BONICHI, Gino (più noto con lo pseudonimo di Scipione, usato per la prima volta nel 1927 in occasione di una esposizione all'Opera cardinal Ferrari a Milano)
Nacque a Macerata il 25 febbr. 1904. Mafai (1933) ce lo descrive, in età di quindici anni, "alto, bello, con lineamenti da Sigfrido... la personificazione della salute". Nonostante questo fisico atletico, la sua salute fu compromessa da una pleurite. Ricoverato nel 1919 in sanatorio, parve guarito. Poté dedicarsi così allo studio dell'arte, frequentando a Roma la scuola libera del nudo dell'Accademia, poi studiando e disegnando nelle biblioteche, nei musei, nelle gallerie, con illimitata curiosità intellettuale.
Negli anni più difficili della formazione artistica, la personalità del B. si andava affermando, tra i giovani pittori e scultori dell'ambiente romano, già matura nelle scelte degli antichi e dei moderni. Furono per primi i poeti, da Ungaretti a Sinisgalli e a De Libero, a orientare i futuri rappresentanti della "scuola romana" verso le espressioni più libere e raffinate dell'avanguardia europea nella letteratura, nella poesia, nelle arti figurative. E letterati e poeti furono sempre gl'ispiratori e gli amici di Scipione e dei suoi fedelissimi Mafai e Mazzacurati.
Nel 1927 il B. espose, per la prima volta, nella galleria di A. G. Bragaglia; poi, nel 1928, con G. Ceracchini, M. Mafai, F. A. Di Cocco e G. Capogrossi, al Circolo di Roma.
Contemplazione (1927; già coll. Della Ragione, Genova) fu giudicato da Mafai come una prova dei progressi compiuti dall'artista. E il quadro è un punto di partenza ancora incerto. Altrettanto incerto è il Pranzo del lupo di mare (Roma, coll. G. De Blasio), esposto nel 1929 alla Mostra d'arte marinara a Roma. Nell'estate del 1929 andò a Collepardo, un paese della Ciociaria. La sua salute sembrava aver ripreso miracolosamente. Purtroppo non doveva essere così, anche se dall'autunno 1929 all'autunno 1930 il B. dipinse e disegnò senza soste, faticando, penando, spinto dall'urgenza angosciosa di rivelarsi e di esprimersi compiutamente, come se la volontà quasi disperata di vivere avesse vinto il male insidioso. Il B., entusiasta, sensuale, consumò in quel breve periodo la propria esperienza d'arte e la sua stessa vita, creando le opere più note: dal Risveglio della sirena (1929; Torino, coll. L. Carluccio) e dalla Natura morta coltubino (1929; Venezia, coll. privata) al Principe cattolico (1929; propr. Vittorio De Sica) e alla Meticcia (1929; Milano, Gall. Comunale d'arte moderna); dai famosi paesaggi romani come Il ponte degli Angeli (1930; Torino, propr. Pinottini), PiazzaNavona (1930; Roma, propr. Bottai), Piazza San Giovanni in Laterano (1930; Milano, coll. R. Jucker) agli studi (1929; Genova, coll. A. Della Ragione, e Milano, coll. G. Mattioli) per i ritratti del Cardinal decano (1929; Milano, coll. G. Mattioli, e 1930; Roma, Galleria Comunale d'arte moderna), all'Apocalisse (1930; Torino, Civica galleria d'arte moderna); agli Uomini che si voltano (1930; Roma, Galleria naz. d'arte moderna), alla Cortigiana romana (1930; Milano, coll. G. Mattioli). Non si può negare che da alcune scelte intellettuali sono nati certi aspetti del mondo fantastico del B., come nell'Apocalisse, negli Uomini che si voltano, nel Profeta in vista di Gerusalemme (Roma, coll. L. De Luca), e certi, elementi simbolici, ben evidenti nel Cardinal decano, nel Principe cattolico, nella Cortigiana, in Piazza Navona, nel Ponte degli Angeli.
Tuttavia non è da trascurare la componente più schiettamente figurativa della sua formazione.
Il B. aveva studiato a fondo il ritratto di Innocenzo X del Velázquez della galleria Doria Pamphilj, il Greco della galleria Corsini, certe pitture del Caravaggio, del Magnasco, del Tiepolo, le architetture del Bernini e del Borromini; ma la sua cultura visiva si era fatta, per lo più, sulle riproduzioni e sui libri o sulle stampe della Calcografia Nazionale. E le sue predilezioni andavano da Goya a Daumier, da Piranesi a Ingres, da Picasso a Soutine, da Pascin a Rouault, cioè sempre nella direzione di un forte carattere grafico e pittorico. Ma gli piacevano anche, come ricorda il Sinisgalli (1944), le tavole di Doré e di Alberto Martini, che evocavano immagini favolose e irreali, ispirate dalla letteratura romantica antica e moderna. La scelta, in tali casi, obbediva agli impulsi meno controllati e più eclettici.
Accanto alle risorse di una natura singolarmente dotata, Scipione non ebbe, come osserva il Sinisgalli (1945, p. 5), "la salute necessaria per vincere l'eccesso di vizio intellettuale". E questo eccesso di "vizio" era costituito dalle disparate letture e dal gusto per certo simbolismo pittorico che aggravava di significati surreali un mondo fantastico spesso allucinato e stravolto.
C'era nel B. il dualismo tra il piacere desiderato, e cercato fino nelle femmine più abiette, e l'ardore spirituale che lo divorava, facendogli così sentire sempre più il peso del peccato e la necessità di un superamento purificatore. Questo suo particolare tipo di religiosità era per di più avvelenato dall'incubo superstizioso della profezia, fattagli a Collepardo da un frate spagnolo, che egli sarebbe morto prima dei trent'anni. Questa profezia, ribaditagli di tanto in tanto dal frate, finì col determinare nel B. uno stato di angoscia senza tregua.
L'amore per il Greco nasceva in lui dalla ricerca di "una personalità forte, vera in senso assoluto di ogni tempo", e nell'arte del Greco egli vedeva se stesso, l'immagine più misteriosa e oscura della sua fantasia di cattolico della Controriforma (v. Scipione e il Greco, in Primato, II [1941], 23, p. 19; o in Cartesegrete, 1943, pp. 25-27). Il carattere "barocco" delle visioni cattoliche del B. si manifesta col medesimo processo espressivo, da lui attribuito al Greco: si determina in una specie di atmosfera apocalittica, dai rossi bagliori soffocati e dalle morbide penombre, secondo i procedimenti e le ricette degli antichi. Scipione parlava di "droga" pittorica, alludendo agli effetti ottenuti con le mischianze e con le velature dell'arte di museo.
La "droga", così intesa, rende la pittura di Scipione più originale e più distaccata dal suo tempo. Le letture, dalla Bibbia ai Canti di Lautréamont, gli aprivano nuovi orizzonti-morali e poetici, in un costante approfondimento del mondo interiore, al di fuori di ogni capriccio intellettuale.
I disegni per l'Italia letteraria del 1931 (Le novità di Parigi, Al vero surrealismo, I poetiermetici), ispirati alla frequentazione degli scrittori, erano ironici, eleganti, spiritosi, ma troppo vicini, alle illustrazioni dei giornali letterari parigini. I veri disegni del B. erano quelli di studio per la maschera buddistica del Cardinal decano, da vivo e, poi, steso sul letto funebre; erano gli schizzi per gli altri quadri, fatti e da fare, dominati sempre dalla presenza della corruzione e del disfacimento, del vizio e della morte. I disegni sono la testimonianza più sincera dell'arte del B. e ne fanno nei momenti più felici un vero virtuoso della linea pura (Bucarelli, 1954, p. 21; Marchiori, 1944; I 12 mesi di Scipione, Venezia 1942). Intanto, con la mostra del 1930, assieme a Mafai, alla Galleria d'arte di Roma e con le partecipazioni alla XVII Biennale di Venezia, e, nel 1931, alla Quadriennale romana, il nome di Scipione si era fatto conoscere fuori della cerchia degli scrittori e degli artisti del caffè Aragno o dei giovani pittori e poeti, compagni d'interminabili vagabondaggi notturni, che gli leggevano Góngora e Mallarmé.
Nella primavera del 1931 il B. ricadde malato, consumato dalla frenetica attività di un anno. Da allora non poté più dipingere. "Tutte le forze della sua intelligenza e della sua volontà che erano servite alla sua arte, ora s'impegnavano per potersi salvare" (Mafai, 1933). Volontà di salvezza, per amor della vita e per il terrore di dover morire nel peccato, in una continua alternativa di speranze e di cadute: questo il tema dominante delle note di diario, delle poesie e delle lettere, che sostituivano i disegni e le pitture. Le sue parole assumono il tono di una invocazione e di una preghiera (Le civette gridano).
Nel nov. 1931 entrò in sanatorio ad Arco, dove rimase, con qualche intervallo romano (e talora anche a Roma soggiornava in un sanatorio), fino alla morte.
Degli ultimi mesi, intensamente vissuti, prima del ricovero ad Arco, gli erano rimasti il ricordo nostalgico e anche una grande impazienza di lavorare: disegnava quindi fogli e fogli con idee per quadri futuri. Ma, ormai stanco, chiuso nella sua stanza di malato, si dedicava alla lettura di s. Giovanni della Croce, delle Meditazioni dei Santi, del Vangelo, della Bibbia, e soprattutto dell'Apocalisse. Le lettere dirette a un religioso, a De Libero, a Mazzacurati, a Mafai, a Falqui, al fratello Goffredo rappresentano una ricapitolazione della sua vita e, nel medesimo tempo, un diario drammatico della sua tormentata esistenza (v. Carte segrete).
Il 9 nov. 1933 il B. moriva in Arco.
Le mostre retrospettive, alla XXIV Biennale di Venezia del 1948 e alla Galleria nazionale d'arte moderna di Roma nel 1954, servirono a determinare la posizione storica del B. nel quadro dell'arte italiana moderna e nell'ambito particolare di quella "scuola romana", che da lui ebbe inizio, con Mafai e con Antonietta Raphaël Mafai, in antitesi con il carattere e conlo spirito del "Novecento" italiano.
Scritti: Le civette gridano, nove poesie precedute da Ultima preghiera e da una presentazione di E. Falqui, Milano 1938; Carte segrete, a cura di E. Falqui, Milano 1942; Carte segrete, a cura di E. Falqui, Firenze 1943.Scritti del B. sono stati pubblicati postumi in: E. Falqui, Vita e leggenda di Scipione, in Le tre arti, Milano 1946, marzo-aprile; Id., Vita dolorosa del pittore Scipione, in L'Illustraz. ital., novembre 1951, pp. 46 s., 86; La fiera letteraria, 6 dic. 1953.
Bibl.: Sino al 1939, v. G. Marchiori, Scipione, Milano 1939; v. anche: L. De Libero, '800 e 1900 a Roma. La tradizione, Mafai e Scipione, in Belvedere, aprile 1930; In morte di Scipione (scritti di E. Falqui, M. Mafai, C. E. Oppo, Neppi, G. Bellonci, C. Pavolini, M. Biancale), in L'Italia letteraria, 19 nov. 1933;C. E. Oppo, Il pittore Scipione [1934], in Forme e colori nel mondo, Lanciano 1938, pp. 317-323; L. Vitali, G. B. [1935], in Preferenze, Milano 1950, pp. 127-137;G. Marchiori, Disegnidi Scipione, Bergamo 1944;L. Sinisgalli, Saggio su Scipione [1944], in Furor Mathematicus, Milano 1950, pp. 228-250; Id., Scipione, in Aretusa, II (1945), sett., pp. 1-17;U. Apollonio, Scipione, Venezia 1945;M. Masciotta, Scipione, in Arte ital. del nostro tempo, a cura di S. Cairola Bergamo, 1946, pp. 88 s., tavv. ccl-cclv; C. Brandi, Europeismo e autonomia di cultura nella pittura moderna, in L'immagine, I (1947), 3, p. 141; C. Maltese, in XXIVBiennale di Venezia (catal.), Venezia 1948, pp. 138-141; Id., Scipione…, in Emporium, CVIII (1648), pp. 73-78;R. Carrieri, Pitt. e scultura ital. d'avanguardia, Milano 1950, pp. 222-226; U. Avollonio, Pitt. ital. moderna, Venezia 1950, pp. 123-132; Scipione (scrittidi E. Falqui, R. M. De Angelis), in La fiera lett., 6 dic. 1953; M. Mafai, I ricordi, in L. Sinisgalli, Pittori che scrivono, Milano 1954, pp. 147-152;P. Bucarelli, Mostra di Scipione (catal.), Roma 1954;Id., Le pitture di Scipione, in Scritti di storia dell'arte in onore di L. Venturi, II, Roma 1956, pp. 223-238;G. Ballo, Pittori italiani dal futurismo a oggi, Roma 1956, passim; R. Modesti, Pittura ital. contemporanea, Milano 1958, pp. 101-104; G. Mazzariol, Pittura ital.contemporanea, Bergamo 1958, pp. 71-78; G. Castelfranco-D. Durbè, La scuola romana..., Roma 1960, pp. 9-11, 41 s.; G. Marussi, Mostra di Scipione (catal. della mostra a Biella), Torino 1963 (con bibl. aggiornata); G. V., in Arte moderna in Italia, 1915-1935(catal.), Firenze 1967, pp. LIX s., 410-412; H. Vollmer, Künstlerlexikon des XX. Jahrh.s, I, p. 262(sub voce Bonichi); IV, p. 246(sub voce Scipione).