Feste, giochi e cerimonie nel Medioevo
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nella generale rinascita dei secoli XI-XII si evidenzia una rinnovata attenzione per la ludicità dopo il problematico confronto con la cultura cristiana delle origini, che, finalmente, la legittima, ricollocandola nel panorama delle esperienze significative dell’uomo. Nella società feudale il torneo diventa strumento per guadagnare onori, ma anche occasione d’incontro politico per rinsaldare alleanze o assumere impegni. La rinnovata sensibilità per la sfera ludica lascia memorie anche dei giochi e passatempi contadini e borghesi, che in alcuni casi si distinguono come momenti di interazione sociale.
I secoli centrali del Medioevo (XI e XII) rappresentano un periodo di rinascita generale per l’Occidente europeo: coincidono con l’avvio delle grandi monarchie europee e il maggiore sviluppo della società feudale, rappresentata dalle sue élite militari, che sull’uso delle armi basano la propria funzione sociale e, insieme, il proprio prestigio e onore. Questi secoli fanno registrare, inoltre, uno sviluppo nelle campagne e la rinascita delle città, con le loro rivendicazioni di autonomia politica. La rinascita culturale, infine, produce in ambito religioso un approfondimento razionale dei problemi teologici col tentativo di conciliare fede e ragione, e di elaborare un sistema unitario di spiegazione del mondo.
Contemporaneamente si avverte anche una rinnovata attenzione nei confronti della ludicità che, dopo il successo raggiunto nell’età antica e il problematico confronto con la cultura cristiana delle origini, ha attraversato la stagione altomedievale restando ben radicata nelle abitudini dei contemporanei, ma pur sempre ai margini della grande riflessione contemporanea, in una situazione di incertezza per quel che concerne il posto che le si riconosce nella nuova cultura cristiana. Così Rabano Mauro, abate di Fulda e successivamente arcivescovo di Magonza, trattando del gioco (nell’opera Sulla natura), parla delle specialità atletiche degli antichi (il salto, la corsa, il lancio, la lotta...), offrendo al più indicazioni erudite di realtà ormai superate da tempo.
Progressivamente, però, matura anche la consapevolezza dell’importanza e specificità del gioco, al quale sono riconosciute finalmente qualità positive. Ad esempio, Isidoro, vescovo di Siviglia e fra i maggiori enciclopedisti medievali, salva le attività atletiche in quanto “trionfo della forza e della velocità” (Etimologie, XVIII, 17-24). Così il noto brano di san Paolo, in cui l’autore sollecita a correre per ottenere il premio (1 Corinzi: 9, 24-26), non solo diventa un topos nell’età di mezzo per simboleggiare l’impegno in questa vita del buon cristiano, ma attesta anche una rilettura in chiave cristiana dell’universo ludico, premessa per un suo definitivo recupero come valore autonomo della quotidianità. Dal secolo XII, infatti, la ludicità riguadagna sempre più posizioni di primo piano nella riflessione contemporanea. È emblematica la sua legittimazione da parte di uno dei maggiori pensatori del tempo, il teologo Ugo di San Vittore, secondo cui nelle attività sportive e ricreative (come la recitazione poetica, il canto, la danza, la lotta, la corsa a piedi o sui carri, il pugilato), “il calore naturale dei corpi si alimenta di un movimento ben equilibrato e la gioia” che ne deriva “ristora lo spirito” (Didascalicon, II, 27). Inserendo l’esperienza ludica nel programma di apprendimento del sapere, egli la ricolloca “nel quadro dei sistemi ordinatori e negli schemi culturali correnti” (Gherardo Ortalli, Tempo libero e Medioevo: tra pulsioni ludiche e schemi culturali, 1995).
Nelle fonti dei secoli centrali dell’età di mezzo feste, giochi e cerimonie iniziano a occupare spazi per nulla marginali e involontari, primo fra tutti il torneo, che per la sua diffusione e radicamento diventa un emblema della società del tempo. Dalla Francia del secolo XI si diffonde nei Paesi vicini in tempi e modi differenti, raggiungendo la sua età d’oro nel secolo XII, per trasformarsi, quindi, alla fine del Medioevo in uno spettacolo di armati. Nei secoli centrali dell’età di mezzo il suo contenuto è tutt’altro che uniforme e codificato. Si tratta, infatti, di un incontro fra armati a cavallo nel quale convivono varie forme di combattimento e manifestazioni collaterali: accanto allo scontro collettivo fra compagnie contrapposte, si svolgono, infatti, sfide individuali fra coppie di cavalieri (quest’ultima, peraltro, è la forma che prevarrà in Italia assumendo il nome di giostra), dimostrazioni di abilità con le armi, convegni di spettatori, incontri conviviali. Al di là delle varie interpretazioni (sublimazione della guerra, gioco addestrativo, sperimentazione di tecniche guerresche...), il torneo va compreso come “momento di scatenamento dell’aggressività del clan, di affermazione di una parte sull’altra”, come “battaglia rituale, non battaglia simulata; messa in opera di un meccanismo di preda e ridistribuzione della ricchezza esattamente come avviene con la guerra” (Duccio Balestracci, La festa in armi. Giostre, tornei e giochi del Medioevo, 2001).
Nell’opera di Goffredo di Monmouth – Historia Regum Britanniae, del 1136 – o nei romanzi di Chrétien de Troyes – soprattutto Erec et Enide, del 1160-1170 – il torneo ha una parte preponderante nella ricognizione delle attività e manifestazioni ludico-sportive della nobiltà feudale contemporanea. Descritto come interludio fra battaglie già combattute e da combattere o in connessione con eventi politici importanti (incoronazioni, ma anche matrimoni ), il torneo d’ora in avanti non potrà mancare nelle narrazioni delle gesta compiute da un cavaliere o delle usanze radicate nella società a cui appartiene.
Vero e proprio modello delle abitudini della cavalleria anglofrancese di questo periodo è l’anonima Histoire de Guillaume le Maréchal (1220 ca.), che i contemporanei considerano il cavaliere più famoso di tutti i tempi. Nell’Histoire i tanti tornei “combattuti” dal protagonista, da strumento per guadagnarsi da vivere, diventano altrettante tappe per salire nella scala sociale e per raggiungere l’onore, praticando le virtù fondamentali per il successo: coraggio, lealtà, cortesia, prodigalità. L’ Histoire è il racconto di una vera “fortuna” – la gloria, da trasmettere alla propria famiglia –, che porta il cadetto Guglielmo a diventare custode e istruttore di Enrico il Giovane, designato dal padre (Enrico II) a succedergli al trono d’Inghilterra.
La testimonianza, infine, di Goffredo di Villehardouin, uno dei maggiori cronisti (nonché protagonisti) della quarta crociata (1202-1204), il quale fa coincidere l’inizio dell’impresa col torneo svoltosi nella contea della Champagne, nel novembre del 1199, presso il castello di Ecry, rende al meglio che cosa esso rappresenti per i contemporanei: prima ancora che circostanza per guadagnare onori esibendo abilità e forza militari o per tenere in esercizio la cavalleria feudale in attesa di combattere, il torneo è occasione d’incontro politico per rinsaldare legami di amicizia, stringere alleanze, assumere impegni, primo fra tutti quello della crociata, la guerra giusta per antonomasia.
La rinnovata sensibilità per la sfera ludica, che porta a insistere sui costumi della feudalità europea, fa registrare anche i passatempi cui si dedicano contadini e borghesi. Non mancano alcuni casi esemplari.
Il famoso arazzo di Bayeux (un ricamo di circa 230 piedi, eseguito tra il 1070 e il 1082), voluto dal vescovo Odo, fratellastro di Guglielmo il Conquistatore, per giustificare la pretesa normanna al trono inglese, non solo illustra la battaglia di Hastings (14 ottobre 1066), ma è anche un ritratto della società anglonormanna, compresi i suoi sport e passatempi. Le parti periferiche dell’opera, in particolare, riproducono svaghi e passatempi del mondo contadino (da cui provengono, forse, gli stessi ricamatori): alcuni sono peculiari (come il tiro con la fionda, la pesca di anguille, i combattimenti di cani contro tori); altri, invece, si ritengono tipici della nobiltà (come l’addestramento di cani o i combattimenti di cani contro orsi, la scherma con bastoni, il tiro con l’arco, ma soprattutto la caccia); in alcuni di questi, peraltro, nobili e contadini sono rappresentati fianco a fianco (ad esempio il tiro con l’arco), ad attestare (in un’età alta) come l’attività ludico-ricreativa consenta momenti di interazione sociale: opportunità che si svilupperà nei secoli a venire. Nell’Inghilterra del secolo XIII, infatti, i contadini, oltre a trascorrere parte del loro tempo libero dal lavoro dei campi nei loro svaghi preferiti (corse di cavallo, finte battaglie, giochi di palla, pattinaggio sul ghiaccio, giostre sull’acqua, gite in barca), si dedicano al backgammon e agli scacchi che, come la caccia, non sono da ritenersi, pertanto, monopolio esclusivo della nobiltà; analogamente le donne degli strati sociali inferiori sono coinvolte talora insieme agli uomini in attività ricreative ritenute normalmente maschili (nuoto, scacchi, tiro con l’arco...).
Anche nel rinnovato universo urbano, gli abitanti non mancano di occupare parte non trascurabile del loro tempo in feste, giochi e diporti di ogni genere, come risulta nella Descriptio nobilissimae civitatis Londoniae (1173-1175) di William Fitzstephen, un unicum nel suo genere per il periodo (soprattutto per la prospettiva storica e sociale in cui l’autore inserisce le pratiche richiamate), che però può ritenersi rappresentativo di molte altre realtà cittadine coeve (pur con le dovute varianti ed eccezioni).
Corse di cavalli, calcio (inglese), tiro con l’arco, lotta, salto, lancio del giavellotto, ma anche di pietre, battaglie con scudi, combattimenti fra animali (galli in particolare), di cani contro orsi o tori, giostre sull’acqua o in terra, pattinaggio sul ghiaccio: sono le attività registrate dal biografo di Thomas Becket, praticate dai londinesi del XII secolo, in vista della loro preparazione militare; per desiderio di vittoria e realizzazione personale.
Il secolo XII, infine, registra la comparsa in Europa degli scacchi, d’origine indiana, ma penetrati nel nostro continente grazie alla mediazione araba. Il gioco, tollerato anche dalla Chiesa, avrà molta fortuna nei secoli a venire, divenendo materia per famosi trattati, nei quali assume valenza simbolica, per esempio, del modo di affrontare la realtà (con sapientia, come nel Libro de los juegos, del re castigliano Alfonso X il Savio, del 1283), o della società del tempo, trasmettendo, in aggiunta, gli insegnamenti del retto vivere (come nel Liber de moribus hominum et officiis nobilium del domenicano Jacobus de Cessolis, d’inizio Trecento).