GILI
Famiglia di scultori, intagliatori e argentieri attivi a Palermo e in Sicilia dal 1511 al 1566. Di nessuno di loro si conosce la data di nascita; mentre quella di morte è nota solo per Giovanni.
L'opera dei G. si inquadra nel panorama artistico palermitano dei primi decenni del Cinquecento, quando volgeva al tramonto la tradizione del tardo gotico, soppiantata dalla presenza di artisti portatori della nuova cultura figurativa di estrazione rinascimentale, che ebbe nei Gaggini i maggiori rappresentanti.
Sono scarse le notizie sul capostipite Vincenzo, che nel 1511, insieme con Giovanni Andrea Lo Bianco, esponente di una nota famiglia di pittori e orefici, fu impegnato nella rimozione di alcune decorazioni murali in S. Pietro la Bagnara a Palermo (Di Marzo, 1899). La sua famiglia risiedette nel quartiere della Kalsa presso la parrocchia di S. Niccolò. Nel testamento del figlio Giovanni datato al 1534, è appellato "magister" (Id., 1880, I, p. 684; II, p. 402).
Giovanni fu l'autore, a partire dal 1520, del grandioso coro in noce e acero della basilica di S. Francesco d'Assisi di Palermo e probabilmente di quelli, non più esistenti, delle chiese dei conventuali di Messina e di Lentini.
Sita nel cuore pulsante dei traffici commerciali e delle nuove domus magnae della città, la chiesa di S. Francesco era diventata negli anni il luogo dove si manifestavano le scelte culturali più avanzate delle élites cittadine. Francesco Laurana, Domenico e Antonello Gaggini, Vincenzo de Pavia diedero all'arredo plastico e pittorico della chiesa una forte impronta rinascimentale. Nel coro Giovanni utilizzò il repertorio decorativo delle grottesche, dei girali, delle nicchie a valva di conchiglia, dei tralci continui, delle colonnine a fogliami; nello scranno centrale intagliò il motivo devozionale delle Stimmate di s. Francesco e, in ognuna delle spalliere degli stalli, gli stemmi araldici dell'aristocrazia locale. Completò l'insieme con alcuni clipei di gusto umanistico rappresentanti i ritratti di uomini illustri, fra cui il poeta Antonio Beccadelli detto il Panormita (ibid., I, pp. 685-688). Le scelte figurative di Giovanni sono state giustamente ricondotte nell'ambito della corrente bramantesca e bramantinesca meridionale di primo Cinquecento, sensibilmente presente anche in Sicilia, sia nelle opere scultoree, sia in quelle pittoriche (Cuccia).
La prestigiosa impresa accrebbe la fama di Giovanni che, sempre nel 1520, ampliò il coro ligneo in S. Domenico, poi modificato nei secoli successivi. Il coro originario era stato eseguito, fra il 1446 e il 1459, da Nicola de Noce, presumibilmente in forme tardogotiche.
Sempre nel 1520 Giovanni, insieme con il cognato Antonio Barbato, assunse l'incarico per il coro ligneo della chiesa di S. Maria di Gesù ad Alcamo. L'opera era stata precedentemente affidata al bolognese Giacomo La Porta e al trapanese Giacomo La Pica che, nello stesso anno, si impegnava insieme con Giovanni nell'esecuzione del fercolo di S. Giacomo per l'omonima chiesa di Caltagirone. Di queste opere, se vennero eseguite, non si ha oggi alcuna traccia.
Nel 1529 tornò a lavorare in S. Francesco, dove Niccolò D'Afflitto gli commissionò l'arredo ligneo (perduto) della cappella di S. Andrea. Nello stesso anno eseguì il tabernacolo (perduto) che faceva da cornice all'antica tavola della Madonna delle Perle, custodita nella chiesa del monastero del Cancelliere.
L'anno seguente Giovanni venne scelto dal pittore Vincenzo degli Azani da Pavia come perito di fiducia per giudicare un suo dipinto raffigurante S. Giacomo e storie della sua vita. Alla perizia presero parte anche altri artisti, quali i pittori Antonello Crescenzio e Mario di Laurito e lo scultore Antonello Gaggini, nominati dai committenti.
Nel 1532 eseguì la sagoma lignea per la base del reliquiario del braccio di s. Agata nella cattedrale di Palermo, completato dal fratello Paolo e da Battista Raimundo, entrambi argentieri. Tuttora esistente, anche se modificata negli anni, l'opera mostra un nostalgico arretramento verso forme tardogotiche che ancora in quegli anni "per le opere al servizio del culto costituivano il gusto imperante" (Accascina, p. 158).
Nello stesso anno, di nuovo insieme con il Crescenzio, stese una perizia del Cristo risorto eseguito da Antonello Gaggini per la tribuna della cattedrale.
Infine, Giovanni scolpì la statua lignea di S. Vito, rinvenuta di recente nell'omonimo oratorio di Palermo, che reca l'iscrizione con il nome e cognome dell'autore e una data interpretabile come 1532 (Palazzotto). Si tratta dell'unica opera di statuaria lignea da lui eseguita attualmente nota e denuncia l'appartenenza all'ambito della scultura monumentale nella direzione di Antonello Gaggini.
Giovanni morì nel 1534.
Paolo, fratello di Giovanni e inizialmente suo collaboratore, fu attivo nel 1524 per il coro di S. Francesco d'Assisi, dove fu impegnato nell'intaglio di alcune colonne lignee (Di Marzo, 1880, I, p. 620). Nel 1531, insieme con l'argentiere Francesco La Torre, realizzò due candelieri (dispersi) per la cattedrale, dove l'anno seguente, insieme con B. Raimondo, eseguì il reliquiario del braccio di s. Agata, composto da una parte superiore cesellata, fusa e sbalzata, innestata su una base lobata di gusto tardogotico.
Nel 1533, insieme con tale Giacomo de Garipoli, eseguì, su incarico dalla badessa del monastero del Cancelliere, un pastorale in argento impreziosito da ben quaranta gemme (opera perduta). Nell'atto di commissione era specificata la richiesta di eseguire alcune parti a fusione, raffiguranti sei statuine di santi e il gruppo della Pietà (ibid., p. 692).
Nel 1534 realizzò, firmandolo, l'ostensorio processionale per la chiesa madre di Enna, oggi custodito nel locale Museo Alessi. Pur adottando un impianto architettonico tardogotico, non mancano qui i segni di una cultura aggiornata, evidente nelle rappresentazioni dei dodici apostoli e dell'Annunciazione eseguite a fusione. Sulla stessa linea si colloca il pastorale d'argento della Galleria regionale di Palazzo Abatellis di Palermo, proveniente dall'abbazia di S. Michele in Mazara (Accascina).
Poste in relazione con l'ostensorio di Enna, sono state riferite a Paolo diverse altre opere: una croce processionale custodita presso la stessa Galleria regionale (Accascina), e un'altra della matrice nuova di Castelbuono: quest'ultima è stata recentemente attribuita a Bartolomeo Tantillo (Di Natale).
Nel 1540 Paolo iniziò a lavorare per la cattedrale di Palermo al reliquiario di s. Cristina.
È questo il lavoro più impegnativo della sua carriera, la cui esecuzione si protrasse fino al 1566, data incisa sull'opera stessa. Paolo fece ricorso anche all'aiuto di altri maestri, fra cui Andrea Di Peri, autore del rilievo con le Storie della santa, e Scipione Casella. Nei secoli successivi l'opera subì drastici rimaneggiamenti, di cui sono noti quello del 1667 a opera di Giulio Raguseo e quello del 1787, che finirono con l'alterarne l'assetto originario che per tutto il Cinquecento aveva funzionato da modello indiscusso per i reliquiari eseguiti in Sicilia. Soltanto il fregio, la cimasa, i genietti con cornucopia e la statuina di s. Cristina sono state riconosciute come parti originali (Accascina); mentre le dodici statuine di vergini realizzate a fusione furono sostituite. La stessa sorte subirono anche le sei aquile su cui poggiava la cassa: eseguite in argento fuso sul modello in stucco argentato approntato da Fazio Gaggini, lasciarono il posto ad altrettanti angeli telamoni di gusto manieristico. L'opera valse a Paolo l'appellativo di sculptor e il paragone con Giacomo Del Duca, lo scultore siciliano accolto fra gli allievi di Michelangelo (Baronio Manfredi).
Nel 1545 lo stesso Paolo si impegnava a rifare, sempre per la cattedrale, una "conetta" raffigurante la Madonna (opera non rintracciata).
Di altri suoi lavori resta solo testimonianza nei documenti: nel 1546 un frate carmelitano gli commissionò una corona d'argento per una statua della Vergine; nello stesso anno la badessa del monastero del Salvatore di Erice gli diede l'incarico di eseguire un pastorale.
L'ultima notizia che lo riguarda è del 1566, quando era ancora impegnato a riscuotere pagamenti per l'urna di s. Cristina (Di Marzo, 1880, I, pp. 627 s.).
Il fratello Pietro, del quale restano notizie per gli anni compresi fra 1531 e 1544, risulta attivo, in collaborazione con Paolo, come pittore, falegname e argentiere (ibid., p. 684). Stessa labile traccia rimane di un altro fratello argentiere, Antonino, anch'egli collaboratore di Paolo (Guastella, 1982).
Fonti e Bibl.: F. Baronio Manfredi, De maiestate Panormitana, III, Panormi 1630, p. 104; G. Di Marzo, I Gagini e la scultura in Sicilia nei secoli XV e XVI, Palermo 1880, I, pp. 548, 619, 622-628, 683-688; II, p. 402; Id., La pittura del Rinascimento in Sicilia, Palermo 1899, p. 283; A. Barilaro, S. Domenico di Palermo pantheon degli uomini illustri di Sicilia, Palermo 1971, p. 44; M. Accascina, Oreficeria di Sicilia, Palermo 1974, pp. 158-164; C. Guastella, Attività orafa nella seconda metà del secolo XVI tra Napoli e Palermo, in Scritti in onore di Ottavio Morisani, Catania 1982, pp. 244 s.; U. Mirabelli, Il coro dell'abbazia di S. Martino delle Scale, Palermo 1985, pp. 74-76; V. Di Piazza, Il coro della chiesa di S. Francesco d'Assisi di Palermo, in Atti dell'Accademia di scienze lettere e arti di Palermo, 1993-94, pp. 1-12; A. Cuccia, Giovanni G. e bottega. Coro. Palermo chiesa di S. Francesco, in XV Catalogo di opere d'arte restaurate (1986-1990), Palermo 1994, pp. 46-51; E. Cacioppo Riccobono, Sculture decorative in legno in Sicilia, Palermo 1995, pp. 38 s.; V. Di Piazza, in L. Sarullo, Diz. degli artisti siciliani, III, Palermo 1995, pp. 153 s.; M.C. Di Natale, Oreficeria e argenteria nella Sicilia occidentale al tempo di Carlo V, in Vincenzo degli Azani da Pavia e la cultura figurativa in Sicilia al tempo di Carlo V (catal.), a cura di T. Viscuso, Palermo 1999, pp. 77 s.; P. Palazzotto, Gli oratori di Palermo, Palermo 1999, p. 162; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIV, p. 31.