DANDOLO, Giberto
Appartenente ad uno dei rami principali della nobile famiglia veneziana, quello che risiedeva nella parrocchia di S. Moisè, collaterale rispetto ai discendenti del doge Enrico, nacque presumibilmente intorno al secondo decennio del XIII secolo.
Ricordato per la prima volta nel 1249, quando il suo nome compare fra i quarantuno elettori di Marino Morosini, è citato ancora nel giugno del 1257, assieme col fratello Giovanni, in relazione alla divisione del possesso di una calle situata nel suo confinio natale; nell'aprile del 1261, poi, sottoscriveva in qualità di giudice l'atto con il quale il doge Ranieri Zeno confermò al conte di Veglia ed ai suoi eredi i loro diritti sull'isola omonima.
Il D. era però destinato, per tradizione familiare, a ricoprire le più alte cariche pubbliche, alle quali si accostò tuttavia solamente in età matura, a cominciare dal 1263, quando fu nominato capitano di una flotta.
Uscito da Venezia all'inizio della primavera con trentadue galee, fece rotta verso l'Egeo in direzione di Negroponte, in quel momento uno degli obiettivi principali della politica di riconquista dell'imperatore di Costantinopoli Michele VIII Paleologo. Arrivata all'altezza dell'estremità sud orientale della Morea, nei pressi dell'isola di Settepozzi, la flotta veneziana venne assalita da una squadra genovese, alleata dei Bizantini, che era diretta a Malvasia. La battaglia dovette aver luogo ai primi di aprile, poiché poche settimane dopo, il 7 maggio, il papa Urbano IV ad Orvieto sapeva già che la flotta genovese era arrivata a Malvasia, e quindi non può essere posta, come pensa il Manfroni (Storia della marina, I, p. 9, n. 1) alla fine di maggio, e tanto meno può essere fatta risalire al periodo compreso fra il maggio ed il luglio, come ritiene invece il Geanakoplos (Emperor Michael Palaeologus, p. 153). Secondo il racconto delle fonti, lo scontro ebbe un inizio sfavorevole ai Veneziani, che subirono anche la perdita di una loro unità, ricuperata tuttavia più tardi. In seguito, però, soprattutto a causa del mancato intervento del grosso delle forze nemiche (soltanto quattordici galee liguri presero parte al combattimento), la battaglia si risolse in un pieno successo per il D. il quale riuscì a catturare quattro galee avversarie, fra cui quella dell'ammiraglio Pietro Avvocato, che cadde ucciso, e quella del suo collega Lanfranco Dugo Spinola, che poté salvarsi a stento fuggendo su di una barca. Il capitano veneziano mantenne invece intatta la sua flotta ma, a causa dei numerosi feriti che aveva a bordo, non proseguì fino in fondo l'azione, rinunciando all'inseguimento del nemico che riparò indisturbato a Malvasia, e riprese la sua rotta originaria per Negroponte.
Qui giunto, vi si trattenne per alcuni mesi, preposto con le sue navi alla difesa dell'isola. Suo compito principale era di impedirvi ulteriori sbarchi di truppe bizantine trasportate da naviglio genovese, ma questi cessarono solo l'anno dopo, a seguito dei moniti rivolti dal pontefice al Comune ligure. Rientrato a Venezia nell'autunno del 1261 vi fu accolto con tutti gli onori spettanti ad un vincitore; nel 1264 subentrò a Lorenzo Tiepolo nella carica di capitano e bailo di Negroponte. Durante la sua seconda permanenza nell'isola - durata un intero biennio - non si segnala alcun fatto notevole, tranne l'arrivo, sul finire del suo mandato, della squadra capitanata da Giacomo Dondulo che il D. provvide a rinforzare adeguatamente con l'aggiunta di tre galee ed una galeotta, comandate da Marco Zeno ed equipaggiate con contingenti locali, che diedero buona prova di sé nel prosieguo della campagna navale di quell'anno.
Ritornato a Venezia nel 1266, dopo l'arrivo del suo successore Filippo Orio, vi rimase, tranne una breve parentesi, per tutto il resto della sua vita. A partire dal 1º ott. 1267 fu infatti eletto per quattro volte consecutive (le prime tre assieme con il figlio Marco) al Maggior Consiglio, facendo quindi parte ininterrottamente della massima Assemblea veneziana fino al 30 sett. 1271. Nello stesso tempo compariva a più riprese in vari atti di natura giudiziaria, come nell'agosto 1271 quando assisteva alla presentazione di un'istanza di rinvio processuale da parte del procuratore di Tommaso Michiel, podestà di Montona, accusato di uxoricidio, od il mese successivo allorché pronunciò, con Giacomo Tiepolo, una sentenza arbitrale relativa ad una lite vertente fra la chiesa di S. Maria di Murano ed un privato a proposito di alcuni beni immobili.
Nel 1275 partecipò all'elezione dogale dalla quale il 6 settembre uscì vincitore Iacopo Contarini, e poche settimane più tardi entrò per la quinta volta al Maggior Consiglio. Eletto nuovamente a quella carica nel settembre del 1277, fu inviato, al principio dell'anno seguente, in compagnia di Marco Badoer ed Andrea Zeno, presso il papa Nicolò III, ricevendone tuttavia una pessima accoglienza perché il pontefice, dapprima si rifiutò di concedere loro udienza, poi "eos vehementer redarguit" a causa dei contrasti con Venezia a proposito della guerra in corso contro Ancona, di cui lo stesso D. sembra fosse stato un fautore. Durante quello stesso 1278 fece parte, infine, assieme con Marino Gradenigo e Lorenzo Secreto, di una commissione istituita allo scopo di accertare i danni inferti negli anni precedenti dai Bizantini ai mercanti veneziani.
La morte del D. risale al periodo compreso tra il 21 apr. 1279, allorché compariva ancora in vita, ed il 20 settembre successivo, quando fra gli eletti al Maggior Consiglio figurava anche "Marcus Dandulo f. q. Guiberti". Aveva sposato Maria, figlia di Gratone Dandolo da S. Polo, ed ebbe due figli maschi, Giovanni, eletto doge nel 1280, ed il già ricordato Marco.
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