GIHĀD
. Vocabolo arabo, che nel linguaggio tecnico di tutti i popoli professanti l'islamismo designa la guerra santa, ossia la guerra dei musulmani contro gl'infedeli. Propriamente significa "sforzo" e ha assunto quel senso particolare in base all'espressione più volte ricorrente nel Corano "fare sforzi (contro gl'infedeli) per la causa di Dio". La teoria politica e giuridica del gihād è immediata conseguenza della condotta tenuta da Maometto nel decennio della sua vita a Medina (622-632 d. C.), quale capo di stato oltre che quale apostolo religioso, e di versetti del Corano emanati nel decennio predetto e riguardanti non solo l'azione militare contro il nemico infedele ma anche la ripartizione e la destinazione della preda e dei beni immobili conquistati. La rapidità vertiginosa dell'espansione musulmana a mano armata in Asia e Africa subito dopo la morte di Maometto e la formazione del grande impero califfale portarono necessariamente a dare alla teoria e alla pratica della guerra santa un posto capitale nel sistema giuridico, religioso e politico dell'islamismo. Nello spirito di questo, è dovere del capo dello stato musulmano assoggettare, quando ne abbia la possibilità, tutti i paesi degl'infedeli (v. dār al-ḥarb) "per dare il sopravvento alla parola di Dio", indipendentemente dalla conversione religiosa dei non musulmani assoggettati (v. dhimmī); il gihād, secondo una espressione frequentissima tra i giuristi, durerà sino al giorno della risurrezione.
Ogni guerra dei musulmani contro gl'infedeli, quando sia stata proclamata dal sovrano nelle forme legittime, è guerra santa; e tale era considerata sino quasi alla metà del sec. XIX anche la pirateria esercitata nel Mediterraneo dai corsari barbareschi con l'autorizzazione dei loro sovrani. Parimenti è gihād la difesa spontanea contro attacchi inopinati degl'infedeli; in questo caso anzi il parteciparvi è obbligo individuale di ciascuno degli abitanti del luogo assalito, i quali siano musulmani, maschi, di condizione libera e atti alle armi; laddove, quando non si tratti di gihād difensivo, la guerra santa è dovere non individuale, ma comune in solido a tutto il mondo o stato musulmano e quindi soddisfatto quando all'impresa partecipi un adeguato numero di credenti volontarî o assoldati. Nel caso di gihād difensivo è lecito far uso anche di truppe composte d'infedeli.
La dottrina della guerra santa forma uno dei capitoli più ampî dei trattati di diritto musulmano, poiché a essa si collegano molti problemi fondamentali concernenti la condizione dei vinti infedeli, la schiavitù e la proprietà fondiaria dei paesi fuori d'Arabia. Dal punto di vista religioso merita rilievo il fatto, scaturente da testi del Corano, che chi cade combattendo in guerra santa è qualificato shahīd "martire", dal verbo shahida "testimoniare" (con tipica trasposizione del significato cristiano della parola), e ritenuto accolto subito in paradiso, al pari dei profeti e inviati di Dio, ma a differenza degli altri musulmani costretti ad attendere per questo il giorno della risurrezione. Il capo di una spedizione regolare contro gl'infedeli è chiamato ghāzī (v.) nell'uso turco.
Della dottrina del gihād fu parecchie volte abusato gravemente, p. es. da parte dei famigerati cacciatori di schiavi o giallābah nel Sūdān orientale e occidentale. D'altra parte alcuni musulmani modernizzanti, imbevuti di cultura europea (soprattutto in India), vorrebbero sostenere che Maometto non ebbe mai di mira altro che la difesa, e che quindi la teoria del gihād esposta dai teologi e dai giuristi è una deviazione dagl'insegnamenti del fondatore dell'islamismo.
Bibl.: Oltre ai manuali di diritto musulmano v. il cap. 4° degli al-Aḥakām as-sultāniyyah del giurista shaāfi‛ita al-Māwardī nella trad. francese commentata di L. Ostrorog, II, Parigi 1906; H. Th. Obbink, De heilige oorlog volgens den Koran, Utrecht 1901; C. Snouck Hurgronje, Verspreide Geschriften, Bonn, Lipsia e Leida 1923-1927, III, pp. 257-292 (a proposito della cosiddetta guerra santa proclamata dalla Turchia nel 1914).