GINORI LISCI, Leopoldo Carlo
Nacque a Firenze il 9 ag. 1788 da Lorenzo Ginori e da Maria Francesca, unica figlia del balì Benedetto Lisci di Volterra. Alla morte del marito, avvenuta nel 1791, costei ebbe in cura l'amministrazione dell'ingente patrimonio familiare, che consisteva di beni fondiari e mobiliari nonché della importante fabbrica di porcellane di Doccia, sorta per iniziativa di Carlo Ginori nel 1737 e arrivata a contare sul finire del secolo un centinaio di dipendenti. La gestione tutoria ebbe termine nel 1806, quando il G., che era stato educato a Volterra nel collegio dei padri delle Scuole pie, compì 18 anni e si dedicò subito con grande cura all'amministrazione delle ricchezze di famiglia, cercando in primo luogo di ottenere dal governo francese una riduzione degli alti dazi imposti sulle porcellane di produzione straniera.
Intorno al 1811-12, quando il governo napoleonico iniziò la vendita massiccia di beni ex ecclesiastici, il G. sfruttò l'elevata disponibilità di denaro assicuratagli dalla recente eredità non tanto per partecipare all'acquisto di terre, quanto per intraprendere un'intensa attività creditizia come prestatore di soldi a nobili e affaristi. Il suo patrimonio conobbe infine un notevole incremento nel 1814, allorché egli, dopo aver acconsentito ad aggiungere il cognome Lisci al proprio, ereditò una grossa somma dal nonno materno e i possedimenti che questi aveva nella Maremma volterrana. Non stupisce perciò che durante il periodo napoleonico il suo nome figurasse nell'elenco dei cento cittadini "plus imposés" di Firenze né che egli fosse chiamato a ricoprire cariche di corte, come quella di ciambellano a cui venne nominato da Elisa Baciocchi nel 1808, o incarichi politici come quello di presidente dell'assemblea del Cantone di Firenze, per il quale venne scelto nel 1812.
Nel 1810 il G. si recò a Parigi, primo di una serie di lunghi viaggi all'estero che servirono sia per completarne la formazione culturale, sia per approfondire le sue cognizioni tecniche nel settore della ceramica. Fu così a Sèvres, dove conobbe A. Brongniart, direttore tecnico della locale manifattura e vero maestro nella fabbricazione delle porcellane, e poi in Inghilterra, Germania, Austria. Nel 1811 fu a Napoli, dove ottenne dalla Corona la facoltà di poter riprodurre tutti gli oggetti della fabbrica di Capodimonte col diritto di uso della marca originale. Fra il 1816 e il 1818 mise a frutto le competenze acquisite nel corso di questi viaggi progettando e realizzando a Doccia il primo esempio di fornace "composta", una fornace cioè che si articolava su quattro piani e permetteva la cottura contemporanea di diversi tipi di ceramica: dai pezzi in porcellana, la cui vernice richiedeva molto calore, alle maioliche e alle terraglie che invece cuocevano a temperature più basse. Denominata fornace italiana, essa restò in funzione fino al 1866 e molto contribuì alla modernizzazione produttiva della manifattura fiorentina. Non fu questo però l'unico intervento attraverso il quale il G. cercò di migliorare il rendimento della fabbrica: membro dal 1818 dell'Accademia dei Georgofili, indubbiamente risentì delle discussioni lì svoltesi sul problema dell'educazione e dell'assistenza ai ceti popolari, essendone indotto a circondare la fabbrica con un complesso sistema di istituzioni assistenziali e ricreative, il cui fine, nel quadro di una ideologia paternalistica e illuminata, era quello di legare stabilmente all'azienda una manodopera qualificata e poco incline alla conflittualità sociale. Al pari di altri imprenditori toscani del periodo, come i Cini e i Larderel, il G. fece perciò costruire un gruppo di alloggi per i lavoratori, istituì una scuola elementare diretta da un sacerdote e destinata ai figli maschi dei dipendenti, promosse corsi di disegno e di formazione tecnica che venivano svolti all'interno della manifattura, allestì uno spaccio di generi alimentari, fondò una biblioteca circolante e una banda musicale. La tappa più significativa nella costruzione di questo insieme di istituzioni filantropiche si ebbe nel 1829 con la nascita della Società di mutuo soccorso fra gli operai della fabbrica di Doccia, che vide l'adesione di 134 lavoratori e che da allora in poi fu al centro delle attenzioni del G. e dei suoi successori alla guida dell'azienda.
Nel 1821 il G. sposò Marianna, figlia del marchese Paolo Garzoni Venturi, che gli portò in dote un patrimonio di circa 300.000 scudi. Ciò gli permise un'ulteriore diversificazione degli investimenti che fece di lui una figura indubbiamente anomala nell'ambito dell'aristocrazia e della proprietà fondiaria granducali.
Ebbe quote azionarie nella società Errera di Livorno, nell'Istituto di mutuo insegnamento, nella Cassa di sconto di Roma, dove nel 1826 investì 545 scudi, e soprattutto nella Banca di sconto di Firenze, alla cui nascita partecipò attivamente nel 1827, sottoscrivendo 20 azioni, divenute 26 nel 1830. In questi anni ebbe molti riconoscimenti da parte della dinastia lorenese, e non si trattò solo del conferimento di titoli onorifici, come quello di cavaliere di gran croce dell'Ordine di S. Giuseppe che ottenne da Ferdinando III: nel 1821 per esempio lo stesso granduca lo inviò in missione a Dresda per trattare il suo matrimonio con la principessa Maria Ferdinanda di Sassonia; nel 1826 invece Leopoldo II lo incaricò di visitare le dieci signorie dei Lorena in Boemia e con rescritto del marzo 1828 gliene affidò l'amministrazione. Ne conseguì una attenta opera di riordinamento che accrebbe notevolmente la rendita di questi possedimenti. Con l'ascesa al trono di Toscana di Leopoldo II (1824), il G. era stato chiamato inoltre a ricoprire numerose cariche di corte: ciambellano, cacciatore maggiore, presidente della deputazione sulla nobiltà, oltre che consigliere intimo del granduca per gli affari di finanze e di guerra.
In tale veste si trovò a dover esaminare progetti e proposte di privati per la realizzazione di ponti, strade e altre opere pubbliche e alcuni ne elaborò egli stesso: per esempio, fra il 1824 e il 1825, propose al governo granducale di allargare il canale navigabile che collegava Pisa a Livorno, di costruire una strada da Capannoli a Volterra, di erigere a Pisa un ponte sospeso sull'Arno. Si occupò poi di questioni politico-militari, caldeggiando la costruzione di nuove piazzeforti e di una strada militare da Rimini a Pietrasanta e consigliando al granduca, per rendere meglio difendibile il territorio dello Stato, di accelerare l'annessione di Lucca alla Toscana e di aumentare gli effettivi delle forze armate. Il suo progetto più interessante fu tuttavia quello riguardante la realizzazione di una strada ferrata tra Firenze e Livorno lungo il corso dell'Arno, che egli sottopose all'approvazione del principe il 25 ott. 1826. Il progetto, in assoluto uno fra i primi presentati in netto anticipo sui tempi in uno Stato italiano, gettò scompiglio e imbarazzo anche nelle menti più aperte della corte e del notabilato toscano, che ne rifiutarono l'attuazione ritenendo la nuova linea potenzialmente sovvertitrice dell'ordine economico e politico del paese. Rilanciato dieci anni dopo su basi non molto dissimili da quelle proposte dal G., il progetto realizzò il primo tronco della ferrovia che collegava Livorno a Pisa, aperto al pubblico nel 1844.
Venutosi a trovare spesso in contrasto col granduca e con alcuni dei suoi più stretti consiglieri, che nel 1825 respinsero anche la sua proposta di redigere un atlante amministrativo del Granducato, il G. decise infine di rinunciare a ogni attività pubblica per ritirarsi a vita privata (1833). Negli anni successivi si dedicò alla gestione dell'azienda familiare, della quale curò l'incremento conservandone però le caratteristiche di stabilimento destinato a una produzione di qualità elevata.
Con pari attenzione seguì l'amministrazione del patrimonio fondiario, che intorno al 1830 aveva dimensioni davvero vaste: si pensi che le sue proprietà si estendevano su una superficie complessiva di 13.557 quadrati toscani (un quadrato equivaleva a 3406 m2), e che si collocavano in ordine di grandezza al quarto posto nel Granducato dietro quelle del principe N. Corsini, del conte Della Gherardesca e del marchese L. Panciatichi. Con cura particolare egli guardò alle terre della Maremma, assecondando i lavori di bonifica promossi da Leopoldo II e adoperandosi per migliorare il sistema viario. Costruì fra l'altro un ponte sul fiume Cecina, all'inizio della sua tenuta di Querceto, che nel 1835 destinò a uso pubblico. Fece inoltre deviare le acque del fiume per ricavarne un canale che andò ad alimentare diversi mulini e che, in prospettiva, doveva fornire la forza motrice ad alcuni stabilimenti industriali che egli aveva in animo di edificare.
Morì a Firenze il 18 marzo 1837 senza riuscire a portare a compimento il suo ultimo progetto: una nuova strada che doveva staccarsi dal ponte sulla Cecina, attraversare i suoi possedimenti fino al castello di Bibbona e congiungersi con la via Emilia.
Fonti e Bibl.: L'Archivio Ginori Lisci si conserva a Firenze presso la famiglia. R. Lambruschini, Notizie biogr. intorno al marchese L.C. G.L., Firenze 1837, poi in Id., Elogi e biografie, Firenze 1872, pp. 167-188; E. Alberi, Una visita alla manifattura delle porcellane di Doccia, Firenze 1840; L. Passeri, Genealogia e storia della famiglia Ginori, Firenze 1876; E. Ragionieri, Un Comune socialista: Sesto Fiorentino, Roma 1953, pp. 27 s., 225 ss.; C. Corsini, Il primo progetto di strada ferrata in Toscana: la Firenze-Empoli-Pisa-Livorno, in Miscellanea storica della Valdelsa, LXVII (1961), 1-2, pp. 66-85; L. Ginori Lisci, La porcellana di Doccia, Milano 1963, pp. 97-104; L. Dal Pane, Industria e commercio nel Granducato di Toscana nell'età del Risorgimento, I, Il Settecento, Bologna 1971, pp. 52 s.; La manifattura Richard-Ginori di Doccia, a cura di R. Monti, Firenze 1988, pp. 75-85; F. Bertini, Nobiltà e finanza tra '700 e '800. Debito e affari a Firenze nell'età napoleonica, Firenze 1989, pp. 25, 63; S. Buti, La Manifattura Ginori. Trasformazioni produttive e condizione operaia (1860-1915), Firenze 1990, p. 8; A. Giuntini, Leopoldo e il treno. Le ferrovie nel Granducato di Toscana, 1824-61, Napoli 1991, pp. 29, 34 s., 42; R.P. Coppini, Il Granducato di Toscana. Dagli "anni francesi" all'Unità, Torino 1993, pp. 32, 118, 137, 172, 205; C. Pazzagli, Nobiltà civile e sangue blu. Il patriziato volterrano alla fine dell'età moderna, Firenze 1996, pp. 94, 186, 225, 227, 230; A. Moroni, Antica gente e subiti guadagni. Patrimoni aristocratici fiorentini nell'800, Firenze 1997, pp. 63, 98 ss., 136, 140, 174-178, 240 s.; M. Mannini, La manifattura ceramica di Doccia. I Ginori e Sesto Fiorentino. Un esempio di collaborazione europea, 1737-1896, Firenze 1998, pp. 39-52.