Cervi, Gino (propr. Luigi)
Attore cinematografico e teatrale, nato a Bologna il 3 maggio 1901 e morto a Punta Ala (Grosseto) il 3 gennaio 1974. Appassionato di teatro, formatosi nell'ambiente delle filodrammatiche bolognesi di cui calcò giovanissimo le scene, ha incarnato agli occhi della critica la moderna espressione dello spirito pigro e bonario delle maschere cittadine, nonché l'erede dei grandi attori petroniani, come per es. Ermete Zacconi, cui lo avvicinava la presenza scenica e la dizione sapida e corposa. Caratteristica della sua carriera fu l'intreccio costante, dagli anni Trenta in poi, tra teatro e cinema, le cui esperienze si influenzarono a vicenda divenendo evidenti nelle sue interpretazioni. Nel cinema lavorò molto intensamente, ma fu soprattutto il regista Alessandro Blasetti che ne seppe potenziare le doti espressive, evidenziandone il talento. Conquistò successivamente una grande popolarità nella parte di Peppone accanto a Fernandel nella serie Don Camillo. Nel 1953 gli venne conferito il Nastro d'argento "per il complesso delle sue interpretazioni".Figlio del critico teatrale Antonio (1862-1923), C. poté acquistare in famiglia una notevole cultura teatrale, iniziando a coltivare un'intensa passione per le scene. Ostacolato dal padre, che non approvava questa inclinazione, C. ebbe l'occasione di recitare, negli anni del liceo, nelle filodrammatiche bolognesi del Cantagalli e degli Impiegati civili. Fece il suo esordio in una compagnia locale nel 1919 in un ruolo secondario, ma fu poi assorbito dagli studi universitari e dall'impegno politico con il fascismo nascente, partecipando anche, nel 1922, alla Marcia su Roma (Leonelli 1940, p. 232). Dopo la morte del padre, decise di recitare come professionista nella compagnia di Alda Borelli, grazie alla quale riuscì a colmare le lacune della sua preparazione di autodidatta e ad affrontare il ruolo di attore giovane nella Vergine folle di M. Bataille al teatro Quirino di Roma (1924), dove ebbe modo di far notare la cordiale compostezza della sua presenza scenica e di esprimere le doti di interprete ironico e misurato. Con la compagnia del Teatro di Roma, diretta da L. Pirandello, si cimentò con testi di M. Bontempelli, A. Schnitzler, N.N. Evreinov, e interpretò "insuperabilmente", a detta dell'autore, il ruolo del figlio in Sei personaggi in cerca d'autore dello stesso Pirandello. Per una decina d'anni recitò nelle compagnie di L. Picasso, di A. Bertone e di A. Melato, ricoprendo ruoli impegnativi e meno complessi, per poi formare ditta, per una sola stagione (1936-37), con Sergio Tofano, presentando un repertorio eclettico e prevalentemente d'evasione, che ottenne proprio per questo un sicuro successo. La compagnia si sciolse un anno dopo. La seduzione del cinema aveva indotto i due giovani primi attori (C. e Sergio Tofano) a lasciare il teatro per rappresentare sullo schermo i personaggi delle loro interpretazioni. Lo stile sobrio di C. e il suo aspetto 'borghese' lo rendevano adatto alla commedia cinematografica del tempo in cui poteva esprimere le sue doti di comunicativa e di umorismo. Dopo l'esordio del 1932 ‒ una breve apparizione in L'Armata azzurra di Gennaro Righelli insieme a Paolo Stoppa ‒ e una serie di film di scarso rilievo, C. trovò in Blasetti il regista capace di utilizzare appieno le sue possibilità, nel tentativo di spezzare la retorica del ventennio fascista. Le tre opere in cui si concretizzò, nell'anteguerra, questa collaborazione (Aldebaran, 1935, in cui C. venne impiegato come attor giovane; Ettore Fieramosca, 1938, e Un'avventura di Salvator Rosa, 1939) sono tra le poche prove decorose nella produzione vasta quanto scadente del regime. L'esperienza cinematografica influì positivamente sulla recitazione di C. che, tornato al teatro di prosa (con la compagnia del Teatro Eliseo, fino al 1942), riuscì a portare sulla scena la pacata sicurezza e la fantasia delle sue interpretazioni cinematografiche. Ma l'abitudine a creare per lo schermo personaggi semplici e bonari, che ben gli si adattavano, indusse C. a trasformare anche a teatro i suoi ruoli, spesso a prezzo di inevitabili semplificazioni, per metterne in evidenza sostanzialmente le qualità. In tal modo definì uno stile interpretativo che evitava le sottigliezze introspettive e offriva l'immagine di una umanità positiva. Nel 1940, alternò ancora una volta teatro e cinema perseguendo il successo sullo schermo con La peccatrice di Amleto Palermi, in cui interpretò il ruolo del meticoloso e arido impiegato; seguirono La corona di ferro (1941) di Blasetti e, per la stessa regia, nel 1942, Quattro passi tra le nuvole con Adriana Benetti, in cui C. "trovò le più felici espressioni della sua carriera cinematografica" (Pietrangeli 1943, p. 32) nel delineare l'infelice commesso viaggiatore in crisi coniugale che, spinto da commozione, accetta di fingere la parte del marito di una ragazza incinta, incontrata per caso, presso la sua famiglia. Tornò alle scene nel 1945 affrontando, nella ricostituita compagnia del Teatro Eliseo, testi di J. Cocteau, J. Giraudoux e G.B. Shaw, per poi riprendere il cinema, dove, escluso dall'esperienza neorealista, nonostante ne fosse stato in qualche modo precursore con Quattro passi tra le nuvole, venne relegato per lo più in commedie o film d'ambientazione storica o in costume (da Le miserie del signor Travet, 1945, di Mario Soldati, a I miserabili, 1948, di Riccardo Freda, da Fabiola di Blasetti, a Guglielmo Tell di Giorgio Pàstina, entrambi del 1949). In una nuova parentesi cinematografica, dopo un periodo di compagnia con Andreina Pagnani (1949-1951), si affidò a scelte occasionali e poco significative, se si eccettua La signora senza camelie (1953) di Michelangelo Antonioni, in cui C., accanto a Lucia Bosè, interpreta un personaggio senz'altro più complesso dei consueti, e Don Camillo (dal romanzo di G. Guareschi) del 1952, per la regia di Julien Duvivier, noto in Francia con il titolo Le petit monde de Don Camillo, che inaugurò la fortunata serie di Peppone e don Camillo: Il ritorno di Don Camillo (1953), dello stesso regista, noto in Francia con il titolo Le retour del Don Camillo; Don Camillo e l'onorevole Peppone (1955) e Don Camillo monsignore… ma non troppo (1961), entrambi di Carmine Gallone; Il compagno don Camillo (1965) di Luigi Comencini; Don Camillo e i giovani d'oggi (1972) di Mario Camerini. In coppia con Fernandel, che interpretava don Camillo, un deciso e sfrontato prete emiliano, C. seppe delineare in Peppone, sindaco comunista, sanguigno, iracondo, violento, dai modi piuttosto rozzi ma pieno di grande umanità, un personaggio che gli si adattava perfettamente, tanto da fargli ottenere grande popolarità e riconoscimenti. A livello teatrale dal 1953 in poi si ascrivono le sue grandi interpretazioni di Cirano di Bergerac. Dal 1964 al 1972, la sua carriera si arricchì dell'interpretazione televisiva del commissario Maigret: il personaggio, che contava precedenti famosi come Jean Gabin e Charles Laughton, fu però una creazione originale di C. che seppe farne un tipico antieroe modesto e casalingo. La lentezza della ripresa caratteristica del mezzo televisivo gli permise di dare, in infiniti virtuosismi, il meglio del suo stile pacato e riflessivo.Come doppiatore, C. offrì la sua voce agli eroi shakespeariani interpretati da Laurence Olivier. Nel 1965 C. aveva scritto una sua testimonianza su L'importanza dell'attore. Il figlio Antonio (1929-2002) scelse la carriera di regista, la nipote Valentina quella di attrice.
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S. Bolchi, Gino Cervi. Attore antieroico, in "Sipario", luglio 1950, pp. 13-16.
G.C. Castello, Cervi Gino, in Enciclopedia dello spettacolo, 3° vol., Roma 1954, ad vocem.
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