Gioachino (Giovacchino) da Fiore
È posto da D. nella seconda corona degli spiriti sapienti, nel cielo del Sole: Pd XII 140 lucemi dallato / il calavrese abate Giovacchino / di spirito profetico dotato.
Nato a Celico (presso Cosenza) verso il 1130, fu figlio forse di notaio: non ‛ agricola ', servo della gleba, come fu detto fraintendendo un'affermazione dello stesso G., " non sum propheta, homo agricola ego sum ", che voleva indicare, con la citazione da Zach. 12, 5, una sua umile missione spirituale. Certo è un suo viaggio a Gerusalemme. Di ritorno dall'Oriente, verso il 1152-53, entrò nel monastero cistercense della Sambucina, presso Luzzi; poi nel monastero di S. Maria di Corazzo, di cui divenne abate. Dedicatosi all'esegesi scritturale, chiese, non al Capitolo generale, ma a Lucio III, che raggiunse a Veroli nel 1184, il permesso di scrivere (in questa occasione fu ospite a Casamari); e da Urbano III, a Verona, fu esortato a comporre un commentario sull'Apocalisse. Difficoltà col suo ordine, e forse una crisi spirituale, lo persuasero (1191) a lasciare l'abbazia di Corazzo e a ritirarsi nell'eremo di Pietralata; poi, sulla Sila, fondò il cenobio di S. Giovanni in Fiore. Il nuovo ordine florense ebbe approvata la sua regola monastica, oggi perduta, da Celestino III (25 ag. 1196). Nel 1200 G. avrebbe redatto la ‛ lettera-testamento '. Morì il 30 marzo 1202, nel monastero di S. Martino di Canale, ed ebbe subito culto di beato (nel 1346 ci fu un tentativo, senza esito, di canonizzazione). Il corpò di G. fu sepolto nell'archicenobio di S. Giovanni in Fiore.
Nelle sue opere (le principali: Concordia novi et veteris Testamenti; Expositio in Apocalypsim; Psalterium decem chordarum; Tractatus super quatuor Evangelia), G. svolge la sua esegesi tipologico-storica, che dal mistero trinitario deriva la certezza della nuova storia, in quanto la Trinità è perenne processo di manifestazione del divino tra gli uomini. Dopo lo ‛ stato ' del Padre, cui compete il Vecchio Testamento, segue lo ‛ stato ' del Figlio, e quindi lo ‛ stato ' dello Spirito Santo, che sarà l' " intelligentia spiritualis ", la ‛ concordia ' dei due ‛ stati ' precedenti. Questa terza età - ma i confini si sovrappongono sempre e ogni età è distinta ma insieme partecipe nei confronti delle altre, ché ogni ‛ stato ' appartiene alle singole Persone della Trinità non in modo esclusivo ma " proprietate mysterii " - si concluderà con la più piena " fructificatio ", letificata dai doni dello Spirito; fino a quando si avrà la fine dei tempi (superandosi così, in questa concezione, il tradizionale escatologismo, angosciato dall'urgente questione della fine del mondo e dei suoi segni premonitori).
Sul problema trinitario G. aveva composto il De Unitale seu essentia Trinitatis (opera perduta); vi accusava Pietro Lombardo, " qui unitatem a trinitate dividens, quaternitatem inducit ", di " blasphemia ". Il concilio lateranense del 1215, rimproverando a G. di aver voluto stabilire tra le Persone della Trinità " unitatem non veram et propriam, sed quasi collectivam et similitudinariam ", sentenziava: " damnamus ergo et reprobamus libellum seu tractatum quem Abbas Ioachim edidit contra magistrum Petrum Lombardum... appellans ipsum haereticum et insanum pro eo quod in suis dixit Sententiis ". Ma la condanna non dichiarava eretico G., e colpiva invece i suoi eventuali seguaci " in hac parte ": " Si quis igitur sententiam sive doctrinam praefati Ioachim in hac parte defendere vel approbare praesumpserit, tanquam haereticus ab omnibus confutetur ". Ma la ‛ ereticità ' di G. doveva essere accusa, polemica, contro l'ordine florense, se Onorio III (1220) all'arcivescovo di Cosenza e al vescovo di Bisignano scriveva: contro la voce, secondo la quale G. " haereticus ab Ecclesia Dei habetur... per totam Calabriam faciatis publice nuntiari, quod eum virum catholicum reputamus ".
Ma della concezione gioachimita dei tre ‛ stati ', in cui appassionatamente si descriveva una Chiesa rinnovata dai doni del Paraclito, riformata dai " virispiritales ", s'impadronì quel movimento, francescano, che nelle ‛ profezie ' di G. voleva scorgere descritta e giustificata la trasformazione che s. Francesco, con la sua regola e con il suo testamento, avrebbe iniziato contro la Chiesa mondana: il gioachimismo divenne così, in una fioritura d'interpretazioni perentorie e distorte, di scritti pseudo-gioachimiti, un punto necessario di riferimento, il mito nella lotta degli ‛ spirituali '; G., da mistico esegeta, qual è, divenne il profeta del rinnovamento. Nel 1254 una commissione, nominata da Alessandro IV per esaminare l'Introductorius in Evangelium aeternum di Gerardo da Borgo S. Donnino, redasse, ad Anagni, un ‛ protocollo ' che condannava l' " Evangelium aeternum quod idem est quod doctrina Ioachim ". Le tre bolle che ordinarono la distruzione dell'Introductorius non ricordavano però le opere di G., che continuarono ad alimentare le riflessioni e le speranze degli ‛ spirituali ': e tra questi, Pietro di Giovanni Olivi e Ubertino da Casale, che insegnarono nella scuola di S. Croce, a Firenze, dove D. poté conoscerli. L'insegnamento del secondo coincide con il tempo in cui D. dice che si svolse la sua iniziazione alla filosofia ne le scuole de li religiosi e a le disputazioni de li filosofanti (Cv II mi 7). Ma questa notizia non può certo, qui, avviare il problema dell'ideale dell' " Ecclesia spiritualis " in D. e di un suo gioachimismo. Diremo soltanto che, se è giustificata, contro ogni interpretazione tout court ‛ gioachimita ' della Commedia (secondo il Dempf [Sacrum imperium, trad. ital. Messina 1933, 233] " una Apocalisse gioachimita ") la reazione, ad es., del Barbi, sarebbe egualmente sbagliato negare una conoscenza di D., e una consonanza, seppure con ispirazione e finalità diverse, con le lotte e gl'ideali del pauperismo spirituale.
La collocazione di G. nel Paradiso tra i teologi, mistici e dotti, disposti in due corone di beati, esprime certo uno spirito di superiore conciliazione, presentate come esse sono dai due campioni di diversi indirizzi speculativi, Tommaso e Bonaventura, che elogiano, chiasticamente, i fondatori dei loro ordini: " spirito che non significa già l'adozione da parte del poeta di un criterio eclettico, e tanto meno scettico, sì soltanto il riconoscimento di una più alta verità, che in varia misura si rivela a quanti con animo puro e serietà di intendimento la ricercano, e di fronte alla quale tutti ora son pronti a riconoscere i propri errori e i limiti connessi all'intransigenza stessa con cui da vivi accolsero e difesero un loro coerente e sincero, ma sempre unilaterale indirizzo speculativo " (Sapegno).
Così, come alla sinistra di Tommaso sta l'avversario Sigieri di Brabante (e con loro sono il dialettico Pietro Lombardo e il mistico Riccardo da San Vittore), simmetricamente, alla sinistra, dallato, di Bonaventura, sta G., che Bonaventura aveva giudicato " simplex " nella polemica contro Pietro Lombardo (cfr. Opera omnia, ediz. Quaracchi, I 121) e conosceva come responsabile dello scandalo nell'ordine, per il processo contro Gerardo di Borgo S. Donnino e Giovanni da Parma.
Dunque D. può istituire un rapporto di contrasto-conciliazione tra Tommaso-Sigieri e Bonaventura-Gioachino. Ma, oltre a ciò, D. qualifica G. come di spirito profetico dotato. L'espressione, fu notato, non è d'invenzione dantesca. L'Antifona dei Vespri che si recitava il 29 maggio, giorno fissato per la festa di G. nei monasteri florensi, diceva: " Beatus loachim, spiritu dotatus prophetico, decoratus intelligentia; errore procul haeretico, dixit futura ut praesentià ". Ma non si dovrà supporre, perciò, necessariamente un incontro di D. con l'ambiente florense (nella Lucchesia sorgeva l'abbazia di S. Pietro di Camaiore: v. su questa e su altre minori fondazioni florensi, sempre nella diocesi di Lucca, F. Russo, G. da Fiore..., pp. 204-207). La formula poteva avere larga circolazione, riassumendo l'interpretazione del significato di G. (il Grundmann, in Dante und Joachim von Floris, ha raccolto una serie di testimonianze " bis 1250 "; e dagli stessi primi commenti della Commedia agevolmente si spiega la frase dantesca col ricordo di profezie di G.; Iacopo della Lana aggiunge: " o vero perché spose il Daniello e li altri libri de' profeti ").
E la ‛ profeticità ' di G. è accolta, nel cielo della conciliazione, da Bonaventura, di là dalle polemiche tra ‛ rilassati ' e ‛ zelatori ', Matteo d'Acquasparta e Ubertino da Casale (Pd XII 124) - così come Bonaventura aveva accolto (Legenda maior, prologo, I) l'identificazione dell'apocalittico angelo con s. Francesco che era base delle interpretazioni del corso nuovo per la Chiesa da parte di gioachimiti e spirituali.
Che la qualifica di ‛ profeta ' possa avere giustificazione in una conoscenza diretta o indiretta da parte di D. di opere, autentiche o credute tali, di G., non si può affermare, perché manca nell'opera di D. una qualsiasi indicazione di opere di G.; né ci è dato di trovare un solo riscontro testuale preciso, ché sempre ci si può richiamare a una fonte comune, scritturale o patristica, o riferire ad affermazioni diffuse nel mondo ‛ spirituale '.
Solo il Liber figurarum (che L. Tondelli, dopo una prima edizione nel 1940, ripubblicò nel 1953, in " edizione criticamente definitiva ") costituisce un problema da quando fu presentato come fonte della Commedia. Opera sicuramente genuina di G. secondo il Tondelli, il Liber figurarum - con questo titolo era ricordato da fra Salimbene; e molta letteratura pseudogioachimita vi si riferì - si sarebbe composto " gradualmente con le figure e coi prospetti di confronto che l'abate di S. Giovanni in Fiore andava man mano componendo ". La genuinità potrebbe avere l'appoggio della testimonianza, invero tarda (1348-50), di Giovanni da Rupescissa, che voleva dipintore valente G.; se pure quella testimonianza non derivi dalla stessa notorietà del Liber figurarum, e della sua attribuzione. Si potrebbe piuttosto collocare il Liber figurarum, se non nella letteratura pseudogioachimita intesa a cercare, per problemi nuovi, con la falsificazione, l'autorità del profeta calabrese, e a coprirsene, in quella letteratura invece ‛ paragioachimita ' che, con scrupolo di precisa aderenza, commenta, sviluppa, ricompone l'opera di Gioachino. Ma per la questione dei rapporti del Liber figurarum con l'opera di D., affermata dal Tondelli, in qualche caso, anche di là da ogni possibile proponibilità (per " elementi di contatto più ingegnosi che reali ", ammette A. Crocco, che pure ritiene l'opera del Tondelli " dato storico sicuro ed incontestabile "), riteniamo che sia necessaria la più grande cautela. Se, a prima vista, certe corrispondenze possono suggestivamente colpire e far pensare a un riferimento, concettuale e poetico, con talune ‛ figure ' del Liber, valgono, ci sembra, le considerazioni, vivacemente polemiche, del Nardi (Dal " Convivio "..., pp. 360-369), a proposito di alcune ‛ figure ' che il Tondelli aveva presentato come delle più significative e probanti, per i corrispondenti passi: Pd XXXII 115-120, XXVI 134-136, XXXVI 127-141.
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