GIFFREDO di Anagni (Giffredo "Bussa")
Nacque probabilmente ad Anagni intorno agli anni Venti del XIII secolo. In alcuni documenti del locale Archivio capitolare G. è anche ricordato come "Guttifredus Bussa": in un atto redatto nel maggio 1237 G., in qualità di chierico della chiesa anagnina di S. Romano, partecipa a una compravendita (Anagni, Archivio capitolare, perg. n. 553); il 16 ott. 1250 è nominato tra i chierici del capitolo della cattedrale (Ibid., Cartulario, c. 84r, n. LXXXVIII) e, ancora, il 19 nov. 1255 lo stesso canonico è teste in un atto di vendita al vescovo (ibid., perg. n. 418). Tuttavia, nei documenti successivi e soprattutto nella quasi totalità delle lettere pontificie a lui inviate, G. è citato semplicemente come Giffredo di Anagni.
In seguito G. compare in qualità di arcidiacono di Todi, nel documento di investitura di Benedetto Caetani - il futuro papa Bonifacio VIII - a canonico della cattedrale di Todi (14 ag. 1260); il 22 nov. 1263, papa Urbano IV si rivolge all'arciprete della chiesa di S. Terenziano in Todi per ingiungergli di concedere una prebenda a Giffredo. Il 6 luglio 1264, poi lo stesso pontefice investe G., qualificato in tale occasione come socius di Adinulfo di Anagni, quest'ultimo maestro di teologia a Nôtre-Dame e cappellano pontificio, di un canonicato con prebenda in Anagni, incaricando, con lettera del giorno seguente, Giovanni "de Amatonis", canonico della locale chiesa di S. Angelo, a provvedere in favore di G. "dicto Busse, archidiacon0 Tudertino".
Un'opera minore di Tommaso d'Aquino, l'Expositio super I.am et II.am decretalem, è stata dedicata dall'Aquinate a un "archidiaconum Tudertinum" identificato dalla letteratura critica (Grabmann, Peters) in G., che Tommaso ebbe forse modo di incontrare in occasione del capitolo provinciale di Todi del 5 ag. 1266. Altra ipotesi è che l'autore, pur senza conoscerlo personalmente, gli abbia dedicato l'operetta dietro richiesta del già ricordato Adinulfo, suo collega a Parigi.
Negli anni successivi le fonti tacciono su G., che ricompare solo in un documento del 28 marzo 1278 (Anagni, Archivio capitolare, Cartulario, cc. 42v-43r, n. XCIV), dove figura come teste in una concessione a usufrutto di un terreno, compiuta dal vescovo anagnino Pandolfo.
L'ascesa al soglio pontificio di Giovanni Gaetano Orsini, con il nome di Niccolò III, impresse un'importante svolta alla carriera di G.: infatti, con due lettere datate rispettivamente 20 e 22 giugno 1278, in occasione della restituzione della Romagna alla Chiesa da parte di Rodolfo d'Asburgo, il papa munì di pieni poteri e di lettere circolari, indirizzate ai podestà e ai Consigli comunali, i suoi nunzi Giovanni da Viterbo e G. - ricordato nelle epistole pontificie con il titolo di decano della chiesa di Saint-Omer della diocesi di Thérouanne e con l'appellativo di cappellanus.
A causa della situazione piuttosto delicata dei territori romagnoli, caratterizzata dalle continue lotte tra guelfi e ghibellini bolognesi e tra le diverse fazioni locali, i nunzi ebbero anche il compito di intervenire per pacificare le singole Comunità. Tra queste, l'attenzione del pontefice era particolarmente viva nei riguardi della ghibellina Forlì e della guelfa, ma fiera delle sue prerogative di autonomia, Bologna: proprio in queste due città Niccolò III inviò G. con il compito di muoversi prudentemente così da evitare il pericolo dell'inasprimento della tendenza alla difesa dell'autonomia comunale a danno dello Stato della Chiesa.
Ancora nell'agosto 1278 il pontefice, riconfermando una disposizione emanata nel mese di giugno, ordinò ai suoi inviati di effettuare con ogni scrupolo formale la ricognizione del dominio papale nella regione, di richiedere alle varie Comunità gli atti di sottomissione alla Chiesa, già sottoscritti dai rappresentanti delle città romagnole a Viterbo il 29 luglio di quello stesso anno, e di farli debitamente registrare dai notai. Rivolgendosi a G. il pontefice inoltre lo invitava a impedire nuove distruzioni di case in Bologna nonché ulteriori imposizioni fiscali a Cesena, provvedimenti volti alla pacificazione interna delle fazioni cittadine.
Mentre il quadro politico nell'Italia centrosettentrionale andava lentamente tranquillizzandosi, grazie anche all'intervento in favore del pontefice svolto da Carlo d'Angiò, lo stesso non poteva dirsi delle relazioni esistenti all'epoca tra Papato e Impero. Infatti, all'inizio dell'autunno 1278 i principi elettori tedeschi non avevano ancora ratificato l'atto formale di restituzione alla Chiesa delle terre appartenenti all'Esarcato e alla Pentapoli compiuto in Curia qualche mese prima da Rodolfo d'Asburgo tramite il suo protonotario Gottifredo (29 maggio).
Il 17 nov. 1278 il pontefice scrisse a Rodolfo annunciandogli l'imminente ritorno del protonotario accompagnato da Giffredo. Questi il 18 dicembre ricevette da Niccolò III due lettere, contenenti le istruzioni relative alla delicata missione: egli, alla cui prudenza il papa accordava piena fiducia, avrebbe dovuto consegnare al re dei Romani una lettera del pontefice e farsi personalmente ratificare dallo stesso tutto quanto già concesso dagli inviati tedeschi a Roma, con la redazione dei relativi documenti muniti della bolla aurea; inoltre, G. avrebbe avuto il compito di viaggiare per tutta la Germania e recarsi dai principi ecclesiastici e secolari allo scopo di procurare che ciascuno di essi approvasse e confermasse per iscritto l'operato del re e prestasse il proprio giuramento di fedeltà alla Chiesa. Infine il pontefice concesse a G. la facoltà di avvalersi di interpreti nel corso della sua permanenza nei territori di lingua tedesca. Successivamente, il 19 dicembre dello stesso anno, Niccolò III provvide G., pro magnis Ecclesiae negotiis destinatus, di un salvacondotto, con la richiesta rivolta a tutte le chiese tedesche di offrirgli ospitalità e uno stipendio di 3 lire turonensi al giorno.
G. era a Vienna il 14 febbr. 1279, quando compare fra i testimoni del privilegio regale, sottoscritto dalle più importanti autorità laiche ed ecclesiastiche, con il quale venivano confermate le donazioni da parte di Rodolfo in favore della Chiesa. La sua permanenza in Germania dovette durare fino al mese di novembre, come attesta la fitta corrispondenza fra il pontefice e G., il quale ottenne da tutti i principi elettori le ratifiche desiderate dalla Chiesa.
La situazione politica di Bologna, intanto, si era nuovamente destabilizzata e, una volta ritornato in Italia, G. fu incaricato di nuove missioni presso il legato pontificio Latino Malabranca: il 16 genn. 1280 Niccolò III comunicò al podestà Bertoldo Orsini l'arrivo in città di G., che recava con sé precise istruzioni sul da farsi. Il 26 gennaio e il 2 marzo G. ricevette dal papa altre due missive, con le quali fu investito dell'importante titolo di auditor litterarum contradictarum; da questo momento, il cappellano avrebbe potuto affiancare il cardinale legato nell'amministrazione della giustizia, occupandosi di istruire le cause in appello e quelle di natura beneficiale di prima istanza.
Non si hanno più notizie certe su G. fino all'11 sett. 1280, quando, di nuovo ad Anagni, fu testimone, insieme con tutto il clero anagnino, dell'importante sentenza emessa dal vescovo Pietro relativa all'esatta delimitazione delle ventitré parrocchie cittadine (Anagni, Archivio capitolare, perg. n. 225).
Nell'aprile 1282, alla morte di Angelario Bentivegna, il capitolo di Todi propose il nome di G. per l'elezione a vescovo di quella diocesi, ma questi rinunciò, probabilmente per rimanere più vicino alla Curia romana. La sua si rivelò ben presto una buona intuizione: infatti, il 23 maggio 1282, Martino IV gli affidò la rettoria in spiritualibus et temporalibus della Marca anconitana.
Fu nell'espletamento di questo incarico che l'abilità di G. come uomo politico e amministratore si manifestò palesemente e nel corso della sua gestione le entrate derivanti dall'amministrazione della giustizia della provincia si accrebbero notevolmente, anche se vi fu una continua rivendicazione, da parte delle locali autorità, di una maggiore autonomia fiscale e giurisdizionale. In alcune occasioni fu accordata loro qualche concessione: il 27 marzo 1284 G. e il cappellano Gualtiero "de Fontanis", su ordine di Martino IV, concessero ad Ascoli, Jesi e Ripatransone, in debito nei confronti della Camera apostolica, una dilazione di pagamento. Nel corso di quello stesso anno, però, i Comuni di Ancona, Fermo e Ascoli, nel tentativo di attenuare la pressione economica subita, assunsero, senza averne preventivamente richiesta autorizzazione, propri esgravatores per le cause d'appello al papa; G. chiese allora al pontefice il beneplacito, ma Martino IV, con lettera datata 23 dicembre, ordinò al rettore di proibire nel modo più assoluto una tale pratica, "acriter castigando" chiunque avesse osato disubbidire.
Nel corso della sua permanenza nella Marca anconitana G. dovette delegare a suo fratello Nicola alcune questioni patrimoniali, come attesta un documento, datato Orvieto 24 genn. 1284, nel quale Nicola, a nome del nipote Ruggero e dei figli Giacomo e Giffredo, e in qualità di procuratore di G., donava al cardinale Benedetto Caetani tutti i beni e i diritti appartenenti alla propria famiglia nel castello e territorio di Selvamolle, presso Ferentino (questo castello apparve in seguito come una delle proprietà costituenti la base del potere dei Caetani).
Altri gravi problemi si presentarono al rettore della Marca anche negli anni successivi: nel luglio del 1285, i fratelli Mercenario, Rinaldo e Guglielmo Simonetti di Jesi, con l'appoggio dei concittadini, usurparono il governo della città. Onorio IV, succeduto a Martino IV, il 23 dello stesso mese si rivolse allora alle città di Genova e di Osimo chiedendo di assistere con soldati e mezzi finanziari G.; questi, con il loro aiuto, riuscì a sconfiggere gli Jesini e li condannò a pagare un tributo di guerra di 5000 lire ravennati.
È questa l'ultima testimonianza dell'esistenza in vita di G., che dovette morire tra quella data e il 24 febbr. 1286, quando il pontefice accordò alla città di Jesi una dilazione del pagamento della multa comminata dal quondam Giffredo.
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