GIARDINO
Il g., una volta abbandonato, soggetto alle incursioni degli estranei e del tempo, si cancella facilmente; anche le strutture più consistenti che lo caratterizzano (fontane, bacini, padiglioni, voliere) sono destinate a lasciare tracce edilizie e archeologiche piuttosto labili. Nel mondo medievale i g. antichi erano ridotti a descrizioni letterarie, frequenti ma anche stereotipe o collegate al mito, da Virgilio a Claudiano, in rapporto con i Campi Elisi e con il tópos del locus amoenus.Tra i g. antichi si distinguevano, al punto da proporsi quali modelli, il g. di Flora dei Fasti di Ovidio e quello di Amore, allietato da un'eterna primavera, dell'Epithalamium de nuptiis Honorii di Claudiano. Altre indicazioni potevano venire dalle opere naturalistiche e geoponiche di Varrone, di Columella o di Plinio. Intatta inoltre restava l'eco di due fra i cinque grandi 'archetipi' di cui la memoria medievale era piena, vale a dire quella del g. di Alcinoo dell'isola dei Feaci nell'Odissea (VII, vv. 112-132), recuperato però in modo largamente indiretto, e quella dei g. pensili di Babilonia, una delle sette meraviglie del mondo. Gli altri tre grandi modelli di g. del Medioevo erano, logicamente, biblici: l'Eden, interpretato dai traduttori latini come paradisus voluptatis; l'hortus conclusus del Cantico dei Cantici; il g. di Giuseppe di Arimatea, nel quale era stato scavato il sepolcro di Gesù e dove il Signore - sotto le vesti, appunto, di hortulanus, 'giardiniere' - era apparso dopo la risurrezione a Maria Maddalena (Gv. 20, 15).Il g. dell'Eden e i Campi Elisi, di classica memoria, si incontrarono più tardi nell'immagine del paradiso: il refrigerium dei beati, del quale sovente si tratta in acta e passiones martyrum, veniva ambientato in scenari di acque vive e freschissime, fiori e frutti compresenti - quindi un'eternità simboleggiata dalla contemporaneità di fenomeni ordinariamente presenti in differenti stagioni dell'anno -, brezza leggera e costante, presenza di liberi animali amici. Il paradiso acquistava così i tratti del g., mentre il g. a sua volta veniva costruito, là e quando ciò fosse possibile, tenendo presente il modello paradisiaco.Isidoro di Siviglia dà del g. una definizione fondamentale: "Hortus nominatur quod semper ibi aliquid oriatur. Nam cum alia terra semel in anno aliquid creet, hortus numquam sine fructus est" (Etym., XVII, 10, 1). In tal modo si creava un rapporto fra il concetto di hortus e quello di oriens; si sottolineava come la capacità dell'uomo di organizzare la natura in modo da indurla a comportarsi in certi spazi chiusi come in un'eterna primavera fosse in un certo senso teomimetica; ancora, come l'uomo potesse - con l'ingegno e il lavoro, derivanti e conseguenze peraltro del peccato originale sul piano della necessitas - riproporre a se stesso delle sia pur limitate e condizionate forme di vita adamitica da paragonarsi a quella originale, prima della caduta.Nell'Alto Medioevo, le condizioni, forse anche in qualche misura climatiche, ma soprattutto sociopolitiche, ambientali e culturali, determinarono una crisi nell'agricoltura, nella floricoltura e nella frutticoltura: nel sec. 7°, Giona di Bobbio (Vita s. Columbani, 1, 3), infatti, contrapponeva le felici condizioni degli antichi, i quali potevano disporre di splendidi fiori e delicati aromi, alla terra arida e agli stentati arbusti della sua epoca con rigido clima. Tuttavia, proprio all'interno dei monasteri, il lavoro della terra e la frequentazione delle opere naturalistiche e geoponiche - ma anche poetiche - degli antichi consentirono la ripresa della coltivazione di spazi accuratamente chiusi o recintati, nei quali si coltivavano tanto piante aromatiche e salutari - in tal senso il g. si rivelava fondamentale nella cura corporis -, quanto legumi, ortaggi e alberi da frutto per la mensa comune.La Regola di s. Benedetto prescrive che all'interno del monastero si trovino sempre riserve d'acqua e un hortus (I, 3). Nel celebre piano dell'abbazia carolingia di San Gallo (Stiftsbibl., 1092), l'hortus, che occupava un'area di m2 200 ca., va considerato in stretto rapporto con il frutteto, il pollaio (importante riserva di letame) e l'infermeria, nella quale si usavano le essenze salutari coltivate nel giardino. Tuttavia, il poemetto Hortulus di Valafrido Strabone (sec. 9°) insiste sul fatto che piante e fiori del g. erano destinati tanto ad alimentare e a dare salute - due concetti, questi, strettamente uniti - quanto ad arrecare gioia a chi poteva vederli, odorarne l'aroma, gioire dei loro colori e, in estate, della loro ombra. Il monaco medievale si presentava sovente come ortolano o giardiniere: ciò faceva parte della sua convinzione che il monastero riproducesse le condizioni adamitiche di prima del peccato e della sua cristomimesi. Anche l'assetto del g. claustrale - con due sentieri che si incrociano al centro, dove solitamente è un albero, che richiama l'arbor crucis, o un pozzo o cisterna, che rimanda a Cristo fons vitae - rinvia per un verso alla geografia edenica, per un altro a un'immagine cosmologica, nella quale vivo è il richiamo alla Gerusalemme dell'Apocalisse. Di tutto ciò si ha agevole verifica nell'Hortus deliciarum di Herrada di Landsberg (sec. 12°).Eredi in parte dei complessi produttivi-residenziali delle villae rusticae romane, codificate da Varrone, i monasteri presentavano d'altronde spazi specializzati: horti, ma anche pomaria, viridaria, herbaria. Nell'Alto Medioevo, orti e g. non erano solo una realtà abbaziale; si sono potuti distinguere vari tipi di orto: quello della casa contadina, quello dominicale, quello urbano e suburbano; per Lucca, tra i secc. 8° e 11°, è stato addirittura possibile parlare di una 'città-orto'.A partire dal sec. 12° il g. europeo sembrò rinnovarsi e arricchirsi: senza dubbio a causa sia del miglioramento climatico generale sia delle rinnovate esperienze culturali, che avevano portato ceti cavallereschi e mercantili cristiano-continentali a contatto con luoghi e ambienti nei quali il g. aveva una funzione particolare, dalla Spagna alla Sicilia, all'Africa settentrionale e alla Siria. Importante in questo senso l'incontro con l'Islam, che aveva ereditato sia la tradizione del g. ellenistico sia quella dei paradeiza ('parchi recintati') imperiali persiani. Nel Corano (IV, 57) si legge "Faremo entrare coloro che credono e che compiono il bene in giardini alla cui ombra fiumi scorreranno per loro in eterno, e in essi avranno spose purificate".In Sicilia, i Normanni ereditarono dalla scienza botanica e dall'estetica arabe ampi e rigogliosi g., come il g. regio della capitale Palermo, il Viridarium Genoard, termine che è l'elaborazione dell'arabo Gennet ol-ardh, 'g. della terra'. Nell'Epistola ad Petrum Panormitanae ecclesiae thesaurarium di Ugo Falcando (sec. 12°), si ha una compiuta 'ideologia dello spazio', nella quale i g. sono parte della simbolica del potere regale. Federico II ereditò questa tradizione e impiantò nei suoi solatia g. corredati anche da serragli di animali feroci, il che, se da un lato rinviava alla tradizione persiana, ripresa dagli imperatori romani, del monarca universale come signore di tutto il creato, dall'altro si collegava ancora una volta a una precisa dimensione edenica.Questa nuova sensibilità 'laica' per il g., del resto, sottintendeva una rinnovata visione della natura, quale emergeva tra la scuola di Chartres, il francescanesimo e la riflessione filosofico-scientifica della scuola francescana di Oxford. Anche a queste dimensioni si collega il nascere della cultura cortese, che ha nel g. uno dei suoi luoghi privilegiati: ben si riscontra tutto ciò sia nel g. magico del rito detto Gioia della Corte, quale si presenta nel romanzo Erec et Enide di Chrétien de Troyes (seconda metà del sec. 12°), sia soprattutto nel Roman de la Rose (sec. 13°), che avrebbe imposto 'prato' e 'verziere' come scenari obbligati degli incontri erotici. Ma se il 'verziere' poteva essere luogo d'eros e di adulterio, e pertanto di peccato, esso restava nondimeno metafora edenica: non sorprende pertanto che se ne sia impadronita la stessa letteratura mistica per farne simbolo delle gioie spirituali, come si vede in Caterina da Siena. Ma già Dante aveva consacrato i modelli del nobile prato degli "spiriti magni" (Inf. IV, vv. 118-121), della valletta dei principi (Purg. VII, vv. 64-90), della "divina foresta spessa e viva" (Purg. XXVIII, vv. 1-3) e infine del fiume fiorito dei beati (Par. XXX, vv. 61-69).Nel sec. 13° erano famosi i g. delle grandi corti: non solo di quella sveva di Federico II, ma anche di quella di Carlo I d'Angiò a Napoli. Per un fenomeno in parte collegabile alla 'diffusione delle forme culturali', d'altro canto, g. e verzieri si andavano affermando anche nei panorami cittadini. Il cronista francescano Salimbene de Adam (1221-1288 ca.) ricorda che a Pisa, nella sua gioventù, aveva ammirato un g. costituito da una grande pergola che occupava un intero cortile, all'ombra del quale giovani e fanciulle facevano della musica mentre 'leopardi e altre fiere d'oltremare' vagavano liberi e mansueti (Cronica, 241). Le molte descrizioni di g. nelle opere di Boccaccio, dal Filocolo all'Amorosa visione, al Decameron stesso, ribadiscono come la dimensione architettonica ed estetica del g. fosse ormai passata nel Tardo Medioevo dalle corti, dove peraltro permaneva - per es. la stanza dipinta 'a g.' nel palazzo dei Papi di Avignone -, alle dimore signorili di un ceto di nuovi ricchi che tendeva a emulare il genere di vita dell'aristocrazia signorile.In tale contesto il g. diveniva segno-insegna di potere, di ricchezza, di bel vivere, ma anche di meditazione ascetica, di memento mori, come testimoniano per es. gli affreschi del Camposanto di Pisa. Tale senza dubbio - e si tratta difatti di un g. pensato per un interno monastico - doveva essere quello ideato fin dal 1338 da Niccolò Acciaiuoli per la certosa di S. Lorenzo al Galluzzo, presso Firenze. Ispirandosi, come risulta da due lettere del 1356, ai g. palermitani e napoletani, ma anche a modelli ammirati in Grecia, Acciaiuoli vagheggiava un tipo di g. non lontano da alcuni di quelli che si trovano anche nelle descrizioni di Boccaccio.Non erano d'altro canto solo letterarie le fonti di Acciaiuoli e in genere dell'arte del g. del Trecento. Il Tardo Medioevo aveva visto fiorire un'ampia produzione geoponica, della quale era esempio il trattato Ruralium commodorum libri XII del bolognese Pietro de' Crescenzi - scritto nel 1305 ca. in latino ma ben presto volgarizzato, probabilmente da un fiorentino, come Trattato dell'agricoltura -, in cui l'autore proponeva un'accurata distinzione tipologica fra i g. 'dei re e degli altri ricchi signori' e quelli delle 'persone mezzane'; altri trattatisti, come Corniolo della Cornia, che scriveva La divina villa nel sec. 15°, sarebbero tornati sulla medesima distinzione.
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L'origine del g., paesaggio artificiale a cui vengono conferiti un valore e un significato particolare rispetto a quello naturale, è da rintracciare in ambito orientale. Il mito sumerico (3200-2800 a.C.) di Eden, divinità delle foreste, sembra costituire la fonte originaria di tutte le rappresentazioni del giardino. Essa era la signora del g. Eridu, sull'isola chiamata Eden, lungo il basso corso dell'Eufrate, dove cresceva l'albero della vita e della luce producendo fiori e frutti di pietre preziose (Schnack, 1962, p. 50). Il termine parádeisos, con cui i Greci indicavano il g., ha finito con indicare il g. dell'Eden (paradiso terrestre) e la dimora ultraterrena dei beati. I Romani usavano il termine hortus: al singolare esso veniva utilizzato per indicare il terreno per la coltivazione degli ortaggi (e in questa accezione la parola è passata all'italiano), mentre con il pl. horti, a partire dal sec. 2° a. C., si voleva intendere piuttosto il g. di divertimento. Il termine italiano g. ha invece un'origine franca.Gli antichi g. delle ville romane ebbero scarso seguito nei g. medievali all'interno delle città. Nei g. dei monasteri, in particolare nei chiostri, si mantenne vivo il richiamo simbolico al paradiso. Nelle immagini in cui Maria appare ritratta in un g. fiorito racchiuso entro un recinto, il concetto biblico di hortus conclusus diventa simbolo della verginità della Madre di Dio; ogni singola pianta rappresenta una delle virtù cristiane: l'umiltà, la castità e l'amore perfetto si esemplificano nella bellezza della viola, del giglio e della rosa bianca e rossa.Il gioco dell'alternanza tra architetture e impianti a g., costituiti da filari diritti di alberi ornamentali e da frutto, aiuole fiorite, padiglioni, canali con fontane, appare descritto minuziosamente nei resoconti di epoca bizantina, dove rappresentazioni del cosmo potevano aver contribuito all'ideazione del progetto. Raffinati sistemi di irrigazione aumentavano la fertilità del terreno, permettevano la coltura di ogni tipo di pianta e rinfrescavano l'aria nei palazzi. A Costantinopoli l'imperatore Basilio I (867-886) fece erigere presso la sua chiesa il Mesoképion: un'area di forma oblunga, chiamata 'Eden' o 'paradiso', che accoglieva piante e alberi di ogni specie e irrigata continuamente con acqua corrente. Nelle gallerie che racchiudevano il giardino erano state dipinte immagini con i combattimenti dei martiri. Del g. bizantino faceva parte anche un tzykanistérion per il gioco persiano del polo. L'imperatore Teofilo (829-842) amò la Perla o philopátion, un g. di caccia che comprendeva canali e stagni con grotte che diventavano nascondigli per gli animali (Gothein, 1914, p. 143). Il trono del principe persiano sasanide Cosroe I (531-579) era collocato all'ombra di un albero della vita artificiale con lungo i rami fogliame di pietre preziose, dal quale si diffondeva un profumo di noce moscata. Il principe possedeva inoltre un tappeto di seta, oro e pietre preziose che durante l'inverno veniva aperto nelle sale del palazzo e che aveva il compito di sostituire il g. con i suoi vialetti e le sue piante, considerato il prototipo dell'arte dei tappeti.Gli ambasciatori bizantini in Armenia si stupirono di fronte al famoso palazzo Muk'tador, la casa dell'albero, chiamato così per un albero d'oro e d'argento che si trovava in uno stagno circolare di fronte al palazzo, così come si meravigliarono di un piccolo padiglione, un castello dei divertimenti con g. con al centro un lago colmo di stagno e circondato da settecento palme nane.In area occidentale, Valafrido Strabone (809 ca.-849) trattò nel suo De cultura hortorum (Hortulus) di ventitré diverse specie di piante da giardino e dei loro effetti. Fiori, piante officinali, frutta e verdura compaiono elencati nel Capitulare de villis di Carlo Magno. Il biografo dell'imperatore, Angilberto, riporta la notizia secondo la quale Carlo aveva fatto realizzare, sul modello antico orientale, un 'paradiso', un g. selvatico che comprendeva ogni tipo di selvaggina (Schnack, 1962, p. 105); l'imperatore avrebbe ricevuto la delegazione diplomatica del sovrano moro di Spagna in un hortus, un g. alberato così grande da permettere che più di mille uomini vi si potessero muovere comodamente (Hennebo, 19872, p. 14).A Palermo i Normanni, sotto l'influsso arabo, fecero realizzare nel corso del sec. 12° i g. del chiostro di S. Giovanni degli Eremiti e di Monreale, così come i palazzi della Cuba e della Zisa, all'interno dei quali si annoverano tra le componenti di maggiore importanza canali per l'acqua e fontane.Nel pieno Medioevo i g. di piacere della poesia cortese corrispondono ai teatri della vita di società e in particolare delle avventure amorose: nei g. si riunivano coloro che desideravano danzare o giocare a carte o a scacchi. Per i tornei venivano innalzati tendoni stabili, per cacciare venivano create riserve.
Bibl.:
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Letteratura critica. - M.L. Gothein, Geschichte der Gartenkunst, I, Von Ägypten bis zur Renaissance in Italien, Spanien und Portugal, Jena 1914; F. Schnack, Traum vom Paradies, Hamburg 1962; C. Heitz, Jardins carolingiens, Traverses 5-6, 1975-1976, pp. 63-67; F.R. Cowell, The Garden as Fine Art. From Antiquity to Modern Times, London 1978; F. Fariello, Arte dei giardini, Roma 19852 (1956); J. Brookes, Gardens of Paradise. The History and Design of the Great Islamic Gardens, London 1987; D. Hennebo, Gärten des Mittelalters, in Geschichte der deutschen Gartenkunst, a cura di D. Hennebo, A. Hoffmann, I, München-Zürich 19872 (Hamburg 1962); Marquisa de Casa Valdés, Spanish Gardens, Woodbridge-Suffolk 19872 (1973); V. Vercelloni, Atlante storico dell'idea del giardino europeo, Milano 1990; Stefan Lochner Meister zu Köln. Herkunft - Werke - Wirkung, a cura di F.G. Zehnder, cat. (Köln 1993-1994), Köln 1993, p. 331.I. Voss
Nel corso del Medioevo le lingue islamiche sono state caratterizzate da una varietà lessicale notevole per indicare i g. e la terminologia a essi connessa. Il termine persiano būstān (da bū 'profumo' con il suffisso di luogo -istān) fu di certo quello maggiormente usato; anche la parola bāgh, con cui si definisce il g., giunse nel vocabolario dei popoli islamici dal persiano, sebbene ne sia stata ipotizzata un'origine turco-centroasiatica. L'arabo rawḍa (pl. riyāḍ), pur indicando anch'esso il g., ricopre spesso un ambito semantico circoscritto, avendo piuttosto il significato di 'aiuola'. Dall'antico persiano paradeiza deriva il termine firdaws 'paradiso', utilizzato anch'esso per indicare il g. e noto nell'Occidente medievale in questa accezione, come attesta la Chronographia di Teofane il Confessore (752 ca.-818), dove viene utilizzato il termine παϱάδεισοϚ per indicare un g. reale omayyade. Alla parola firdaws deve essere connesso l'arabo janna, usato nel Corano e nella tradizione religiosa per definire i g. del paradiso, passato poi anche a indicare g. veri e propri. Altri termini erano utilizzati per identificare g. particolari o parchi come lo ḥayr, che poteva essere un vero e proprio g. zoologico, destinato a riserva di caccia (ḥayr al-wuḥūsh, 'g. delle belve').L'indagine sui g. islamici medievali è condizionata dalle caratteristiche intrinseche a queste strutture: la natura effimera dei complessi, la deperibilità organica delle piante in essi contenute e la mutazione sistematica degli impianti idrici di alimentazione portano all'impossibilità materiale di esaminare un g. medievale nel suo assetto originario. Per questa ragione lo studio di fonti storiche e letterarie acquista particolare valore ai fini di una ricostruzione dei siti.Certamente si deve alla Persia preislamica il fatto di avere prodotto un modello di g. che ebbe enorme rilevanza in Oriente durante il Medioevo. La creazione di diverse aree recintate risale a epoche molto remote nell'altopiano iranico e se ne possono riscontrare sopravvivenze certe già dal periodo achemenide (secc. 6°-4° a.C.). In quest'epoca numerosi parchi venivano costruiti accanto alle città e svolgevano funzioni agricole, servendo spesso da riserve per il potenziamento esemplare del rigoglio naturale; essi erano destinati spesso alle attività venatorie, che ricoprivano un ruolo preciso nell'apparato simbolico delle attività dei sovrani. Ai g. di quest'epoca sembra risalire la disposizione quadripartita dell'impianto, caratterizzata da un un sistema di irrigazione a croce, come è stato dedotto da alcune sopravvivenze archeologiche di Pasargade nell'Iran meridionale (Stronach, 1994). Oltre alle funzioni menzionate, i g. erano caratterizzati sin dall'Antichità da altri usi, tra i quali quello di belvedere destinato alla contemplazione di grandi iscrizioni rupestri.I Sasanidi ripresero la tradizione achemenide ed elaborarono un modello di g. che fu di fatto l'antecedente della tipologia dominante nell'Islam medievale. Già nel sec. 4° la sontuosa residenza di Shāpūr II, nota come Īvān-i Kharkā, nei pressi di Susa (Iran), doveva essere caratterizzata da numerosi g. cui erano connessi edifici residenziali. Al regno di Cosroe II Parvīz (591-628) risalgono l''Imārat-i Khusraw a Qaṣr-i Shīṛn e il Khawsh Kurī a km. 5 da esso, entrambi caratterizzati da ampi giardini. La distruzione di questi complessi, operata da Eraclio nel 628, ne rende purtroppo difficile oggi l'interpretazione archeologica.È tuttavia a questo periodo che si possono far risalire direttamente alcune delle caratteristiche tipologiche principali dei g. islamici successivi: la presenza di un padiglione o palazzetto (qaṣr 'castello') a pianta quadripartita o a croce e in posizione centrale, talvolta su un bacino idrico da cui emerge su un'apposita piattaforma come se fosse su un'isola; la presenza di uno o più ambienti secondari, spesso chioschi (persiano kushk); la distribuzione dell'acqua attraverso un impianto quadripartito (chahār bāgh 'tetragiardino'), con un asse idrico che taglia in due l'intero g. e può avere una o più diramazioni perpendicolari, funzionali all'irrigazione di aiuole spesso caratterizzate da alberi da frutto e piante pregiate; la presenza di un muro perimetrale talvolta intervallato da torrette, soprattutto agli angoli. Nei g. reali il padiglione quadripartito del sovrano occupava una posizione centrale che, insieme alla quadripartizione del g. stesso, rappresentava il dominio del re sulle quattro parti del mondo. Per accentuare tale carattere simbolico il padiglione veniva sopraelevato e svolgeva la funzione di un belvedere (arabo manẓar; persiano naẓargāh; spagnolo mirador; Terés, 1972), permettendo la contemplazione dell'interno del complesso, nonché del suo esterno. Tali caratteristiche, tipiche dei g. decorativi predisposti per una committenza regia, si potevano ritrovare nei g. utilitari, come quelli descritti da Ibn Luyūn nel suo trattato dedicato all'agricoltura (Fairchild Ruggles, 1994, p. 153).Al modello di g. sasanide dev'essere affiancata la tradizione romana. Solitamente gli studiosi fanno risalire a questa componente la planimetria di tipo assiale, del genere riscontrabile nelle ville romane, come in quella di Adriano a Tivoli, o in quella di Piazza Armerina in Sicilia. A questa tradizione si può far risalire la tipologia di g. presente nella muniya ('residenza rurale') e nello ḥayr omayyade, sebbene sia chiara in entrambi i casi anche l'influenza iranica. La contrapposizione netta tra l'impianto cruciforme e quello assiale risponde talvolta più a una teorizzazione astratta che non a una reale differenziazione dei modelli: non è improbabile infatti che già nell'Antichità queste tipologie fossero entrate in contatto tra loro condizionandosi, come sembrano dimostrare i g. raffigurati nella grande sala decorata con g. e uccelli della villa di Livia a Roma (Roma, Mus. Naz. Romano).Sono pochi i resti archeologici di g. risalenti al periodo omayyade. A Ruṣāfa (Siria) è stato studiato un padiglione facente parte di un complesso che si trovava nel centro di un g., risalente al califfo Hishām (724-743). Ulbert (1994), che ha pubblicato gli scavi a esso relativi, ha accertato il riutilizzo di impianti di irrigazione tardoantichi, notando però la ripresa della tradizione sasanide nella distribuzione generale del complesso, che era circondato da un recinto e aveva, sopraelevati rispetto al resto del giardino, un sistema simmetrico di camminamenti e un padiglione centrale.Un secondo genere di g. doveva essere legato all'uso da parte dei sovrani omayyadi di praticare la badīya ('steppa'), ossia di soggiornare in complessi extraurbani, spesso in oasi dotate di impianti agricoli, secondo la tradizione preislamica. Tali residenze erano caratterizzate da un palazzo-castello (qaṣr) e da altre strutture utilitarie, tra le quali appunto i giardini. È il caso dei due complessi siriani di Qaṣr al-Ḥayr al-Gharbī e di Qaṣr al-Ḥayr al-Sharqī. Nel primo, l'irrigazione era tratta dalle dighe romane di Harbaqa e l'acqua veniva convogliata in un fitto reticolo di canali regolato da chiuse, analogamente a quanto si può riscontrare nei sistemi odierni di irrigazione presenti nelle oasi della regione (Seyrig, 1931). Qaṣr alḤayr al-Sharqī era invece un grosso complesso circondato da mura fortificate e attraversato da una complicata rete di canalizzazioni. Probabilmente esso conteneva una riserva di animali, anche se non risulta del tutto chiara a tutt'oggi la sua funzione. Istallazioni agricole e g. dovevano essere presenti anche in altri siti, come Khirbat al-Mafjar (Israele), Mshattá (Giordania) o nella città di 'Anjar (Libano), sebbene risulti oggi complessa una loro identificazione in base ai dati archeologici.Le distruzioni susseguitesi nel corso dei secoli, in particolare quelle operate dai Mongoli, impediscono di conoscere i g. di Baghdad del periodo abbaside. Scarse notizie sono desumibili dalle fonti. Più nutrito è il materiale archeologico relativo a Samarra (Iraq). Se non è sopravvissuto nessun complesso riconducibile alla tipologia dello ḥayr, le fonti riferiscono però di un colossale ḥayr al-wuḥūsh, costruito dal califfo al-Mutawakkil (847-861; Tabaa, 1987, p. 198). I dati archeologici hanno invece permesso di conoscere a Samarra i due imponenti complessi del Jawsaq al-Khāqānī e il palazzo di Balkuwarā, che sembrano riprendere in toto modelli sasanidi. Il primo fu costruito da al-Mu'taṣim (833-842) e doveva essere un luogo di piacere caratterizzato da molteplici funzioni. Dell'area complessiva (ha 193), poco più di un terzo era destinato ai g., nei quali si praticavano anche attività sportive, come la corsa che si svolgeva a ridosso di una riserva di caccia. Tutto il complesso ruotava attorno alla sala del trono quadripartita, nella quale il sovrano teneva le udienze (dīvān-i khāṣṣ). Il palazzo di Balkuwarā fu costruito da al-Mu'tazz nella seconda metà del 9° secolo. Più piccolo del precedente, presenta una maggiore compattezza e organicità. In esso, l'accesso, caratterizzato da un triplice īwān, secondo un modello ricorrente negli edifici sasanidi, permetteva di entrare nella sala del trono cruciforme, dalla quale poi si potevano raggiungere i giardini.Tale modello tipologico venne poi esportato in tutto il mondo islamico. Al regno dell'omayyade di Spagna 'Abd al-Raḥmān III si deve l'inizio dei lavori di costruzione di Madīnat al-Zahrā (936) presso Córdova, che fu poi terminata sotto i suoi successori Ḥakam II (961-976) e Hishām II (976-1010). La caduta di quest'ultimo e l'abbandono della città hanno fatto sì che la struttura del g. rimanesse pressoché intatta. I g. del complesso di Madīnat al-Zahrā erano disposti su due terrazzamenti digradanti per consentire lo scorrimento delle acque. Nel g. superiore si trovava il padiglione c.d. Salón Rico, che fungeva da sala dei ricevimenti, e di fronte a esso si estendeva il secondo g., cruciforme come il primo (Pavón Maldonado, 1968). Fairchild Ruggles (1990; 1994), che ha approfonditamente studiato il sito, ha evidenziato la possibilità di una discendenza diretta da modelli siriani di epoca omayyade, come quello menzionato di Ruṣāfa, anche se ha posto l'accento sul fatto che i vasti g. di Samarra e Baghdad dovevano certamente costituire un modello per gli architetti che costruirono Madīnat al-Zahrā (v. Córdova); ha altresì evidenziato l'esistenza di g. nel quartiere periferico di Arruzafa, non lontano da Córdova, che erano stati costruiti dal califfo omayyade ῾Abd al-Raḥmān I, con un esplicito riferimento alla città siriana.Il modello di g. presente a Samarra ebbe un notevole successo, anche dopo lo smembramento della dinastia abbaside, iniziato già nel 9° secolo. Al regno dell'almoravide ῾Alī b. Yūsuf (1106-1142) risale un g. quadripartito rinvenuto sotto la moschea Kutubiyya di Marrakech in Marocco (Meunié, Terrasse, Deverdun, 1952). Tale tipologia è presente in diversi edifici spagnoli, come nel castello di Montegaudo, degli inizi del sec. 12°, e nell'Alcazar di Siviglia, della seconda metà dello stesso secolo. Anche se la sopravvivenza della tipologia romana della villa perdurò sino a periodi tardi, come attesta la Muniya della torre di Belyounech nel Nord del Marocco, costruita in epoca merinide (secc. 12°-14°; Cressier, Hassar-Benslimane, Touri, 1986; Barrucand, 1988, p. 252).Questa dicotomia teorica tra i due modelli porta peraltro a una riflessione più generale sul complesso dell'Alhambra (sec. 14°), che ha nei suoi g. il riflesso di differenti tradizioni, da quella assiale romana, presente nel cortile dei Mirti e comune al g. del Generalife (Jannat al-'ārif 'paradiso dello gnostico'), a quella iranica del patio dei Leoni. Quest'ultima struttura è caratterizzata dal fatto di essere la stilizzazione estrema del modello di g. quadripartito: l'elemento vegetale è ridotto al minimo e ha ceduto il posto alla disposizione 'aurea' del sistema idrico, che svolge una funzione decorativa nell'ambito del complesso palaziale. L'ipotesi che la costruzione del g. sia derivata dall'interpretazione della poesia 'giardiniera' delle contemporanee rawḍiyyāt dei secc. 11° e 14° deve essere letta nell'ambito di una interpretazione più generale delle letterature islamiche del tempo. Ove si dia per scontata la presenza di g. paradisiaci nel Corano e nella tradizione islamica (Dickie, 1968, pp. 238-239), va ricordata l'universalità del tema del g. già presente nella letteratura persiana della fine del sec. 10° e degli inizi dell'11° (Fouchécour, 1969, pp. 34-94). Essa forniva indicazioni precise sul valore simbolico di piante e fiori. Nei secoli successivi diverse furono le opere letterarie strettamente legate all'idea del g., come i celeberrimi Gulistān e Būstān di Sa'dī, redatti nel 13° secolo.La tipologia dell'Alhambra pone anche la questione dei g. interni a edifici. Se, come si è detto, si osserva una stilizzazione del g. quadripartito, il concetto di patio irrigato da un sistema di canalizzazioni e decorato da piante compare già in edifici precedenti, come nel palazzo ayyubide siriano di Qal'at Ṣahyūn, del tardo sec. 12°, e nel Firdevs Köşkü di Mardin in Turchia, palazzo caratterizzato da un grande īwān da cui si dipartiva una sorgente idrica, costruito per il sovrano artuqide Najm al-dīn Il Ghāzī (1239-1260; Tabaa, 1987, p. 209).In Sicilia riveste certamente un ruolo significativo il g. della Zisa di Palermo, costruito nella seconda metà del sec. 12° dai sovrani normanni Guglielmo I e Guglielmo II, che doveva sorgere su un ampio sito di cui si è tentato di recente di riproporre la struttura originaria. Significativo in questo contesto è il ruolo del palazzo da cui sgorgava l'acqua tramite un sabīl disposto al suo interno che, attraversato uno shādirvān (una lastra inclinata che faceva vibrare l'acqua grazie a un tracciato a zig-zag), arrivava al giardino. Attestato in edifici nordafricani come la Qala dei Banū Ḥammād e nella tipologia abitativa tulunide e fatimide, questo impianto costruttivo derivava certamente da modelli iranici, quale quello presente nel palazzo ghaznavide di Lashkarī Bāzār, risalente al sec. 10° (Gabrieli, Scerrato, 1979, pp. 320-321; Tabaa, 1987).Scarsi sono paradossalmente i resti di g. medievali in Iran. Alcune testimonianze archeologiche permettono di studiare l'evoluzione della tipologia iranica del g.: oltre al già citato palazzo di Lashkarī Bāzār, può essere esaminato il complesso mongolo della moschea di ῾Alī Shāh a Tabriz, nel quale una grande cisterna campeggiava di fronte all'īvān monumentale del complesso. L'intera superficie era quadripartita e aveva gli accessi nel centro di ogni lato dell'area.La monumentale ricostruzione di Samarcanda da parte di Tamerlano (1370-1405) comportò un definito programma di organizzazione delle aree a giardini. In esse gli scopi decorativi e quelli monumentali andavano a fondersi con un'altra funzione dei g. che, dall'epoca mongola in poi, caratterizzò gli esempi iranici: quella di costituire aree di transumanza, o pascoli invernali (qïshlāq), e aree di pascolo estive (yayilāq), secondo la tradizione nomadica turco-mongola.Attorno a Samarcanda, Tamerlano fece costruire diversi g. che prendevano il nome dalle maggiori città dell'epoca: Miṣr (od. Cairo), Damasco, Baghdad, Sulṭāniyya, Shiraz. Questi ruotavano simbolicamente attorno alla città e di essi non è rimasta traccia, come non sono stati identificati diversi g. reali di Samarcanda, come il Bāgh-i Naw, il Bāgh-i Chinār, il Bāgh-i Shimāl, il Bāgh-i Naqsh-i Jahān, il Bāgh-i Maydān o il Gulbāgh. Di quest'ultimo Wilber (1962, fig. 23) ricostruì la pianta in base alle fonti. Altri g. timuridi, anch'essi a Samarcanda, sono stati invece scavati da missioni archeologiche sovietiche, come il Bāgh-i Dilgushā, risalente al 1396 (Alimov, 1984, pp. 31-37), e il Bāgh-i Dawlatābād, che le fonti permettono di datare al 1399 (Alimov, 1984, pp. 25-30). Entrambi presentano un padiglione in posizione centrale, caratterizzato da una pianta cruciforme in un quadrato, ma differiscono per la planimetria: nel Bāgh-i Dilgushā essa era costituita da un impianto idrico cruciforme, nel Bāgh-i Dawlatābād invece un canale centrale attraversava l'intera area. Enorme rilievo aveva la distribuzione delle piante sancita da regole minuziose: ne è testimonianza il complesso trattato di Fāżil Haravī (Irshād al-zirā ῾a), risalente alla seconda metà del sec. 15°, che attesta tradizioni assai consolidate.
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