BORROMEO ARESE, Giberto
Nato a Milano il 12 febbr. 1751, secondogenito di Renato e di Marianna Erba Odescalchi, erede della casata dopo la prematura morte del primogenito, ebbe una educazione molto accurata e fece numerosi viaggi in Italia e all'estero. Mortogli il padre quando aveva ventisei anni, dedicò le sue principali cure all'amministrazione dei propri beni.
Nel 1776 entrò a far parte dei Sessanta Decurioni, quando ormai le magistrature cittadine erano state ridotte ad una funzione puramente decorativa. Non sembra in ogni caso che il B., anche nel ristretto ambito di attività che era stato lasciato ai Decurioni, avesse avuto qualche incarico di rilievo, a parte la nomina nel 1777 a uno dei Dodici di provvisione, come di solito avveniva per i rampolli delle famiglie più importanti. Secondo la tradizione della nobiltà milanese, si occupò anche di alcune opere pie della città e nel 1778 entrò nella Confraternita di S. Giovanni alle Case Rotte presieduta da criteri rigidamente esclusivi. Il 13 dic. 1792 fu incluso nella commissione incaricata della riorganizzazione della milizia urbana. proposta dal Melzi per far fronte a una eventuale invasione francese.
Nel 1796, giunti a Milano i Francesi, con altri componenti del Consiglio generale di Milano il B. venne incarcerato e poi deportato come ostaggio a Cuneo e quindi a Nizza. Liberato dopo sei mesi, chiaramente contrario al nuovo regime, si ritirò dalla vita politica, limitandosi ad avere rapporti con le autorità per ottenere diminuzioni ai contributi impostigli. Quando, dopo la battaglia di Marengo, fu ricostituita la Repubblica cisalpina il B. fu tra i notabili convocati nel 1801 per i Comizi di Lione ma, avendo chiesto di essere dispensato dall'intervenire per motivi di salute, fu sostituito dal cugino Giovanni; egli fu nominato, tuttavia, tra i membri del Collegio dei possidenti e l'anno dopo nel Consiglio generale del dipartimento dell'Olona. Nel 1805, con la trasformazione della Repubblica italiana in Regno italico, che comportava la necessità di trovare persone che potessero ricoprire incarichi rappresentativi, il B. venne segnalato dal Melzi a Napoleone: fu quindi tra i primi a essere nominato cavaliere dell'Ordine della corona di ferro; nel 1807 entrò nel Consiglio comunale dei Corpi Santi e nel 1810 in quello della città di Milano. Nel 1811 fece parte della deputazione della città che si recò a Parigi per il battesimo del re di Roma. Totalmente inserito nel nuovo ordinamento politico, l'anno dopo venne nominato conte del Regno italico e poté chiedere l'istituzione di un maggiorasco per il figlio Vitaliano.
Tuttavia, alla caduta di Napoleone, il B. fu tra i primi firmatari della petizione di protesta del 19 apr. 1814, in cui si chiedeva la convocazione dei collegi elettorali, contro le deliberazioni del Senato ritenute favorevoli al viceré Eugenio, e il 21 venne eletto dal Consiglio municipale tra i sette membri della Reggenza.
In quest'ufficio non ebbe un ruolo importante, particolarmente nelle prime settimane, durante le quali la Reggenza era divisa in tre sezioni: il B. fu assegnato alla seconda (Interno e Guerra), della quale facevano parte personalità che avevano alle spalle un'esperienza amministrativa ben superiore alla sua. In luglio, quando furono aboliti i vecchi ministeri del Regno italico e l'intera amministrazione venne riorganizzata in una numerosa serie di dipartimenti, gli fu affidato il secondo dipartimento, concernente la Pubblica Beneficenza.
Il coscienzioso servizio prestato durante i venti mesi della Reggenza, il sincero attaccamento alla casa imperiale, il prestigio sociale ed economico che lo circondava procurarono al B. numerosi riconoscimenti e incarichi onorifici da parte del governo austriaco che ambiva legare a sé le più ragguardevoli famiglie lombarde: così nel 1816 venne nominato gran scudiero e si recò come ambasciatore di Francesco I a Roma dal papa Pio VII; nel 1817 divenne presidente della Commissione araldica.
La responsabilità politica assunta nel 1814 si può spiegare anche con la parentela che lo legava a Luigi Porro Lambertenghi, uno dei promotori della dichiarazione del 19 aprile, figlio di una delle sue sorelle, Maria Margarita. Difatti anche negli anni successivi fu tra i finanziatori di alcune imprese che facevano capo al Porro e al Confalonieri, come l'introduzione del gas illuminante, la navigazione a vapore sul Po e sul Lago Maggiore; e benché già nel 1818 i suoi giovani amici, certo giustamente, accusino lui e suo figlio di essere sempre più reazionari, egli continua a finanziare anche quelle tra le loro imprese che erano vedute con sospetto dal governo austriaco, come il Conciliatore, le scuole di mutuo insegnamento e il progetto di un bazar ricalcato su quello del Palais Royal di Parigi. Quando nel 1820 il gruppo dei nobili liberali, dopo aver cercato senza successo di fare del Casino dei nobili il centro dell'opposizione al governo, mise in atto un'azione concertata per tentare di scioglierlo come "gotica insociale istituzione", il B., per motivi forse più affettivi che politici, evitò di prendere una posizione contraria, preferendo chiedere al governatore Strassoldo di essere dispensato dall'incarico di regio delegato che aveva avuto fin dalla fondazione del Casino nel 1816. Con il Porro continuerà a mantenere un'affettuosa corrispondenza anche quando questi andrà in esilio, occupandosi tra l'altro dell'educazione dei suoi figli, mentre nel '23 firmerà la supplica all'imperatore per Federico Confalonieri.
Continuò a ottenere in questi anni incarichi di rappresentanza, tanto da meritarsi il soprannome scherzoso di Gibertone. Nel 1822 tenne a battesimo la figlia del viceré a nome dell'imperatore, nel 1825 si recò a Roma come ambasciatore straordinario presso il nuovo papa Leone XII, e nel 1831 a Torino a ricevere la principessa Marianna di Savoia, che doveva sposarsi con l'arciduca Ferdinando. Sempre in questi anni accolse splendidamente all'Isola Bella sul Lago Maggiore personaggi reali, come la principessa di Galles nel 1814, il re di Napoli nel 1825, il re Carlo Felice di Sardegna nel 1828 e Carlo Alberto nel 1836.
Il B. ebbe anche frequenti rapporti con uomini di cultura, svolgendo soprattutto una funzione di munifico mecenate. E se la sua attività come conservatore perpetuo della Biblioteca Ambrosiana (carica che gli spettava di diritto in quanto discendente di Federico Borromeo) veniva giudicata severamente da Ludovico di Breme, che lo considerava addirittura indegno di portare il nome del fondatore, lo stimavano e lo onoravano altre celebrità contemporanee, come Angelo Mai che, da lui protetto, gli dedicava diverse sue opere e Pietro Custodi che all'Ambrosiana lasciava in eredità la sua vasta raccolta di libri.
Il B. morì a Milano il 12 maggio 1837.
Fonti eBibl.: Isola Bella, Arch. Borromeo: molte cartelle della serie Famiglia, contengono documenti, corrispondenze e diari del B.; Archivio di Stato di Milano, Uffici Regi, p.m. 51, 53, 54; Ibid., Presidenza di Governo, 28; Ibid., Araldica, 51, 52, 90; Uffici civici, p.m. 23; Studi, p.m. 84, 1202; Milano, Bibl. Naz. Braidense, Protocolli della Reggenza, mss. A D XVI 12, 13, 14; Carteggi del Conte Federico Confalonieri, a cura di G. Gallavresi, Milano 1910-11, I, pp. 85, 203, 228, 420; II, pp. 70, 138, 163, 175, 177, 438; G. Gallavresi, Alcune lettere del Barone Custodi, in Miscellanea Ceriani, Milano 1910, pp. 403-412; U. Da Como, I Comizi nazionali di Lione..., Bologna 1934-40, ad Indicem;A. Mai, Epistolario, a cura di G. Gervasoni, Firenze 1954, I, ad Indicem; Carteggio di Federico e Teresa Confalonieri, a cura di F. Arese e A. Giussani, Milano 1956, p. 134; I Carteggi di Francesco Melzi d'Eril duca di Lodi, a cura di C. Zaghi, VII, La Vice-presidenza della Repubblica ital., Milano 1964, p. 446; VIII, Il Regno d'Italia, ibid. 1965, pp. 552, 555; L. di Breme, Lettere, a cura di P. Camporesi, Torino 1966, pp. 257, 382; V. De Vit, Il Lago Maggiore,Stresa e le isole Borromee, Prato 1877, I, 2, pp. 409-417; A. Gianetti, Trentaquattro anni di cronistoria milanese, Milano 1903, pp. 385-86; D. Chiattone, Nuovi doc. su F. Confalonieri, in Arch. stor. lombardo, s. 4, XXXIII (1906), p. 96; G. Gallavresi, Per una futura biografia di F. Confalonieri,ibid., s. 4, XXXIV (1907), pp. 441, 467; D. Spadoni, Milano e la congiura militare nel 1814 per l'indipendenza ital., Modena 1936, I, pp. 46, 48, 61, 94, 97, 134; P. Carretta, La famiglia Borromeo, Milano 1937, pp. 17-19; Diz. del Risorg. Naz., II, sub voce.