Pontecorvo, Gillo (propr. Gilberto)
Regista cinematografico, nato a Pisa il 19 novembre 1919. Erede dell'approccio diretto alla realtà del Neorealismo e dell'intensità poetica e corale del cinema sovietico, P. ha realizzato opere con uno stile essenziale, sostenute da un montaggio non narrativo basato su un'asciuttezza cronachistica e da un commento musicale (al quale in più di un'occasione ha collaborato) in grado di intensificare il ritmo del film. Si è mantenuto fedele all'idea di un cinema caratterizzato da un saldo impegno ideologico e da una forte carica di denuncia, il cui comune denominatore è la 'dittatura della verità', l'indagine di situazioni 'limite' nelle quali si verifica, come inevitabile, una rottura, un rovesciamento, mentre le figure individuali risultano in lotta sullo sfondo di situazioni collettive. Nel corso di una pur non prolifica carriera P. ha ottenuto numerosi riconoscimenti tra cui il Leone d'oro alla Mostra del cinema di Venezia nel 1966 per La battaglia di Algeri e in seguito due David di Donatello, rispettivamente per Queimada (1969) nel 1970 e per Operación Ogro (1979; Ogro) nel 1980.
Quinto degli otto figli di un ricco imprenditore tessile ebreo, P. ricevette un'educazione antifascista e al contempo laica. Dopo essere stato cacciato dal ginnasio e aver frequentato con scarso interesse il liceo scientifico, nel 1936 si iscrisse, senza convinzione, alla facoltà di Chimica dell'Università di Pisa. Nel 1939 raggiunse il fratello Bruno (il celebre fisico che nel 1950 sarebbe espatriato in Unione Sovietica) a Parigi per seguire un corso di giornalismo. Nella capitale francese cominciò a lavorare per l'Havas (attuale Agence France Press) ed entrò in contatto con il Partito comunista italiano clandestino, rifugiato in Francia dopo l'abolizione dei partiti a opera della dittatura fascista, partecipando poi alla Resistenza in Piemonte con il nome di battaglia di Barnaba. Finita la Seconda guerra mondiale fu corrispondente da Parigi dei quotidiani "Repubblica" e "Paese sera" e direttore di "Pattuglia", il settimanale della gioventù socialista e comunista d'Europa. Esordì nel cinema come attore nel 1946 interpretando Il sole sorge ancora diretto da Aldo Vergano, film prodotto dall'Associazione nazionale partigiani d'Italia, e più tardi fu aiuto regista di Yves Allégret sul set di Les miracles n'ont lieu qu'une fois (1951; I miracoli non si ripetono).
Negli anni in cui viveva tra l'Italia e Parigi P. diresse una serie di documentari, come Missione Timiriazev (1953), ambientato sul delta padano, Cani dietro le sbarre in cui compare un primo accenno narrativo, Porta Portese, entrambi del 1954, e Pane e zolfo (1956), vicini al Neorealismo per il linguaggio e per la scelta dei temi. Esordì nella regia con Giovanna (1956), episodio di Die Windrose, film collettivo curato da Joris Ivens sul ruolo della donna nella lotta sociale. I quaranta minuti diretti da P. raccontano di un'operaia che, per solidarietà con le colleghe licenziate, disubbidisce al marito e sciopera rischiando il posto. L'interesse (già individuato in Giovanna) per la storia di personaggi che, dopo aver perseguito un tornaconto individuale, si 'redimono' a favore della solidarietà di classe costituisce il tema di La grande strada azzurra (1957), suo primo lungometraggio tratto da un romanzo di Franco Solinas, con cui stringerà un fruttuoso sodalizio artistico. Per volere dei produttori, il film, ambientato nell'Isola della Maddalena, in Sardegna, fu realizzato a colori e sfruttando i volti di due professionisti, Yves Montand e Alida Valli. Montand interpreta il ruolo di Squarciò, un pescatore di frodo che non si rassegna alla poco redditizia pesca con la rete praticata nell'isola finché, in punto di morte, rendendosi conto dell'isolamento al quale ha costretto la moglie Rosetta (Alida Valli) e i figli, elogia la costituzione della cooperativa di pescatori. Il successivo Kapò (1960), scritto con Solinas, ebbe uno strepitoso successo alla Mostra del cinema di Venezia, anche se non mancarono critiche di eccessivo sentimentalismo e spettacolarizzazione, considerati le principali cause della caduta del film sul piano espressivo. Pur tuttavia il film incentrato sulla vicenda di un'adolescente ebrea che prima per la paura di morire tradisce il suo popolo, divenendo una carceriera in un lager nazista, e poi si redime aiutando a costo della vita i prigionieri a fuggire, ebbe il merito di portare sullo schermo italiano la tragedia della Shoah. Per ottenere immagini simili a quelle di un documentario, P. ricavò un interessante impasto visivo controtipando la pellicola: dal negativo originale ricavò un positivo e, quindi, un nuovo negativo, da cui stampò le copie del film. La stessa qualità fotografica fu ricercata in La battaglia di Algeri, in cui P. riuscì per la prima volta a utilizzare un cast di attori non professionisti, a eccezione di Jean Martin (colonnello Mathieu), uno sconosciuto attore di teatro. Con il montaggio brusco del reportage e la musica, firmata insieme a Ennio Morricone, che enfatizza l'andamento ritmico del film, P. suggerisce il percorso che dalla lotta per la liberazione algerina dall'oppressione francese giunge alla presa di coscienza di un popolo. Nell'opera la ruvidezza documentaristica è frutto di un'elaborazione linguistica tesa a restituire la coralità della cronaca immergendola nell'epicità della Storia. Grazie soprattutto a una struttura di montaggio fondata sull'analogia simbolica e sul taglio musicale, P. ottiene una trasfigurazione del dato realistico lontana da ogni mimetismo e tutta risolta dialetticamente nel pathos della forma. Il soggetto del film, pur creando aspre polemiche diplomatiche per la sua visione non 'europeista' della lotta, ebbe il merito di contribuire alla nascita dell'orgoglio nazionale algerino. La critica al colonialismo e il tentativo di analizzarne le origini e le ripercussioni furono portati avanti con Queimada, titolo portoghese con cui la produzione, per non alienarsi un'importante parte del mercato, sostituì quello spagnolo, Quemada, 'la bruciata', scelto come nome dell'immaginaria isola delle Antille in cui è ambientato il film e riferito agli incendi appiccati dai portoghesi per impadronirsene. Sullo sfondo della lotta per l'indipendenza degli indigeni, traspare lo scontro ideologico tra Sir William Walker (Marlon Brando), l'agente segreto inglese inviato intorno al 1840 per fomentare e poi tradire la ribellione della popolazione locale, e José Dolores (Evaristo Marquez), il capo dei rivoluzionari pronto a morire per il suo popolo. Dopo dieci anni e molti progetti non realizzati (tra cui Confino Fiat, scritto e ideato con Solinas), P. diresse Operación Ogro, sull'uccisione di L. Carrero Blanco, primo ministro di Spagna, delfino del generale F. Franco, avvenuta il 20 dicembre 1973, raccontata nel libro di uno dei congiurati. Il risvolto politico del film, la legittimità della continuazione della lotta armata, suscitò molte polemiche, pur se ne venne riconosciuta la qualità tecnica. Nel 1992 P. è stato chiamato a dirigere la Mostra del cinema di Venezia e si è impegnato per i cinque anni della carica a colmare lo scarto tra il cinema 'alto' e quello sperimentale. È stato presidente dell'Ente cinema (attuale Cinecittà Holding) e, dopo quasi vent'anni di inattività registica, ha diretto il cortometraggio Danza della fata Confetto ‒ Nostalgia di protezione, episodio del film collettivo I corti italiani (1997) dal quale trapela un sentimento nostalgico per le magiche feste dell'infanzia, e, insieme ad altri grandi registi del cinema italiano, ha firmato il segmento su Udine del documentario 12 registi per 12 città (1989) e quindi Un altro mondo è possibile (2001), ancora un documentario sugli eventi accaduti a Genova in occasione del G8 del luglio 2001.
M. Ghirelli, Gillo Pontecorvo, Firenze 1979; I. Bignardi, Memorie estorte a uno smemorato: vita di Gillo Pontecorvo, Milano 1999.