzo, grano, legumi, patate, peperoni, pomodori, zucche, poponi, insalata, melograni. Un ruscello è condotto dal pozzo della zavia ad irrigare una metà del palmeto. All'altra metà provvedono i pozzi aperti fra le palme. L'acqua non difetta, ma è salmastra e amara. Altri palmeti più o meno insabbiati e palme isolate esistono in quasi tutte le zone acquitrinose (hatie) dell'Uadi Giarabub.
La principale via d'accesso all'oasi è la pista automobilistica che parte da Porto Bardia e costeggia il confine egiziano. Il percorso è di 226 km. Le altre vie sono carovaniere ma, salvo quella che porta a Cufra (722 km.), possono essere seguite, sia pure con difficoltà e con opportune deviazioni, da automezzi. Una di queste porta all'oasi di Sīwah (133 km.), l'altra a Gialo (400 km.).