gioco (giuoco, frequente nel Fiore, ricorre una volta anche nel Convivio)
È usato per lo più in poesia.
Nella Commedia il termine assume spesso il significato, probabilmente mutuato dal provenzale, di " gioia ", " festa ": a indicare la condizione dell'uomo nel Paradiso terrestre: Pg XXVIII 96 onesto riso e dolce gioco, " delectationem " (Benvenuto), " giocondità " (Casini-Barbi), " gioia " (Sapegno, Porena, ecc.); a significare lo stato di letizia dei beati e degli angeli, e le loro manifestazioni di gioia: Pd XX 117 questo gioco, " questa gloriosa festa del cielo " (Venturi); XXXI 133 Vidi a lor giochi [agli " atti esprimenti gioia " degli angeli festanti, Mattalia] quivi e a lor canti / ridere una bellezza; XXXII 103 qual è quell'angel che con tanto gioco [" con tanta festa e letizia ", Buti] / guarda ne li occhi la nostra regina, / innamorato sì che par di foco ?. Analogamente in Rime LXVIII 10 soverchia pena, / la qual nasce del foco / che m'ha tratto di gioco, " vita piacevole. E di gusto curiale e siciliano " (Contini), e in Fiore XXXIV 3 pena del ninferno è riso e gioco / ver quella ch'i' soffersi a la stagione.
Nel senso di " esercizio ricreativo ", " passatempo ", in Fiore LXIV 6 gioco della palla.
Il senso di " gara ", " competizione ", cui si partecipa a scopo ricreativo o per guadagno, è documentato in Pg VI 1 il gioco de la zara, e in Fiore LXIII 3. Cfr. anche CXXV 14, dove il sostantivo è accostato al verbo: dic'a che giuoco, e giuoco a tutti 'nviti: " qualsiasi gioco egli voglia fare, io l'accetto, e con qualsiasi posta " (Petronio). In Pd XVI 42 è detto annual gioco il palio che si correva ogni anno a Firenze, per la festa di s. Giovanni: qui dunque il sostantivo è usato nel senso del latino ludus. In questa stessa accezione compare in Cv IV XXVI 14 Enea... fece li giuochi in Cicilia ne l'anniversario del padre.
Più particolare l'accezione del termine in Fiore CXLVI 1 giuoco d'amor, e CLVI 14 donna [padrona, signora] del giuoco [d'amore].
In Fiore LXIX 8 il su' buon gioco mette a ripentaglia, ha il senso figurato di " probabilità di successo ".
Nel senso di " cosa da nulla " il sostantivo è usato in Rime XLII 2 vostro manto / di scienza parmi tal, che non è gioco.
In Pg II 66 lo salire ornai ne parrà gioco, il termine è variamente inteso: " delectabile " (Benvenuto), " legier cosa " (Vellutello), ovvero " cosa da nulla " (Mattalia), e, più adeguatamente, " dilettevile et agevile " (Buti, seguito dal Vandelli [" cosa agevole e piacevole "], da Casini-Barbi e da altri). Nella locuzione ‛ a g. ' (If XXIX112) significa " scherzo " (ma v. anche oltre, If XVII 102).
Due interpretazioni si danno del sostantivo in If XX 117 Quell'altro che ne' fianchi è così poco, / Michele Scotto fu, che veramente / de le magiche frode seppe 'l gioco.
Secondo Benvenuto, esso vale " delusionem; quia magi... faciunt illusiones, non res veras ", e così pure intendono l'Andreoli, il Vandelli (" arte vana "), il Sapegno (" arte illusoria ") e altri; diversamente, Iacopo attribuisce al termine il significato di " maestria ", accolto, sia pure con varie sfumature, da parecchi commentatori: fra i moderni, dal Chimenz (" esercizio, magistero ") e dal Mattalia, secondo il quale D. " assume, e qui la differenza nel confronto degli antichi, il moderno astrologo nella sfera della frode di alto livello intellettuale, ammantata di scienza anche autentica, come fu in Michele Scotto, ché ingannare in un ambiente come la corte di Federico II doveva esser mestiere da esigere arte sopraffina "; meglio di tutti - ci pare - il Porena, il quale, rilevato che " il concetto di inganno è già contenuto in frode ", intende g. come " il funzionamento, il meccanismo ". In quest'ultima accezione ci sembra usato il termine, secondo quanto sostiene ancora il Porena, anche in If XVII 102 e poi ch'al tutto si sentì a gioco, detto di Gerione: " sentì che i suoi movimenti erano liberi di giocare, cioè di funzionare "; ma la maggior parte degl'interpreti intende, più genericamente, " a suo agio " (Casini-Barbi, Mattalia, ecc.).