VOLPE, Gioacchino
– Nacque a Paganica (L’Aquila) il 16 febbraio 1876 da Giacomo, farmacista e segretario comunale, e da Bianca Mori, maestra elementare senese.
Ebbe il nome del nonno paterno, incarcerato in seguito ai moti antiborbonici aquilani degli anni Quaranta. Dopo le prime classi ginnasiali all’Aquila, il trasferimento della famiglia nel 1890 a Santarcangelo di Romagna lo inserì in un ambiente scolastico ben più vivo: il ginnasio a Rimini, ma soprattutto il liceo a Pesaro negli anni 1892-95, dove ebbe tra i professori Giuseppe Picciòla, carducciano già allievo della Scuola normale di Pisa e Bernardino Feliciangeli, studioso di storia locale. È possibile un certo influsso di Feliciangeli nel predisporlo alla concretezza documentaria nella ricerca storica, così com’è assai probabile che una componente carducciana, del Carducci monarchico, cantore dell’epopea comunale e del popolo sia passata da Picciòla nel giovane studente (Di Rienzo, 2008, pp. 15-29). Su invito di Picciòla presentò alla fine del liceo domanda di ammissione alla Normale. «Giorni storici [...] quel novembre 1895», scrisse nel 1968 ricordando il suo arrivo nella città toscana, che gli si impose anche per il suo richiamo potente all’età dei comuni: «Quella storia di battagliero e avventuroso comune marinaro [...] mi additò quella strada verso l’Italia comunale che poi avrei battuto per 15 anni e oltre!» (Nel regno di Clio, 1977, pp. 281 s.). Una fascinazione d’ambiente che lo storico, da anziano, riferì anche alla natura rigogliosa nei dintorni della vecchia Paganica, dalla quale, «chi sa», gli sarebbe venuta una certa predilezione per le epoche di scaturigine (Toscana medievale, 1964, p. VIII).
Pisa significò anche un gruppo di amici, allievi della Normale: Giovanni Gentile e Fortunato Pintor, Giuseppe Manacorda, Giuseppe Lombardo-Radice; e con gli amici i maestri, in Normale e nell’Ateneo, tra i quali ebbe un rilievo speciale Amedeo Crivellucci, studioso dell’Alto Medioevo e titolare di storia moderna dal 1885. Volpe nel 1916 ne scrisse un ricordo affettuoso che incluse nel 1924 in Storici e maestri, in cui si mostrò perplesso sull’anticlericalismo del professore nel trattare la storia altomedievale, ma sicuro nell’indicarne la capacità di formatore di alunni. Ne fu prova dal 1892 la fondazione di una rivista, Studi storici, sulla quale Volpe pubblicò le sue prime prove di medievista. Guidati dal 1896 dal solo Crivellucci dopo il trasferimento a Roma dell’altro fondatore e direttore, l’antichista Ettore Pais, gli Studi storici ebbero una fisionomia a sé nel panorama delle riviste del tempo, per l’intreccio fra ricerche, interventi sul metodo, interesse critico al materialismo storico.
Alla fine del secondo anno Volpe conseguì la licenza in filosofia e lettere all’Università (1897), e tra giugno e luglio del 1899 la laurea all’Università e l’abilitazione in Normale. Vista rifiutata nel 1899 una domanda per un posto all’Istituto di studi superiori di Firenze diretto da Pasquale Villari, lavorò nel 1900 a Napoli nella redazione del quotidiano Il Mattino, guidato da Edoardo Scarfoglio, paganichese di nascita e figlio di una sorella di suo padre; a Napoli, tramite Giustino Fortunato, incontrò Benedetto Croce, che senz’altro gli era già noto attraverso Gentile e del quale aveva forse recensito nel 1898 sulla rivista di Crivellucci gli Studi storici sulla rivoluzione napoletana del 1799 (la recensione è di attribuzione non sicura; L. Grilli, Gioacchino Volpe nello specchio del suo archivio, I, 2019, p. 124). Ammesso all’Istituto alla fine del 1900, vi frequentò l’anno di perfezionamento e discusse come tesi nel 1901 un lavoro sulla storia precomunale di Pisa e le origini del comune e del consolato, di cui solamente il primo capitolo fu pubblicato lo stesso anno negli Studi storici (Pisa e i Longobardi, X (1901), pp. 369-419). In verità, in quanto a lavori di ricerca il giovane aveva già fatto uscire nella stessa rivista – con il titolo Intorno ad alcune relazioni di Pisa con Alessandro VI e Cesare Borgia (1499-1504), VI (1897), pp. 495-587; VII (1898), pp. 61-144 – la tesi di licenza discussa nel 1897, saggio di cui parlò poi con disincanto, definendolo il frutto di un fortuito incontro con una documentazione interessante.
Se si considerano unitariamente gli studi pubblicati negli anni 1901-02, risulta chiaro che fanno parte di un progetto: Pisa e i Longobardi nel 1901; la monografia Studi sulle istituzioni comunali a Pisa. (Città e contado, consoli e podestà). Sec. XII-XIII, Pisa 1902; Pisa, Firenze, impero al principio del 1300 e gli inizi della signoria civile a Pisa (Studi storici, XI (1902), pp. 193-219, 293-337).
La cronologia di stesura, al di là delle date di pubblicazione, non è sicurissima, né il rapporto preciso di questi lavori con le scadenze accademiche; è perduto, a detta dell’autore, un manoscritto dedicato a Pietro Gambacorta e la sua signoria a Pisa, che Volpe ricorda come la sua tesi di abilitazione in Normale nel 1899; e d’altra parte un testo recentemente pubblicato è probabilmente quanto rimane della tesi di laurea all’Università pisana nello stesso anno (Studi sulla repubblica pisana e sulle relazioni di Pisa con la Toscana e l’impero nella prima metà del Trecento, in L. Grilli, cit., 2019). In quanto al progetto, si trattava di cogliere l’intero sviluppo storico pisano dall’età precomunale all’età signorile, il che Volpe fece mettendo di volta in volta in primo piano temi che furono tipici della sua medievistica: la formazione del popolo italiano, che in Pisa e i Longobardi viene posta addirittura nel secolo VIII (vi si parla, alla caduta del regno longobardo, di un «popolo italiano già delineantesi oramai nella sua nuova unità etnica», p. 409) e, nello stesso saggio, la rivendicazione della formazione comunale come indubitabile novità. All’altro capo del Medioevo, in Pisa, Firenze, impero, l’analisi si chiude con la costruzione bassomedievale dello Stato moderno colta in una sua scala locale (p. 337). Nei secoli XII-XIII, nella monografia sull’età dei consoli e dei podestà a Pisa, si delineano le vicende dell’aristocrazia consolare, un ceto armatoriale che via via si scompone, fondendosi per una parte con la borghesia artigiana e mercantile più ricca e arroccandosi, in un’altra sua parte, in una nobiltà organizzata in strutture consortili che sarà protagonista degli scontri con gli organismi popolari nel XIII secolo. Ha grande rilievo la considerazione del quadro istituzionale, da un comune consolare che riproduce senza mediazioni le egemonie sociali, serbando in sé, secondo Volpe, anche la fisionomia privatistica dell’associazione giurata dalla quale sorse (sul tema associativo ricorre il richiamo a Otto von Gierke), a un comune podestarile di più sicura fisionomia pubblicistica in quanto espressione di una società ora plurale (Studi sulle istituzioni comunali a Pisa, pp. 122-126, 305-310). La prefazione fissa un punto di metodo: evitare le generalizzazioni, ma non le comparazioni, nel segno di un equilibrio delicato fra casi particolari e svolgimenti generali (p. XI).
Associando in questi anni ricerca e insegnamento secondario, Volpe si andava preparando a una carriera universitaria. In un soggiorno a Berlino tra il 1902 e il 1903 poté ascoltare storici del diritto e dell’economia come Gustav von Schmoller, Gierke, Heinrich Brunner e Kurt Breysig. Ottenne la libera docenza nell’ottobre del 1903 nell’Istituto superiore, ma una lettera a Pintor nel marzo dello stesso anno faceva capire come le ricerche già svolte stessero agendo come nuclei generatori di piani più ampi: «ho in gestazione una memoria sui ‘Lambardi in Toscana nel XII secolo’, che sarà uno studio sulla piccola nobiltà rurale, ed un articolo in cui cerco di porre le questioni fondamentali del sorgere del comune» (Di Rienzo, 2008, p. 65).
Parlava di due saggi celebri: Lambardi e Romani nelle campagne e nelle città. Per la storia delle classi sociali, della nazione e del Rinascimento italiano (sec. XI-XV) (in Studi storici, XIII (1904), pp. 53-81, 167-182, 241-315, 369-416; Emendazioni ed aggiunte, ibid., XIV (1905), pp. 123-143) e Questioni fondamentali sull’origine e svolgimento dei comuni italiani (sec. X-XIV), Pisa 1904. Nel primo, con avanzamento della nascita di un popolo italiano ai secoli XI-XII, germanesimo e latinità cedono il campo a profitto di una interpretazione dei Lambardi toscani dei secoli XI-XIII come una piccola aristocrazia di militi e castellani – dunque una classe sociale, non un gruppo etnico – attiva nel magma creativo della nazione; nel secondo, programma di un lavoro a venire sulla storia dei comuni, sono ribadite tanto la varietà dell’esperienza comunale quanto la sua novità rivoluzionaria e, ancora, la sua origine privatistica. La sintesi comunale non ci fu, ma ne rimane un dettagliato indice che Volpe inviò a Croce nel giugno del 1905 in vista di un’eventuale pubblicazione presso Laterza. Lo studioso in questi primi anni del secolo usava già la scrittura e gli schemi mentali che furono un aspetto fondamentale del suo fare storia: dovizia di metafore organicistiche e vitalistiche; uso incalzante del presente storico; un movimento continuo che porta società e istituzioni, per via di progressive differenziazioni, dall’indistinto verso l’«organamento»; opposizioni e conflitti come momento germinale e creativo di ogni scatto di trasformazione.
Nel 1905 Volpe vinse la cattedra di storia moderna nel concorso bandito dall’Accademia scientifico-letteraria di Milano, dove prese servizio come straordinario nel febbraio del 1906. Qui ebbe l’ordinariato nel 1913, e fu in servizio a Milano fino a tutto il 1924. Nel 1925 si trasferì a Roma nella nuova facoltà di scienze politiche per insegnarvi storia della politica moderna e dal 1936 storia moderna; fu infine nominato alla cattedra di storia medievale nella facoltà di lettere a Roma nell’ottobre del 1943. La commissione del 1905 (Crivellucci, Giacinto Romano, Carlo Cipolla, Giovanni Monticolo, Francesco Novati) diede a Volpe il primo posto, a Pietro Fedele il secondo, a Gaetano Salvemini il terzo. Il concorso non incrinò i suoi buoni rapporti con Crivellucci, che pur stimandolo non gli aveva dato il suo voto, né con l’amico Salvemini, allora compagno di strada nel rinnovamento della medievistica italiana, e non impedì che Crivellucci, Salvemini e Volpe sul finire del 1905 progettassero una rivitalizzazione degli Studi storici che avrebbe dovuto raccogliere intorno alla rivista rinvigorita, e diretta da loro tre, sia le nuove leve formatesi tra Pisa e Firenze sia alcuni studiosi già affermati. Ne nacque solo una nuova serie degli Studi storici diretta da Crivellucci con la collaborazione di Romano, Salvemini e Volpe; varata nel 1910, non sopravvisse alla morte del maestro pisano avvenuta nel 1914.
Il posto milanese stabilizzò la vita di Volpe, che dopo la libera docenza del 1903 aveva tenuto conferenze e corsi tra Pisa e Firenze. Il 3 marzo 1906 si sposò con Elisa Serpieri, sorella dell’agronomo ed economista Arrigo, con la quale ebbe sei figli: Giovanni Alberto, Edoarda, Arrigo, Simonetta, Vittorio, Benvenuta.
Furono, quelli dal 1904 in avanti, anni di grande impegno. Lo studioso intensificò il suo lavoro di recensore con alcuni interventi importanti, in buona parte raccolti poi in Medio Evo italiano (Firenze 1923), cogliendo l’occasione per ribadire, al di là dei punti specifici in discussione, la diffidenza verso impostazioni generalizzanti e non comparative nello studio delle origini comunali (su Ferdinando Gabotto, 1904), il fastidio per gli irrigidimenti del formalismo giuridico nello studio del comune podestarile (su Georg Hanauer ed Ernst Salzer, 1904), la netta opposizione agli approcci sociologici e al determinismo economico (su Gino Arias, 1906 e Romolo Caggese, 1908). L’attività recensoria di Volpe in questi anni fu importante per chiarire la sua posizione, antipositivistica e antideterministica, nei nuovi studi medievali. Non era in discussione l’allargamento della storia ad altre discipline, visto che nel 1907 sulla Critica intervenne lamentando la scarsa cognizione di economia e di diritto nell’insegnamento superiore della storia, e promuovendo anzi sul tema, l’anno successivo, un’inchiesta-questionario sulle pagine dei Nuovi doveri. Proprio ai suoi contributi di recensore in questi anni, oltre che agli Studi sulle istituzioni comunali a Pisa, Volpe rimandò nel 1928 Walter Maturi per spiegare se stesso, affermando che in essi «son già quelle che poi saranno le mie caratteristiche» (Gioacchino Volpe e Walter Maturi, 2005, p. 288).
La prolusione milanese del 9 novembre 1907 fu dedicata a Chiesa e democrazia medievale e moderna. L’argomento faceva corpo con un avviato progetto volpiano di studio dei rapporti Stato-Chiesa nelle città medievali italiane, sul quale rimangono nell’archivio dello storico materiali molto cospicui. Si accompagnarono infatti alla prolusione il lungo articolo sugli eretici nell’Italia comunale uscito nello stesso 1907 su Il rinnovamento, rivista dei cattolici modernisti milanesi, e le conferenze fiorentine del 1912 su Chiesa e stato di città nell’Italia medievale (tutto fu raccolto in Movimenti religiosi e sette ereticali nella società medievale italiana, secoli XI-XIV, Firenze 1922); ma anche furono parte del progetto il saggio su vescovi e comune a Massa Marittima negli Studi storici del 1910 e 1913 e i due libri sulle giurisdizioni vescovili in Lunigiana e a Volterra, usciti ben più tardi, nel 1923, ma già pronti per la stampa da una decina di anni (i due volumi e il saggio su Massa Marittima furono riuniti solo nel 1964 in Toscana medievale). Il nuovo piano di lavoro, cui fu dedicata gran parte delle lezioni milanesi, di fatto estinse, senza infine realizzarsi, quello precedente di una sintesi sui Comuni, da cui verosimilmente derivò, visto che fin dagli Studi sulle istituzioni comunali Volpe postulava la necessità di un’indagine su Chiesa e stato di città nel mondo comunale, tema definito già allora di «importanza capitale» (p. 345). Anche in questi studi politico-religiosi ricompare, come legame tra un popolo nuovo e il suo bisogno sia di autonomia politica sia di culti liberi, il fuoco di una protogenesi della nazione. La confluenza dei vari contributi in libri diversi in date anche molto distanti dalla stesura ha impedito a lungo di riconoscere il carattere unitario di questo piano, che occupò in modo prevalente lo storico fino alla chiusura dei volumi su Volterra e sulla Lunigiana.
«La mia passione medievalistica cominciò ad illanguidirsi già un po’ prima della guerra», scrisse nel 1964 (Toscana medievale, 1964,p. XVIII). L’affermazione va temperata in due sensi. Da un lato proprio durante la guerra, nel 1917, cominciò il piccolo libro Il Medio Evo nel primo millennio d.C. (s.d. ma Milano 1921), il quale divenne nel 1926, più che triplicato nella mole e portato fino al Cinquecento, la fortunata sintesi Il Medio Evo, sorta dunque lungo una linea indipendente rispetto ai precedenti progetti sintetici sui Comuni e su Stato e Chiesa in età comunale. E di cose medievali altre ne scrisse anche dopo la guerra: si pensi al saggio Origini della nazione italiana nella rivista nazionalista Politica (XI (1922), pp. 5-48), che inserì nel 1925 nei Momenti di storia italiana, mutando solo nel titolo, con variazione incessante sul tema germinale-nazionale, le ‘origini’ in ‘albori’, che divennero alla fine ‘sorgenti’ nell’ultima edizione del saggio da lui curata (in L’Italia che nasce, Firenze 1969). D’altra parte, quando era ancora impegnato nell’officina medievale, Volpe non aveva trascurato la storia moderna: il saggio Progressi dell’economia italiana nel ’700, nei Momenti di storia italiana, risale al 1910 ed è una lunga analisi degli studi di Luigi Einaudi e di Giuseppe Prato sull’economia piemontese di età moderna. Vanno perciò sfumate affermazioni troppo recise, favorite anche da Volpe stesso, sul suo passaggio repentino, che fu piuttosto una transizione, da medievista a storico dell’età moderna e contemporanea; ma non ci sono dubbi che la guerra rappresentò per lui una esperienza fondamentale sui due piani della politica e della storiografia.
Nominato nel 1916 sottotenente della milizia territoriale, dal maggio 1917 Volpe comandò un distaccamento vicino a Milano e fu poi assegnato nell’agosto all’Ufficio storiografico della mobilitazione a Roma. Dopo Caporetto, all’inizio del 1918 fu aggregato all’8ª armata in zona di operazioni e associato al Servizio propaganda diretto da Giuseppe Lombardo-Radice, dove agì, come provano i testi da lui redatti, per la diffusione di un discorso sulla guerra fondato sui due capisaldi del conflitto come «fondamentale fattore del progresso umano» e «metafora della rieducazione nazionale» (Belardelli, 1988, pp. 85-87). Per la sua attività fu decorato con medaglia d’argento il 30 novembre 1919. La guerra sovrappose anche, in modo tangibile, i due momenti della storiografia volpiana. Se nel 1917 prese a scrivere Il Medio Evo nel primo millennio, una lettera alla moglie dell’agosto 1918 lo mostra rammaricato di non poter procedere con L’Italia in cammino, libro uscito nel 1927, ma dunque avviato negli anni di guerra (Di Rienzo, 2008, pp. 203 s.).
Già vicino a gruppi nazionali-liberali, Volpe fu candidato, senza essere eletto, alle amministrative milanesi del 7 novembre 1920 nella lista antisocialista del Blocco cittadino di azione e difesa sociale. Pochi giorni dopo, il 21 novembre, il quotidiano Il popolo d’Italia pubblicò una sua lettera aperta al direttore Benito Mussolini, al quale inviava un ringraziamento «per la bella battaglia che state combattendo da tempo, sia in rapporto alle questioni internazionali, sia in rapporto alla restaurazione civile del paese» (Guerra, dopoguerra, fascismo, Firenze 1928, p. 261). Documento interessante anche dal punto di vista del rapporto storia-politica, perché lo stile mentale del Volpe storico – dall’indistinto al distinto per via di progressiva differenziazione – irrompe nelle righe finali: «la direttiva dello sviluppo storico della società, che è, dal tempo delle caverne in poi, tutto differenziazione e, insieme, coordinazione di gruppi, di classi, di genti» (ibid., p. 266); in una nuova lettera aperta a Mussolini, uscita sullo stesso giornale il 7 giugno 1921 (ma altri suoi interventi erano stati pubblicati nel frattempo in quella sede), ribadì il fiancheggiamento al movimento fascista, al quale raccomandava però di conservare un saldo lealismo monarchico.
In quegli anni la sua autorità di storico crebbe costantemente, alimentata da pubblicazioni fitte e ravvicinate. Preso atto che i progetti di anteguerra sull’età comunale non sarebbero giunti a compimento, Volpe ne raccolse i risultati parziali, organizzandoli tra il 1922 e il 1923 in una serie di volumi. A questi aggiunse nel 1924 le rievocazioni di maestri, le riflessioni sull’insegnamento della storia e le cronache storiografiche di Storici e maestri; riunì nel 1925 nei Momenti di storia italiana saggi scritti per lo più (ma con alcune eccezioni) nel dopoguerra e distesi tra Medioevo e Risorgimento; e poco dopo, nel 1926, pubblicò la sintesi Il Medio Evo. Sulla scia di una chiamata/vocazione, alla quale fu sempre sensibile, a storico della nazione italiana, progettò anche una storia d’Italia, poi non realizzata, da affidare a più collaboratori, con una collana collegata di volumi monografici, il cui respiro si desume dal programma diffuso nel 1922 (Nel regno di Clio, pp. 123-140). Il cortocircuito storia-politica spiega molto dell’adesione di Volpe al fascismo, che fu convinta e legata a strati profondi della sua cultura.
Giovanni Belardelli (2005) ne ha dato un’analisi acuta, indicando la sintonia tra un’idea vitalistica di storia intesa come un crogiolo di forze primigenie sempre ribollenti, e violentemente eruttive nei momenti ‘ricchi di origini’, e la rude energia creativa e combattente, posta al servizio di un riscatto nazionale, che gli parve di vedere nel fascismo (pp. 104 s.; Cervelli, 1977, passim).
Volpe fu eletto deputato nel 1924 nel ‘listone’ nazional-fascista e sedette in Parlamento nella XXVII legislatura (1924-29). Fece parte della commissione dei Quindici, poi dei Diciotto, per la riforma costituzionale dello Stato, presieduta da Gentile, e aderì nel 1925 al Manifesto degli intellettuali del fascismo. Diresse dal 1925 al 1943 la Scuola di storia moderna e contemporanea, nella quale passarono nel corso degli anni alcuni tra i migliori giovani storici di allora, dei quali favorì le ricerche: fra gli altri Ernesto Sestan, Federico Chabod, Walter Maturi, Nello Rosselli, Carlo Morandi. Dal 1925, anno di avvio del progetto, fino al 1937, anno di conclusione dell’opera, fu responsabile della sezione di storia medievale e moderna dell’Enciclopedia italiana, per la quale scrisse la parte storica di alcune voci strategiche, come Fascismo (1932) e Italia, fino al 1713 (1933). Segretario generale dell’Accademia d’Italia dal 1929 al 1934, la Giunta centrale per gli studi storici lo mise a capo della Rivista storica italiana, che firmò come direttore dal 1935. Tra gli intellettuali di spicco del regime, nel ventennio fascista svolse un’intensissima attività di organizzatore culturale, storico e pubblicista, ritornando più e più volte, oltre che su questioni di attualità, sul Risorgimento esaminato in connessione, piuttosto che con lo Stato, con lo sviluppo della coscienza nazionale, e sulla storia militare e di popolo della Grande Guerra.
Nel dedalo di una bibliografia ora ricchissima, e caratterizzata da continui rifacimenti e trasmigrazioni di materiali, un filo saldo è costituito dal cantiere dell’opera L’Italia in cammino e dai suoi sviluppi. Probabilmente avviato durante la guerra, e anticipato parzialmente in altre sedi, il libro uscì nel 1927. Dedicato al cinquantennio di storia italiana tra il 1870 e il 1915, si imperniò «sul progressivo rafforzarsi e prepararsi della nazione alla lotta con le altre forze internazionali», un compito ben arduo per le classi dirigenti liberali, se non fosse per la risorsa delle grandi energie di un popolo, della sua operosità, del suo lavoro (R. Romeo, recensione di Italia moderna, in Rivista storica italiana, LXIII (1951), 1, pp. 120 s.). Ripresa in mano da Volpe forse fin dal 1938, come risulta da una lettera alla moglie di quell’anno, L’Italia in cammino si trasformò con lunghissimo lavoro, protratto dagli anni del secondo conflitto mondiale fino al 1949, nei tre volumi di Italia moderna.
Il primo volume, stampato a Milano nel 1943, si apriva con una professione di speranza nella monarchia, senza alcun riferimento al fascismo, e fu sequestrato presso i librai dalla Repubblica sociale italiana. Fu riedito nel 1946 a Firenze da Sansoni, e gli altri due volumi seguirono nel 1949 e nel 1952. Nell’opera finale, con fedeltà a sé stesso e ai suoi primi studi, lo storico seguì il tratto moderno della secolare storia di come un popolo potesse diventare nazione.
Dall’autunno del 1943 Volpe visse ritirato a Santarcangelo di Romagna. A seguito di procedimento epurativo fu dispensato dall’insegnamento nel dicembre del 1944. Fece ricorso, ma con provvedimento del presidente del Consiglio dei ministri fu disposto il suo collocamento a riposo con decorrenza dal 29 gennaio 1945. In una lunga vecchiaia curò la riedizione di molte sue opere e svolse intensa attività pubblicistica. Per i suoi ottant’anni gli furono dedicati, non senza polemiche, i due volumi di Studi storici in onore di Gioacchino Volpe (Firenze 1958).
Morì a Santarcangelo di Romagna il 1° ottobre 1971.
Opere. I libri di Volpe hanno avuto moltissime edizioni, via via aumentate nel contenuto e corredate dall’autore di nuove prefazioni e di varianti non sempre dichiarate. Si dà l’anno di prima uscita delle sole opere più note e l’anno della riedizione più recente: Studi sulle istituzioni comunali a Pisa. (Città e contado, consoli e podestà). Sec. XII-XIII (1902), Firenze 1970; Movimenti religiosi e sette ereticali nella società medievale italiana (secoli XI-XIV) (1922), Roma 1997; Medio Evo italiano (1923), Roma-Bari 1992; Lunigiana medievale (1923) e Volterra (1923) sono ripubblicate in Toscana medievale. Massa Marittima Volterra Sarzana, Firenze 1964; Storici e maestri (1924), Firenze 1967; Momenti di storia italiana (1925), Firenze 1952; Il Medio Evo (s.d. ma 1926), a cura di S. Moretti, Roma-Bari 1990; L’Italia in cammino. L’ultimo cinquantennio (1927), poi con il titolo L’Italia in cammino, Roma 2010; Ottobre 1917, dall’Isonzo al Piave (s.d. ma 1930), poi con il titolo Da Caporetto a Vittorio Veneto, a cura di A. Ungari, Soveria Mannelli 2018; Fascismo. Storia (1932), in Scritti sul fascismo 1919-1938, I, Roma 1976, pp. 19-153; Il popolo italiano tra la pace e la guerra (1914-1915) (1940), Roma 1992; Italia moderna (1943-1952), I-III, Firenze 2002. Inediti in precedenza: Il popolo italiano nella Grande Guerra (1915-1916), a cura di A. Pasquale, Milano-Trento 1998; Il popolo italiano nel primo anno della Grande Guerra, a cura di E. Di Rienzo - F. Rudi, Roma 2019. Raccolte di testi sparsi: Pagine risorgimentali, I-II, Roma 1967; Origine e primo svolgimento dei comuni nell’Italia longobarda. Studi preparatori, a cura di G. Rossetti, Roma 1976; Nel regno di Clio. (Nuovi storici e maestri), Roma 1977. Materiali per lezioni in Lezioni milanesi di storia del Risorgimento, a cura di B. Bracco, Bologna 1998, e in L. Grilli, G. V. nello specchio del suo archivio, I-II, Bologna 2019-2020.
Fonti e Bibl.: Le carte di Volpe sono conservate alla Biblioteca comunale Antonio Baldini di Santarcangelo di Romagna, con inventario curato nel 2010 da E. Angiolini. Sue lettere e documenti a lui inerenti sono in molti archivi diversi, elencati in E. Di Rienzo, La storia e l’azione. Vita politica di G. V., Firenze 2008, p. 6. Bibliografia in U.M. Miozzi, Bibliografia completa di G. V., in Studi e ricerche in onore di G. V. nel centenario della nascita (1876-1976), Roma 1978, pp. 217-289, che comprende anche gli scritti sullo storico. Questi vanno integrati con la Bibliografia volpiana 1978-2012, a cura di L. Grilli, www.gioacchinovolpe.it, mentre aggiunte e correzioni agli scritti di Volpe elencati da Umberto Massimo Miozzi per il periodo 1894-1914 sono in L. Grilli, G. V. nello specchio del suo archivio, cit., I, pp. 124-137. Preziosi per la bibliografia di e su Volpe e la cronologia gli Apparati e sussidi per la consultazione, a cura di M. Tagliabue, in C. Violante, G. V. medievista, a cura di N. D’Acunto - M. Tagliabue, Brescia 2017, pp. 321-406 (volume importante, dato il ruolo di Cinzio Violante nella ripresa degli studi volpiani). Nuclei di lettere, oltre alle molte pubblicate in E. Di Rienzo, La storia e l’azione, cit., sono in: A. Frangioni, V. e Chabod, una lunga storia (con il carteggio V.-Chabod), in Nuova storia contemporanea, VI (2002), 5, pp. 91-130; G. V. e Walter Maturi, Lettere 1926-1961, a cura di P.G. Zunino, in Annali della Fondazione Luigi Einaudi, XXXIX (2005), pp. 245-326; Lettere dall’Italia perduta 1944-1945, a cura di G. Belardelli, Palermo 2006 (alla moglie Elisa); L. Grilli, Lettere di G. V. a Gaetano Salvemini, in Storiografia, XIV (2010), pp. 187-276; Carteggio V.-Violante, a cura di G.M. Varanini, in C. Violante, G. V. medievista, cit., pp. 295-319. Inoltre: I. Cervelli, G. V., Napoli 1977; Studi e ricerche in onore di G. V. nel centenario della nascita cit.; G. Turi, Il problema V., in Studi storici, XIX (1978), pp. 175-186; Federico Chabod e la ‘nuova storiografia’ italiana dal primo al secondo dopoguerra (1919-1950), a cura di B. Vigezzi, Milano 1983, passim; G. Belardelli, Il mito della «nuova Italia». G. V. tra guerra e fascismo, Roma 1988; B. Bracco, Storici italiani e politica estera. Tra Salvemini e V. 1917-1925, Milano 1988; E. Artifoni, Salvemini e il Medioevo. Storici italiani tra Otto e Novecento, Napoli 1990, pp. 39-47, 145-180; G. V. e la storiografia del Novecento, sezione monografica in Annali della Fondazione Ugo Spirito, XII-XIII (2000-2001); M.L. Cicalese, La luce della storia. G. V. a Milano tra religione e politica, Milano 2001; F. Perfetti, Introduzione, in Italia moderna, I, Firenze 2002, pp. XXIII-XXVIII; E. Di Rienzo, Un dopoguerra storiografico. Storici italiani tra guerra civile e Repubblica, Firenze 2004; G. Belardelli, Il Ventennio degli intellettuali, Roma-Bari 2005, pp. 97-140; E. Di Rienzo, Storia d’Italia e identità nazionale. Dalla Grande Guerra alla Repubblica, Firenze 2006, ad ind.; E. Artifoni, G. V. e i movimenti religiosi medievali, in Reti medievali. Rivista, VIII (2007), 1, pp. 47-66; F. Cossalter, Come nasce uno storico contemporaneo. G. V. tra guerra, dopoguerra, fascismo, Roma 2007; G. V. tra passato e presente, a cura di R. Bonuglia, Roma 2007; P. Cavina - L. Grilli, Gaetano Salvemini e G. V. dalla storia medievale alla storia contemporanea, Pisa 2008; G. Galasso, Storici italiani del Novecento, Bologna 2008, pp. 36-70; R. Pertici, La cultura storica dell’Italia unita, Roma 2018, pp. 111-138; B. Figliuolo, «Cocciuto e cattivo come un ragazzaccio imbizzarrito». La rottura tra Crivellucci, Salvemini e V. ovvero della maledizione dei concorsi, in Nuova rivista storica, CIII (2019), 3, pp. 845-891; Id., G. V., i “Lambardi”, i “Romani” e la nascita della «nazione italiana», in Giuseppe Galasso storico e maestro, a cura di E. Di Rienzo, Roma 2019, pp. 1-31; Camera dei deputati, Portale storico, https://storia.camera.it/deputato/gioacchino-volpe-18760216#nav.