GIOACCHINO da Siena
Nacque a Siena probabilmente nel 1258, se è vero che egli entrò quattordicenne, nel 1272, nel convento dei servi di S. Maria a Siena. A fornirci questo dato, come pure le altre notizie sulla sua vita, è un'anonima Vita ac legenda, scritta intorno agli anni 1330-35 da un confratello che lo conobbe. Ebbe al battesimo il nome di Chiaramonte, cambiato dietro sua richiesta e per amore della Vergine in quello di Gioacchino al momento dell'ingresso in comunità. Dai biografi del sec. XV viene detto appartenente alla nobile famiglia Pelacani e dal secolo XVI, una volta questa estinta, a quella ben più famosa dei Piccolomini. Frequentò da bambino le scuole e dette fin d'allora segni di speciale devozione alla Madonna, nel cui nome elargiva ai mendicanti quanto gli era possibile detrarre dalla casa paterna. A quattordici anni la Vergine gli sarebbe apparsa in sogno invitandolo a porsi al suo servizio ed egli - superando l'opposizione dei genitori - avrebbe ottenuto dal priore generale dei servi di S. Maria Filippo Benizi (proclamato poi santo) di entrare nel convento di Siena, esistente fin dal 1250, malgrado si richiedesse allora per i postulanti un minimo di quindici anni d'età.
In quel momento l'Ordine dei servi, costituitosi sul monte Senario, sopra Firenze, intorno al 1247-49, si era già esteso in tutto il centro Italia e stava raggiungendo il Nordest della Germania, collocandosi ormai in prossimità dei centri urbani con un'attività liturgico-pastorale improntata alla devozione mariana. Siena rappresentava allora uno dei centri più vivaci del nuovo tipo di religiosità promossa dagli ordini mendicanti personificata localmente da Ambrogio Sansedoni (1220-86), predicatore domenicano, e Pietro Pettinaio (m. 1282), terziario francescano, ambedue poi proclamati beati. G., divenuto servita, vide prima il suo Ordine minacciato di estinzione dalle misure restrittive prese nei confronti dei mendicanti dal secondo concilio di Lione del 1274, poi dal 1287 la sua lenta riconferma tramite lettere papali di protezione inviate ai singoli conventi (quello di Siena ne riceverà una da Onorio IV nel marzo 1287), e un anno prima della morte la sua approvazione definitiva a opera di Benedetto XI nel febbraio 1304.
Trascorse la sua vita religiosa da frate laico nel convento di Siena, eccetto una breve permanenza in quello di Arezzo, nel corso della quale, secondo la Legenda, rifugiatosi per la notte in un ospizio, vi avrebbe incontrato ed esortato alla pazienza un uomo afflitto da grave malattia, e si sarebbe rivolto a Dio perché passasse in lui l'infermità. Colpito allora da epilessia, ne avrebbe sofferto per tutta la vita. Ritornato a Siena, dietro richiesta dei frati, che ritenevano potesse essere meglio curato nella sua terra, e divenuto punto di riferimento per malati e sofferenti, li avrebbe guariti pregando per essi o tracciando su di loro il segno della Croce.
Sempre secondo la Legenda, G., colto da un'ulteriore malattia che gli procurava piaghe ulcerose, la nascose ai confratelli e non volle pregare per esserne liberato.
Il 15 apr. 1305, giovedì santo, nel convento di Siena rivolse ai frati, radunati per la celebrazione della Coena Domini, parole di gratitudine per i servizi che gli avevano prestato e volle fare "un gesto di carità" bevendo il vino insieme con loro, come Cristo con i suoi.
Morì il giorno successivo, 16 apr. 1305, e fu sepolto nella locale chiesa di S. Maria dei Servi.
Passati cinque anni, con un distacco di tempo difficilmente spiegabile, iniziò la serie dei quattordici miracoli post mortem a lui attribuiti e apposti alla sua Legenda. Sarebbero stati occasionati dal confluire del popolo in Siena nel maggio 1310 per l'indulgenza del santo eremita Galgano, quando tra la gente venivano evocati eventi e miracoli della vita di G. ponendoli in rapporto con quelli degli altri due beati già ricordati, Ambrogio Sansedoni e Pietro Pettinaio. Già nel racconto dei primi due miracoli si parla di ex voto che, nel terzo e quarto, vengono portati o sospesi al suo sepolcro. Nel quinto è già in vigore la sua festa cui concorre la città e il contado. Dall'ottavo la sua fama di taumaturgo si espande da Siena in altre città toscane e oltre l'Appennino fino a Bologna e Forlì portata, in quest'ultimo caso, dalla predicazione di un frate dell'ordine. I miracolati sono malati o colpiti da infortuni, condannati a morte e indemoniati fino semplicemente a un venditore di vino che, disprezzando la partecipazione alla festa di G., vede guastarsi il suo prodotto che poi, dopo il suo ravvedimento, torna limpido.
Una delibera del Consiglio generale del Comune di Siena del 28 marzo 1320 (venerdì santo) stabilì che a onore del "beato Gioacchino" si spendessero 30 lire in doppieri e ceri per onorarne la festa, un'altra del 19 apr. 1329 (mercoledì santo) decise, su richiesta dei frati, che gli ufficiali del Comune partecipassero alla detta festa fissata il lunedì dopo la Resurrezione, benché, si precisava, G. fosse morto il venerdì santo.
La stesura anche a uso liturgico della sua Legenda corredata dalla serie di miracoli è da collocare tra il 1330 e il 1335. Probabilmente intorno al 1330 è da datare la costruzione dell'arca monumentale della sua sepoltura, della quale si conserva ora alla Pinacoteca di Siena la predella marmorea dovuta a uno scultore senese non ancora identificato (si è pensato a Gano di Fazio o a Goro di Gregorio), in cui sono illustrati il suo ingresso in convento con la porta che si apre da sola e due miracoli compiuti in vita: quello della mensa che, urtata dal beato colpito da attacco epilettico, cade senza che niente si rompa o si versi e quello, avvenuto il giorno dell'Assunzione, del cero rimasto miracolosamente eretto alla elevazione del corpo del Signore mentre il beato che lo tiene in mano cade riverso.
Nel 1686 le sue reliquie furono sistemate in una nuova arca-reliquiario commissionata da Francesco Piccolomini per la processione della domenica in albis e da lui fatta poi collocare nella cappella al sommo del transetto a destra dell'altare maggiore di cui otterrà il patronato.
Nel frattempo, dietro richiesta del generale dei servi Filippo Ferrari e dopo parere favorevole del cardinale Roberto Bellarmino, Paolo V autorizzava il 21 marzo 1609 l'iscrizione di G. come beato nel Martirologio romano e il 14 aprile ne approvava l'ufficio proprio, esteso nel 1685 da Innocenzo XI a tutta la diocesi di Siena.
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