Ginnastica
Il termine ginnastica indica genericamente un'attività fisica che tende, mediante una serie ordinata di esercizi, a sviluppare l'apparato muscolare e a dare robustezza e agilità al corpo umano. Dalla fine dell'Ottocento, la ginnastica è diventata materia d'insegnamento nelle scuole italiane, mentre parallelamente si sviluppavano a livello agonistico la ginnastica artistica e, successivamente, quella ritmica e quella aerobica. Quest'ultima è, oggi, largamente diffusa anche come attività ricreativa, volta al mantenimento della condizione fisica e della salute. Gli esercizi ginnici, in particolare quelli della ginnastica artistica sportiva, sono basati sulla forza, sull'agilità e sull'equilibrio, così come lo sono gli esercizi degli artisti di circo; l'atleta tuttavia si distingue nettamente dall'acrobata, perché questo spinge la ricerca dei limiti del corpo fino al punto di mettere a repentaglio la propria vita.
La ginnastica - il cui nome (da γυμνός, "nudo") deriva dalla consuetudine, invalsa in Grecia intorno al 5° secolo a.C., di eseguire determinati esercizi fisici a corpo nudo - fu largamente praticata dai greci, che tuttavia con tale termine non indicavano quello che intendiamo oggi, ossia esercizi a corpo libero e agli attrezzi, bensì esercizi fisici che corrispondono in parte all'atletica leggera (corse, salti, lanci), in parte alla lotta, al pugilato, al pancrazio (disciplina in cui si fondono lotta e pugilato). Molto diffusa nel mondo ellenistico, che vide il moltiplicarsi dei 'ginnasi' in Grecia e in Asia Minore, la ginnastica non incontrò eccessivo favore fra i romani, che privilegiavano l'allenamento fisico in funzione militare, e nel Medioevo, fu soppiantata dagli esercizi con le armi, dall'equitazione e da alcuni giochi acrobatici, riacquistando tuttavia importanza in età umanistica. Con l'eccezione della ginnastica medica, impostata su nozioni più o meno esatte di anatomia e fisiologia, dalla fase di decadenza della ginnastica greca fino al termine del 18° secolo gli esercizi fisici in uso non si basarono generalmente su concezioni scientifiche o sulla conoscenza dei loro effetti sulle funzioni dell'organismo. Solo nel 19° secolo è nata, infatti, la ginnastica moderna intesa come un sistema graduato di esercizi ordinati secondo una progressione logica, fondata sulla conoscenza precisa del valore fisiologico dei singoli movimenti. In quel periodo, fisiologi e igienisti si dedicarono all'attuazione di una ginnastica razionale e scientifica; in particolare F.L. Jahn, che inaugurò a Berlino la prima palestra pubblica, cercò di coordinarne le varie parti, consigliando come fondamentali gli esercizi preparatori alla corsa e al salto e le lunghe marce, e introducendo l'impiego degli attrezzi (cavallo, parallele, sbarra fissa). In contrasto con l'attrezzistica di Jahn, lo svedese P.H. Ling ideò un metodo ginnico che sviluppasse il corpo in modo progressivo. Il metodo di Ling fu introdotto in Germania da A. Spiess: dalla sua fusione con quello di Jahn nacque il sistema Jahn-Spiess, che costituisce la base della moderna ginnastica ritmica. Importante è anche il contributo inglese, a opera soprattutto di T. Arnold, che servì a stabilire le leggi tecniche caratterizzanti la ginnastica moderna, distinguendola dalle violente esibizioni del passato. In Italia, la ginnastica risentì a lungo dell'impostazione iniziale datale da R. Obermann, chiamato a Torino, nel 1833, dal Ministero della Guerra per l'istruzione ginnica degli allievi dell'accademia militare. La cosiddetta ginnastica educativa, introdotta nelle scuole italiane nel 1862 (v. educazione fisica), era intesa come propedeutica al servizio militare e manteneva molte caratteristiche dell'indirizzo conferitole da Obermann. La trasformazione, a livello pratico e concettuale, della ginnastica educativa in educazione fisica, concepita come metodo volto alla formazione del carattere e alla salute del corpo, è avvenuta solo alla fine dell'Ottocento, essenzialmente grazie al fisiologo torinese A. Mosso, il quale riuscì a far inserire i giochi ginnici e lo sport nelle scuole. Già in precedenza, peraltro, si era posta attenzione a distinguere la ginnastica sportiva da quella educativa, escludendo da quest'ultima la pratica dell'acrobatica (ovvero il complesso di esercizi di particolare difficoltà e spettacolarità) nel tentativo di vincere la diffidenza di molte famiglie che consideravano la disciplina ginnica una distrazione e, conseguentemente, controproducente alla concentrazione nello studio, e la ritenevano comunque un'attività pericolosa.
L'acrobatica è parte essenziale della ginnastica artistica sportiva. Oltre a quelli al suolo (corpo libero), quest'ultima prevede esercizi ai grandi attrezzi: cinque per gli uomini (anelli, cavallo, cavallo con maniglie, parallele e sbarra) e tre per le donne (cavallo, parallele asimmetriche e trave). Complessivamente, gli schemi motori superano il migliaio; tale molteplicità deriva dai diversi tipi di appoggio, di posizione del corpo e delle sue variazioni, in relazione anche alla specificità di ogni attrezzo. Gli esercizi si possono distinguere in due gruppi principali: di forza e dinamici. Negli esercizi di forza, il ginnasta deve mantenere il corpo in una determinata posizione per qualche secondo. Normalmente si tratta di posizioni in cui la superficie di appoggio è ridotta ed è quindi necessaria una notevole contrazione muscolare per mantenere l'equilibrio. Negli anelli la difficoltà è accentuata dal fatto che l'attrezzo non offre alcun sostegno stabile all'atleta. La forza muscolare è necessaria anche nella traslocazione, passaggio lento da una posizione statica a un'altra; nei movimenti verso l'alto il corpo deve vincere la forza di gravità, in quelli verso il basso l'atleta deve invece cedere lentamente sotto l'azione della forza di gravità. Gli esercizi dinamici (rotazioni, oscillazioni, slanci), pur avendo la stessa matrice motoria, cambiano notevolmente a seconda della configurazione dell'attrezzo. Sotto il profilo della meccanica, il corpo umano può ruotare attorno ai tre assi principali, giacendo ogni punto sui tre corrispondenti piani: trasversale, sagittale e longitudinale. I movimenti alla sbarra, alle parallele, agli anelli e alle parallele asimmetriche si svolgono per la maggior parte attorno all'asse trasversale, mentre al cavallo con maniglie si sviluppano attorno all'asse longitudinale e sagittale; alcuni esercizi, come gli avvitamenti, prevedono una rotazione sugli assi sia trasversale sia longitudinale. L'asse può essere libero o fisso: per es., negli esercizi alla sbarra, il corpo ruota attorno a un punto fisso passante per le impugnature; nei salti mortali, ruota attorno a un asse libero che passa per il baricentro e si sposta con il corpo stesso.
Oltre alla forza muscolare, sono quindi fondamentali la coordinazione neuromuscolare e il senso di orientamento nello spazio e nel tempo per controllare l'ampiezza, l'intensità e la direzione del gesto, la rapidità di spostamento. Le violente accelerazioni cui è sottoposto il corpo dell'atleta, in particolare quelle in direzione testa-piedi nei volteggi alle parallele e agli anelli, possono interferire con la risposta cardiocircolatoria e indurre un aumento nella frequenza del ritmo cardiaco che, neppure negli intervalli della prova, scende al di sotto dei 100-120 battiti al minuto. Le accelerazioni del corpo ai volteggi sono prodotte dalle forze del vincolo costituito dall'attrezzo e si manifestano all'interno del corpo dell'atleta come sforzi di trazione, che sollecitano particolarmente le giunzioni della spalla e del braccio. Si pensi, a tale proposito, che, agli anelli nel passaggio dalla posizione verticale con i piedi in alto a quella con i piedi in basso, l'aumento delle forze d'inerzia del corpo, bilanciate dalle forze di reazione dell'appoggio, può raggiungere un picco pari a 5-6 volte il peso dell'atleta, pur durando una frazione di tempo di uno o due decimi di secondo. Diversa è, invece, la condizione cui sono sottoposti gli arti inferiori che sono sollecitati, negli esercizi a terra o al cavallo, in modo non eccessivo negli istanti degli slanci e degli atterraggi. Un altro aspetto importante per la ginnastica artistica è la flessibilità articolare, una qualità innata, che deve però essere sviluppata e mantenuta con l'allenamento specifico. La flessibilità articolare dei ginnasti è piuttosto elevata anche rispetto ad atleti che praticano altre discipline sportive; in particolare, è stato misurato che, nei ginnasti, l'angolo completo flessione-estensione dell'anca è del 20% superiore alla media, mentre la flessibilità dell'articolazione della spalla, meno marcata, è paragonabile a quella dei nuotatori (v. Arti superiori, Spalla; Arti inferiori, Anca). Questa parziale limitazione è dovuta al potenziamento della muscolatura locale, necessaria agli atleti dediti alla ginnastica, che, proteggendo la spalla, ne condiziona tuttavia in parte l'ampiezza del movimento.
Le caratteristiche di agilità del ginnasta si evidenziano essenzialmente nei volteggi e negli esercizi aerei. In questi, infatti, il corpo è libero, sottoposto all'unica forza complessiva esterna costituita dal suo peso, potendosi in questo contesto trascurare la resistenza dell'aria in cui avviene il moto. Il centro di massa del corpo dell'atleta esegue in questi casi la traiettoria parabolica propria dei gravi nel campo gravitazionale e, pertanto, nell'intervallo di tempo fra il distacco da terra, o dall'attrezzo, e l'atterraggio, o il contatto con l'appoggio, l'atleta deve programmare la propria corretta evoluzione spaziale. Tutto ciò richiede caratteristiche di grande coordinazione e lo sfruttamento delle compensazioni interne tra i movimenti parziali delle diverse parti corporee. Durante il volo, infatti, si mantiene costante il momento della quantità di moto del corpo dell'atleta, pari al prodotto del suo momento d'inerzia rispetto all'asse di rotazione passante per il centro di massa e la velocità di rotazione. Il rannicchiamento, avvicinando le masse corporee periferiche all'asse di rotazione, riduce il momento d'inerzia con il conseguente aumento della velocità di rotazione e, viceversa, lo stiramento produce una corrispondente diminuzione. Allo stesso modo che nel caso dei tuffi, pertanto, nella ginnastica l'atleta deve staccarsi dall'appoggio avendo impresso al proprio corpo il momento della quantità di moto necessario per permettergli l'esecuzione del volteggio programmato nel tempo prefissato del volo. Per quanto riguarda le caratteristiche antropometriche, il peso corporeo di un ginnasta è mediamente inferiore del 10-15% rispetto a quello di individui di pari età e sesso; la percentuale di grasso corporeo è tra le più basse misurate negli atleti di tutte le diverse discipline sportive: meno dell'8% del peso corporeo per gli uomini e meno del 15% per le donne. La statura dei ginnasti è generalmente inferiore alla media; una bassa statura, infatti, concorre a ridurre il momento di inerzia del corpo. Le atlete che praticano la ginnastica ritmica sono, invece, più longilinee e di statura mediamente più alta.
Nome e fondamento concettuale della ginnastica ritmica derivano dall'euritmica di E. Jaques-Dalcroze, il cui obiettivo originale era però legato non tanto allo sviluppo delle capacità fisiche, quanto alla pedagogia musicale: il fine era quello di educare il senso ritmico attraverso movimenti del corpo corrispondenti alla scansione del ritmo musicale. La ginnastica ritmica sportiva, a metà strada tra danza e ginnastica, è stata sviluppata dal tedesco R. Bode. Dell'euritmica essa conserva la ricerca di movimenti naturali e liberi; l'accento viene infatti posto sulla fluidità e la plasticità dei movimenti più che sulla forza o sull'acrobatica. Si basa su un'alternanza di contrazione e decontrazione muscolare, la cui durata e intensità determinano il ritmo dell'azione. Dal punto di vista fisiologico, la ginnastica ritmica favorisce il controllo dell'attività respiratoria, lo sviluppo della mobilità articolare e della coordinazione neuromuscolare. Gli esercizi vengono eseguiti su base musicale, a corpo libero e con piccoli attrezzi: cerchio, clavette, fune, nastro e palla. Il cerchio è l'attrezzo che maggiormente facilita l'espressione del senso artistico delle ginnaste; gli esercizi con le clavette e con la palla richiedono molto dinamismo e velocità di reazione; per quelli con la fune è importante la forza veloce; infine, gli esercizi con il nastro, che consente un'autonomia relativamente breve, sono molto simili a quelli eseguiti senza attrezzo.
L'aerobica è un'attività fisica ritmica e sostenuta che coinvolge i grandi gruppi muscolari, in particolare quelli delle gambe e del busto, promuovendo le migliori condizioni cardiovascolari e respiratorie. Semplificando al massimo, durante l'attività fisica aerobica le contrazioni ritmiche dei muscoli comprimono i vasi sanguigni, che in tal modo inviano una maggiore quantità di sangue al cuore il quale, a sua volta, si trova a lavorare più energicamente. Come tutti i muscoli, anche il cuore si allena e quando diventa più forte è in grado di pompare una maggiore quantità di sangue ossigenato verso la periferia a tutti gli organi e tessuti, essendo anche capace di fare ciò con un numero minore di contrazioni. Quando si pompa più sangue, più ossigeno viene messo a disposizione per la produzione di energia (v. adattamento: L'adattamento fisiologico). Per esercitarsi in regime aerobico si deve far lavorare il cuore a una frequenza prestabilita, detta frequenza cardiaca di allenamento o training pulse, e mantenerla costante per un minimo di 15-20 minuti. Tale frequenza è individuale e può essere calcolata conoscendo la frequenza cardiaca massima (inversamente proporzionale all'età) e la frequenza cardiaca a riposo del soggetto. Questa tecnica scientifica di condizionamento fisico fu messa a punto, negli anni Sessanta del 20° secolo, dal medico statunitense K. Cooper, che consigliava esercitazioni basate sulla corsa o su esercizi con il cicloergometro. Divulgata come antidoto straordinario alle malattie cardiache e ai disagi dell'invecchiamento, l'attività motoria aerobica ha subito avuto successo in tutto il mondo occidentale ma, alla lunga, si è rivelata alquanto noiosa. Così l'attività aerobica è stata applicata alla ginnastica con esercitazioni di gruppo al ritmo di musica suggerite da J. Sorensen, che per prima tentò di rendere gli esercizi più interessanti e meno faticosi. Questa nuova proposta motoria aerobica si è tuttavia dimostrata incongruente con i principi fisiologici dai quali si era partiti. Risulta infatti impossibile per individui diversi, che si esercitano insieme eseguendo lo stesso esercizio muscolare allo medesimo ritmo musicale, mantenere ciascuno il proprio training pulse. Lavorare al di sotto del training pulse non è sufficiente a stimolare il meccanismo aerobico, mentre eccedere oltre tale limite può portare a un sovraffaticamento tanto inutile quanto dannoso per l'organismo. Tali osservazioni hanno portato a una personalizzazione dell'attività e alla creazione di vari livelli di impegno fisico. Gli esercizi, eseguiti a corpo libero in forma molto ritmata, normalmente su base musicale, sono strutturati in modo tale da richiedere un impegno organico progressivamente crescente. Sia nella ginnastica aerobica tradizionale, sia in quella più moderna (step, spinning, funky ecc.), i movimenti sono aciclici, stereotipati e coinvolgono tutte le parti del corpo. Vengono fortemente sollecitate anche la componente coordinativa della rapidità e la flessibilità con movimenti di ampia escursione articolare.
'Salto mortale' è la locuzione che riassume bene ciò che distingue l'acrobata dall'atleta: il primo sfida i limiti del corpo e finanche la morte. Quello dell'acrobata è infatti un tipo di 'atletismo' del tutto particolare: un'acrobatica che viene eseguita e condotta a scopo spettacolare; il suo estremo virtuosisimo e il duro addestramento di cui è il risultato la escludono, di regola, dalle pratiche e dalle discipline sportive. È per raggiungere un'eccellenza straordinaria nello spettacolo, infatti, che lo sforzo dell'atleta e la pericolosità del cimento vengono esasperati dall'acrobata. Nel gusto che provano gli spettatori è non di rado compreso il 'piacere acre' per il pericolo altrui. Tipici della tradizione del circo, gli esercizi di acrobatica si dividono in tre categorie: esercizi a terra, esercizi agli attrezzi, esercizi icariani. Gli esercizi a terra, che comprendono giochi di forza e di equilibrio con salti, piramidi umane e sollevamenti di una o più persone, includono anche i numeri degli antipodisti, a metà tra acrobati e giocolieri, e quelli dei contorsionisti, che però appartengono a una diversa famiglia di virtuosi delle prestazioni corporee e si distinguono anche nel rischio cui si sottopongono: non l'immediatezza della caduta, ma il dolore della distorsione e la perdita progressiva del tono muscolare. Gli esercizi agli attrezzi sono quelli che si eseguono con pertiche o scale tenute in equilibrio, pedane elastiche e trampolini che permettono elaborati volteggi nell'aria e inoltre quei prodigi di equilibrio in cui l'acrobata si tiene in verticale a testa in giù poggiandosi sul collo di una bottiglia o su un'asta, in equilibrio a sua volta su una piramide pericolante di oggetti. Gli esercizi icariani sono quelli agli anelli e alla sbarra, che culminano nei voli dei trapezisti e negli spettacoli dei grandi funamboli, soprattutto quando attraversano nell'aria gli spazi urbani. Lo spettacolo acrobatico è una delle costanti del divertimento umano; lo si ritrova nell'antico Egitto, in Asia, in Africa e nell'America preispanica. In Europa, acrobati, funamboli e contorsionisti si esibivano nelle corti, nelle fiere, nelle piazze e, a partire dal 18° secolo, nei teatri dedicati esclusivamente a loro e alle pantomime.
La tecnologia mutuata dai luna park ha portato poi a nuove acrobazie, prima fra tutte il cerchio della morte. Nella parte discendente di una pista verticale ad anello un ciclista o un motociclista accumula la velocità necessaria a compiere l'intero giro e la forza centrifuga gli permette di aderire alla parte superiore della pista, che dovrà essere percorsa a testa in giù. A volte, l'arco superiore della pista non c'è proprio ed è solo la velocità acquisita a mantenere l'acrobata nell'orbita. Se la velocità non è sufficiente, egli precipita. Un altro numero si basa sullo stesso principio applicato all'inverso: su una pedana senza protezioni, che gira vorticosamente, un ciclista pedala energicamente verso il centro, contrastando la forza centrifuga che lo attira verso il bordo e rischia di proiettarlo nel vuoto. Anche le imprese dell'alpinismo, lo sci acrobatico, i tuffi pericolosi, le figure in volo con il paracadute, le immersioni al limite delle capacità, le navigazioni solitarie e, in generale, tutti i cosiddetti sport estremi, assumono un carattere non dissimile dallo spettacolo acrobatico, sia per l'eccezionale virtuosismo delle prestazioni sia per il fascino che esercitano sul pubblico. Queste imprese non possono essere viste direttamente; sono fatte per essere riprese e trasmesse successivamente, di solito dalla televisione, che attualmente offre all'acrobata spazi nuovi, garantendogli un pubblico infinito. La soglia del rischio è quella che distingue lo spettacolo acrobatico dagli esercizi acrobatici compresi in generi spettacolari diversi. Una sequenza di numeri acrobatici segue una linea di sviluppo in continua ascesa; all'inizio i numeri sono sorprendenti per lo spettatore ma relativamente facili per l'esecutore, e diventano via via più difficili fino al confronto con il fallimento: l'ultimo numero rappresenta spesso una soglia che a volte viene varcata, altre volte no. Si parte quindi dalla forma spettacolare per raggiungere la forma agonistica, con tentativi di battere un primato personale o assoluto. Ma, a differenza di quello atletico, è un agonismo sempre in vista del pericolo. Non è però solo il pericolo a tendere l'attenzione e a immobilizzare lo spettatore, è anche la contemplazione di una fisicità trascendente l'esperienza quotidiana, quasi un trionfo dell'essere umano sul peso e la meccanicità della propria normale esistenza.
Dizionario dello sport, a cura di E. Enrile, Roma, Edizioni Paoline, 1977.
P. Ferrara, L'Italia in palestra, Roma, La Meridiana, 1992.
F. Saibene, B. Rossi, G. Cortili, Fisiologia e psicologia dello sport, Milano, Mondadori, 1986.