MACARUFFI, Gigliolo
MACARUFFI, Gigliolo (Egidius, Egi;diolus). – Figlio di Macaruffo di Zilio, nacque a Padova o nel Padovano immediatamente prima oppure durante la dominazione di Ezzelino (III) da Romano (1236-56); un sicuro termine ante quem è il 1255, anno in cui il cronista Rolandino dà per avvenuti il decesso del padre e il trasferimento della madre, con tutti i figli, nei territori estensi per scampare a Ezzelino.
Il profilo sociale della famiglia d’origine è controverso. Correntemente si pensa a un’estrazione «popolare», ritenuta tale per una tradizione – tramandata dal giudice Giovanni da Nono (II-III decennio del Trecento) – secondo cui anticamente i Macaruffi sarebbero stati macellai. Sembra più fondato ipotizzare che la famiglia fosse stata e fosse di ceto «militare», dal momento che Rolandino nella sua Chronica distingue il padre del M., il defunto dompnus Macaruffo, dai seguaci rimasti in città, qualificando questi ultimi come: «boni cives […] de bono populo paduano». L’indicazione del cronista non è isolata: è infatti da tenere presente che i Macaruffi figurano tra i possessori di fortezze rurali, in particolare del fortilicium di Brugine, nell’opera annalistica composta nel 1258, con l’assemblaggio di materiali preesistenti, dal giudice Antonio di Alessio o, più esattamente, nel sommario che da quell’opera fu ricavato quasi due secoli più tardi. L’informazione, che concerne un insediamento a breve distanza dall’attuale Piove di Sacco, si lega infatti con il cenno, proposto da Giovanni da Nono nel suo repertorio di famiglie, al diritto dei Macaruffi di impiegare i propri «subditi» di Piove di Sacco in prestazioni militari riservate. Che la famiglia appartenesse agli strati «militari» è condizione presupposta dal genealogista laddove dichiara che nell’ambito del territorio urbano i Macaruffi erano più potenti dei Carraresi (poi divenuti signori di Padova), in forza dei numerosi consorti da loro annoverati tra i milites e i pedites residenti in città.
La restaurazione del Comune e l’affermazione di Padova, dopo la scomparsa dei da Romano, nei ruoli di potenza egemone in gran parte dell’area veneta e di capofila regionale dello schieramento guelfo d’ambito italiano sono le linee di contesto in cui va iscritta la biografia del M. con, in primo luogo, la sua carriera politico-diplomatica. Sicuramente preceduta dall’addobbamento a cavaliere, secondo la disposizione statutaria regolante la nomina del podestà da inviare al Comune soggetto, la carriera del M. iniziò con l’ufficio di podestà a Vicenza nel 1273-74, che gli procurò l’apprezzamento di magistrato imparziale da parte del cronista vicentino Nicolò Smereglo. In seguito il M. svolse nuovi incarichi in sedi esterne ai circuiti di dominio o d’immediata egemonia di Padova e comprese invece nella rete delle alleanze d’intonazione guelfa, che la città aveva intessuto nel cuore dell’Alta Italia, tramite gli Estensi, a partire dal penultimo decennio del Duecento. Il M. fu così podestà a Modena, a Brescia, a Mantova, rispettivamente nel 1279, 1288, 1293 e per due volte a Firenze, nel 1285 e nel 1296, e cioè negli estremi cronologici della travagliata parabola vissuta dal governo di parte guelfa con l’emanazione e con la successiva revisione degli Ordinamenti di giustizia.
La relativa abbondanza d’informazioni in merito ai percorsi del M. come ufficiale forestiero non trova riscontro adeguato nelle notizie relative alla sua azione sul versante della politica interna. A questo riguardo è noto soltanto un suo coinvolgimento nel prestito versato il 24 giugno 1284 a Gherardo da Camino, novello signore di Treviso, da un banchiere padovano che agiva per il Comune, e di due missioni a Ferrara presso Obizzo (III) d’Este in qualità di rappresentante del Comune di Padova, nel 1288 e nel 1307.
Nonostante il sostanziale silenzio delle fonti ufficiali, si possono comunque rilevare indizi sulla posizione elevata del M. e della sua famiglia nella società della Padova comunale; in particolare non vanno sottovalutate le spie relative all’esistenza di rapporti privilegiati con i marchesi d’Este. Generati quanto meno da un’antica contiguità di possessi, viste le tracce nel cosiddetto «Catastico di Ezzelino» di beni dei Macaruffi nell’ambito del territorio di Monselice, tali rapporti trapelano dall’accenno di Rolandino al luogo in cui la famiglia aveva trovato riparo negli ultimi anni del dominio del da Romano e trovano piena conferma nelle podesterie tenute dal M. nelle città d’influenza estense, nelle sue missioni diplomatiche a Ferrara e, ancora, nelle scelte operate dai figli. Ma sono utili per il chiarimento anche dati d’altro genere, quali l’ubicazione del palazzo familiare nella contrada centralissima di S. Clemente, a pochi passi dalla cattedrale.
Il M. morì intorno al 1308.
Aveva sposato, prima del 1264, Furlana da Vo’, esponente di una stirpe della prima aristocrazia comunale. Il loro figlio primogenito, Benastrutto, cavaliere addobbato come il padre, prese in moglie Gualperga appartenente all’illustre parentela signorile dei Forzatè. Padre di Ziglio, Furlana (data in moglie al marchese Rinaldo d’Este in anno imprecisato e comunque prima del 1318) e di Uberto, morì prima del 1326.
Gli altri figli del M. furono Francesco, Bartolomeo (detto abitualmente Macaruffo) e Barnaba. Le tracce di Francesco arrivano fino al 1312 e sono sempre collegate con il passaggio dell’intera famiglia e dei suoi aderenti alla parte estense, ormai divenuta avversa a Padova. Di primo piano fu il ruolo svolto da Bartolomeo: già in evidenza a Padova nel 1311, quando partecipò al raduno della parte guelfa, sollecitato dal veneziano Baiamonte Tiepolo, e più ancora nel 1313, anno in cui fu arbitro della contesa fra Aldobrandino d’Este e gli eredi di Francesco, defunto fratello di questo; inoltre Bartolomeo conquistò il ruolo di «primo cittadino» nel 1314, in coincidenza con le sanguinose lotte civili della primavera di quell’anno. Come tale, tenne testa per anni a Giacomo (I) da Carrara e allo schieramento da questo guidato all’interno della città di Padova. La competizione interna si risolse però a suo danno, tanto che nel 1318, in seguito al conferimento del capitanato al Carrarese, cercò rifugio con tutti i congiunti presso Obizzo (III) e Rinaldo (II) d’Este, che nel frattempo si erano schierati con Cangrande Della Scala. Aderendo al nuovo orientamento degli Estensi, anch’egli prese parte all’assedio di Padova ordito da Cangrande, ma nel 1320 venne catturato e immediatamente ucciso per mano dei rivali.
Anche Barnaba fu personalità di rilievo nelle vicende cittadine agli inizi del XIV secolo: nel 1314 figura quale vexillifer dell’esercito padovano nella campagna per la riconquista di Vicenza, che nel 1311 era passata nella mani di Cangrande Della Scala; proprio quel compito però, come racconta il cronista Guglielmo Cortusi, gli fu fatale.
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