Gioco
Secondo una definizione fornita nel 1938 dallo storico olandese Johan Huizinga nel suo studio Homo ludens, il gioco può essere considerato "una libera attività [...] che esula dalla 'vita quotidiana', [...] 'non seria', ma capace tuttavia di assorbire intensamente e totalmente [i partecipanti]. Essa si svolge entro propri confini spazio-temporali in base a regole prefissate e in modo ordinato. Il gioco favorisce la formazione di raggruppamenti sociali che tendono [...] a sottolineare le caratteristiche che li rendono diversi dal resto del mondo".
Sia la gente comune, sia quelli che possono essere definiti 'professionisti' considerano il gioco come un'attività caratterizzata da un proprio status e da un proprio contesto. I bambini, che identificano spontaneamente il gioco con la vita stessa, costituiscono un'eccezione, ma il processo educativo li condiziona abbastanza esplicitamente ad accettare il punto di vista degli adulti. Il campo da gioco della ricreazione può essere utilizzato solo nell'intervallo tra le lezioni, che rappresentano il momento 'serio' della scuola. Nondimeno, l'attenzione dedicata allo sport infantile dimostra che gli educatori ne riconoscono appieno l'importanza. Non a caso il duca di Wellington, dopo la vittoria su Napoleone, ebbe a dichiarare che la battaglia di Waterloo era stata vinta sui campi da gioco di Eton - un collegio per l'aristocrazia inglese. In effetti anche una battaglia può essere considerata un caso limite di gioco.In italiano, come in molte altre lingue, 'gioco', 'giocare' e 'giocattolo' hanno tutti la medesima radice, ma il fatto che nella lingua inglese questi termini diventino rispettivamente game, play e toy non significa che gli anglofoni non li assegnino a una medesima sfera concettuale. Tuttavia i differenti termini impiegati nel contesto dei giochi nelle varie lingue si rivelano assai utili per un'ulteriore analisi. È significativo, ad esempio, il fatto che in italiano 'ludo' - derivato dal latino ludus - non sia il termine usuale per designare il gioco, mentre il verbo 'ludere' è ormai scomparso. Ancora, il fatto che la radice latina sopravviva in termini correnti quali 'allusione', 'collusione', 'delusione' e 'illusione', che implicano in una forma o nell'altra il concetto di inganno, è significativo per quanto riguarda il ruolo che l'inganno svolge in molti giochi.
La classica tassonomia dei giochi proposta dallo studioso francese Roger Caillois (v., 1958) è basata sui cinque termini greci, più quello latino ludus, riportati nella tabella. Ilinx, mimos, alea e agon costituiscono le quattro dimensioni del gioco; esse però non si escludono a vicenda, cosicché, a seconda delle circostanze, un determinato gioco può presentare elementi di due o più dimensioni. Anzi, questo è ciò che accade normalmente. Nella dimensione definita da ilinx (vertigine) rientrano quei giochi caratterizzati dall'assenza di costrizioni fisiche: ciò determina un senso di eccitazione che in certi casi, come ad esempio nell'alpinismo, cresce fino a far perdere la percezione del pericolo. In una situazione che rientra nella categoria ilinx - spesso, ma non necessariamente, condivisa con altre persone - il senso di eccitazione è fortemente individuale. Nel mimos, invece, ha un'importanza assai maggiore la partecipazione di altri individui, anche se in veste di semplici spettatori; l'interazione è però più di tipo cooperativo che non competitivo.
Diversamente da quanto accade nelle situazioni di ilinx e di mimos, quelle di alea e di agon richiedono due o più partecipanti, o gruppi di partecipanti, che giocano gli uni contro gli altri, cosicché una parte vince e l'altra perde. Questa caratteristica definisce il gioco secondo un'accezione piuttosto ristretta ma assai comune del termine. La simmetria, sebbene spesso implicita nelle regole del gioco, non è essenziale, specialmente nel caso dell'alea, come dimostrano gli esempi riportati nella tabella. Conformemente al significato dei termini greci, l'alea è caratterizzata dall'elemento della casualità, l'agon dall'elemento agonistico. Nei giochi di pura alea l'abilità non ha alcun ruolo, sicché i giocatori incalliti che pretendono di avere scoperto un sistema vincente nei giochi d'azzardo, quale la roulette, non fanno che ingannare se stessi.
L'elemento distintivo dell'agon è esattamente opposto a quello dell'alea, in quanto caratterizza quella categoria di giochi il cui esito, alla fine, è determinato dalla maggiore abilità di chi vince rispetto a chi perde. Il rapporto tra vittorie e perdite, a un dato livello, è il criterio più comune per misurare l'abilità: è questo, ad esempio, che determina la promozione o la retrocessione di una squadra nella classifica del campionato. Ciò non significa peraltro che la componente agonistica escluda necessariamente quella della casualità: nel backgammon, ad esempio, è il lancio dei dadi a stabilire le mosse consentite a ogni turno di gioco. In casi del genere, che sono piuttosto numerosi (e comprendono quasi tutti i giochi di carte), il giocatore ha nondimeno la possibilità di scegliere tra varie mosse, e una scelta è quindi intrinsecamente migliore delle altre. L'abilità del giocatore è misurata dalla frequenza con la quale egli compie la scelta migliore, e il minor margine di errore alla lunga neutralizza sempre l'elemento della casualità. In altre parole, nei giochi in cui è presente la componente dell'agon il giocatore migliore alla fine vince sempre.
In ciascuna dimensione paidia e ludus definiscono i due estremi di una gamma. La paidia connota la fantasia scatenata dei giochi infantili, mentre il ludus connota i giochi 'seri' degli adulti, con regole complicate che creano ostacoli da superare. La tabella illustra il passaggio dalla paidia al ludus elencando alcuni tipi di ricreazione - dai giochi sfrenati e rumorosi dei bambini alle parole incrociate - scelti tipicamente da individui, giovani e anziani, in differenti situazioni della vita reale. La tabella illustra analoghe transizioni per ciascuna delle quattro dimensioni.
Nel passaggio dalla paidia al ludus svolgono un ruolo importante altri due fattori. Il primo è quello delle regole e dei regolamenti. Tranne che nel caso dei bambini molto piccoli, le regole sono considerate indispensabili per definire ciò che, in un determinato contesto, è considerato gioco: così, come abbiamo già osservato, il gioco libero a scuola è confinato all'ora della ricreazione e fuori delle aule di lezione. Le regole, però, possono essere ben più articolate e complesse. Lo svago consistente nel tirar calci a un pallone nel cortile di una scuola, ad esempio, è trasformato nel gioco del calcio dall'imposizione di regole dettagliate, concordate a livello internazionale, che definiscono il numero dei giocatori, le dimensioni del campo e delle porte di ciascuna metà campo, la durata di ciascun tempo di gioco e soprattutto tutte le azioni considerate fallose - come ad esempio ricevere una palla in posizione di fuori gioco - per ognuna delle quali è prevista una gamma di penalità. Un gioco caratterizzato da regole formali di questo tipo può essere definito 'regolamentato'. Per alcuni giochi, che definiremo 'costituiti', le regole sono ancora più essenziali, anzi, se non esistessero tali regole non esisterebbe nemmeno il gioco. Giochi di questo tipo possono rientrare sia nella categoria alea (come la roulette) che in quella agon (come gli scacchi).
Il secondo fattore, che chiameremo 'strumentale', riguarda gli oggetti materiali necessari per giocare. Il calcio - sia nel cortile di una scuola che in uno stadio internazionale - richiede come minimo un pallone, se non i pali che delimitano le porte. Generalmente, quando il mutamento di contesto fa passare un gioco dalla paidia al ludus, il fattore strumentale diventa più specifico e complesso: nel calcio, ad esempio, le regole stabiliscono perfino l'abbigliamento dei giocatori, prescrivendo in particolare che il portiere sia vestito in modo diverso dagli altri per mettere in evidenza il suo status privilegiato nella squadra. Per i giochi costituiti l'apparato strumentale è definito in modo assai rigido: gli scacchi, ad esempio, richiedono uno specifico insieme di pezzi, che devono essere disposti in un determinato modo, e solo in quello, su una specifica scacchiera (in questo caso, però, le dimensioni fisiche concrete - essenziali per un campo di calcio - non sono rilevanti). L'apparato strumentale non sempre è specifico di un solo gioco: un mazzo di 52 carte può essere usato per tutta una serie di giochi, sia di alea che di agon, i quali però sono tutti inevitabilmente 'costituiti' (il bambino che costruisce un castello di carte - un esempio di pura paidia - non fa propriamente un gioco di carte).
Se si accetta il fatto che i giochi, perlomeno nella vita quotidiana degli adulti, rientrano per la maggior parte nelle dimensioni dell'alea e dell'agon, bisogna anche riconoscere con chiarezza il ruolo fondamentale assunto, a vari livelli, dalla matematica. Molte persone utilizzano e applicano la matematica, che si basa in larga misura sui numeri, esclusivamente nel tempo dedicato ai giochi, sia come spettatori che come partecipanti. Un semplice operaio, a seconda del paese in cui vive, saprà perfettamente il suo miglior punteggio al biliardo, o l'ammontare della perdita subita al poker la notte precedente, o la media di battute valide del suo giocatore di baseball favorito, o il posto in classifica della sua squadra di calcio nel campionato locale (nonché il numero di gol realizzati nella corrente stagione), o le quotazioni del cavallo favorito nella corsa che si svolgerà l'indomani all'ippodromo locale.Le possibilità matematiche sono così numerose e diverse che si rende necessaria una tassonomia sistematica per ricondurle a un qualche tipo di ordine. Si possono distinguere sei categorie fondamentali: struttura inerente, struttura imposta, punteggio, classifica, prestazione, probabilità. Per alcuni giochi particolari, o per determinate occorrenze di un gioco, alcune di queste categorie non sono applicabili, ma il carattere di qualunque gioco - sia esso il sumo giapponese o gli scacchi - nonché il posto che esso occupa nella cultura locale sarà sempre determinato in larga misura dalle categorie di sua pertinenza. In tutti questi casi sussisterà anche una precisa relazione numerica tra i fattori che rientrano nelle differenti categorie: l'esatta natura di questa relazione sarà spesso oggetto di appassionate discussioni tra le persone coinvolte, sia direttamente in qualità di giocatori, sia indirettamente come spettatori, lettori di giornali o scommettitori. Alcuni esempi serviranno a illustrare ciò che abbiamo detto.
La struttura matematica inerente di un gioco è implicita nelle sue regole costitutive. Questa categoria di conseguenza si applica prevalentemente ai giochi di tipo intellettuale praticati al chiuso, come gli scacchi o il bridge. Nel caso degli scacchi tale struttura non è certo immediatamente evidente, e ogni analisi matematica richiederà una notazione adeguata per le possibili mosse. Tutti i programmi per giocare a scacchi col computer fanno uso di notazioni di questo tipo. Nel bridge, come in quasi tutti i giochi di carte, il fondamento numerico è abbastanza evidente, sebbene abbia una quantità di aspetti diversi, e include il valore di ognuna delle tredici carte di un seme, nonché l'ordine gerarchico dei quattro semi; il risultato di ogni mano è poi determinato dal numero di prese fatte dal dichiarante in rapporto al contratto stabilito in precedenza. Una strategia vincente richiede quindi l'applicazione di tecniche matematiche avanzate (che nei giochi di carte sono in larga misura di tipo statistico) per valutare a ogni stadio del gioco la posizione raggiunta e le informazioni disponibili.La struttura numerica imposta è una caratteristica dei giochi 'regolamentati' praticati all'aperto, come ad esempio il calcio, in cui il numero dei giocatori di una squadra, le dimensioni del terreno di gioco e la durata di ciascun tempo, associati, quando è il caso, ad altre dimensioni quali l'estensione o la durata temporale, possono essere espressi solo in termini numerici.Il punteggio è il fattore che determina il vincitore in ogni partita di un certo gioco. In alcuni casi, ad esempio nel calcio, il punteggio si ottiene con un semplice conteggio. La squadra vincente è quella che ha realizzato un maggior numero di gol (sebbene nel calcio professionale a volte venga attribuito un valore maggiore ai gol effettuati negli incontri fuori casa). Il tennis, invece, è molto più complicato, in quanto il risultato finale si decide a quattro livelli: punto, gioco, set e incontro. Il bridge va ancora più in là, sicché il punteggio di ciascun giocatore, in ogni momento del gioco, è valutato in un numero esatto di punti, il quale a sua volta è il risultato di un intricato, per quanto elementare, processo aritmetico fissato dalle regole.
Le prime tre categorie, ossia la struttura inerente, la struttura imposta e il punteggio, sono intrinseche a ogni gioco al quale si applicano, ossia sono presenti in ogni partita di quel gioco. Le altre tre categorie - prestazione, classifica e probabilità -, sebbene estrinseche, determinano in larga misura il coinvolgimento del pubblico in molti giochi popolari.
La prestazione misura il risultato del singolo giocatore: ad esempio, il numero di gol segnati da una stella del calcio o il numero di cavalli vincenti montati da un fantino. La classifica, invece, stabilisce la collocazione di un giocatore, o di una squadra, in una gerarchia ordinata che è parte dell'organizzazione 'globale' del gioco in questione. I campionati di calcio, nazionali o internazionali, ne sono un chiaro esempio. La classifica e la prestazione possono essere strettamente collegate in una struttura formale, come negli scacchi o nel sumo, ma in tutti i casi tendono a essere correlate, in quanto sono entrambe un modo per misurare i risultati positivi.Le probabilità forniscono la base matematica per predire l'andamento futuro relativo alla classifica e alla prestazione, sulla base dei risultati ottenuti in precedenza. Esse possono essere valutate semplicemente su basi statistiche, ma nella pratica si tiene sempre conto anche di altri fattori imponderabili. In ogni sport, comunque, è sulle probabilità che si basano le scommesse o il gioco d'azzardo.
Scommessa e gioco d'azzardo sono termini che definiscono un processo in cui due o più individui, ognuno sulla base delle proprie valutazioni delle probabilità matematiche relative a un evento futuro, concordano una somma di denaro che passerà di mano a seconda del risultato dell'evento in questione. Questa può sembrare una definizione piuttosto astrusa di un comunissimo evento osservabile in quasi tutte le società e in quasi tutte le epoche storiche, perfino nelle società senza moneta - ad esempio tra gli Indiani delle Pianure nell'America del primo Ottocento - nelle quali il denaro è sostituito da altri beni di riconosciuto valore. Il processo mentale consistente nel valutare le probabilità è in larga misura implicito, ma scommesse e gioco d'azzardo esistono ed esisteranno sempre perché le valutazioni effettuate da individui diversi sono spesso diverse. Il giocatore che scommette tre a uno con un allibratore lo fa - almeno in via di principio - perché è convinto che le probabilità del cavallo da lui dato vincente siano migliori.
La scommessa non è legata in modo essenziale all'evento sul quale verte. Qualunque evento futuro (o qualunque evento passato, ignoto ma appurabile) può essere oggetto di scommessa. Le scommesse sono legate ai giochi per il semplice fatto che in genere si scommette sul risultato di una qualche competizione sportiva, come una corsa di cavalli o una partita di calcio. La possibilità di scommettere aumenta enormemente l'interesse del pubblico per le competizioni sportive, e generalmente tale interesse si incentra sulla forma, attestata dalle prestazioni passate, più che sulle rigorose probabilità matematiche. Così come avviene nel contrasto tra alea e agon, la matematica alla distanza vince sempre, e questo spiega perché gli allibratori facciano buoni affari. Nello stesso tempo, il fatto che attraverso le scommesse aumenti enormemente il numero delle persone coinvolte può trasformare il ruolo assunto nella cultura popolare da qualunque gioco sul quale si scommette, con evidenti conseguenze sul piano economico e sociale.Il gioco d'azzardo, visto in questa prospettiva, non differisce in alcun modo dalla scommessa. L'azzardo in qualsiasi forma è basato su un gioco, generalmente un gioco costituito (secondo la definizione data in precedenza): il gioco stesso determina sia le probabilità che il risultato, e quindi il modo esatto in cui la posta deve cambiare di mano. Anche questa definizione può apparire astrusa, ma il suo significato risulta chiaro non appena applichiamo il principio a un caso concreto, come la roulette. L'esempio mostra come l'individuo debba essere direttamente coinvolto nel gioco d'azzardo, il che spiega perché, come fenomeno sociale, quest'ultimo tenda a essere localizzato in centri ufficialmente autorizzati, come Montecarlo o Las Vegas. Il tipico gioco d'azzardo tende a essere pura alea, sicché contro ogni giocatore il casinò alla distanza vincerà sempre, per il semplice fatto che le probabilità matematiche sono in suo favore (questo, tra l'altro, è uno dei motivi per cui il gioco d'azzardo è soggetto a una rigida regolamentazione giuridica e spesso viene proibito in assoluto). È vero che a Las Vegas è possibile giocare anche a poker (in cui la presenza della componente agonistica fa sì che vinca il giocatore migliore), ma esso ha un ruolo marginale rispetto alle attività principali del casinò.
Il fatto che il carattere di ogni gioco sia determinato da regole in larga misura astratte ha due conseguenze. In primo luogo, poiché queste regole possono essere tradotte in ogni lingua senza che vengano alterate le proprietà essenziali del gioco, il gioco stesso può valicare i confini delle singole culture. La seconda conseguenza deriva dalla prima: ogni cultura definisce automaticamente la sfera sociale dei giochi che ha scelto di adottare, qualunque sia la loro origine. Queste due circostanze contribuiscono a spiegare perché i giochi siano tanto spesso il denominatore comune di culture assai diverse (che per il resto possono condividere poco altro), mentre, allo stesso tempo, il ruolo che essi hanno in ogni cultura specifica dipende da fattori puramente locali.
Per illustrare queste caratteristiche si rivelano particolarmente istruttivi due giochi: l'oware, praticato prevalentemente nelle società tradizionali, e il golf, un tipico gioco del mondo moderno. L'oware, descritto dettagliatamente da Zaslawski (v., 1973), è un gioco da tavolo praticato in quasi tutta l'Africa e conosciuto anche in altre parti del mondo, come Suriname, Brasile e Indonesia. Nella sua versione più semplice, e probabilmente più comune, esso è giocato su una tavola sulla quale sono state praticate due file di sei fori, in ognuno dei quali all'inizio del gioco vengono piazzati quattro contrassegni. Ciascun giocatore deve muovere i propri contrassegni secondo determinate regole allo scopo di 'catturare' quelli dell'avversario.
Sebbene l'oware sia praticato in differenti contesti culturali, è riconosciuto ovunque come un gioco che richiede grande abilità. I giocatori migliori spesso erano invitati alla corte dei capi, tra i quali l'oware era assai diffuso come svago dalla politica. In questi casi la tavola da gioco era di legno artisticamente intagliato. Al pari di altri giochi familiari, come ad esempio gli scacchi, il vocabolario dell'oware, in cui figurano termini quali 'prigionieri' e 'uccisi', fa del gioco una metafora della guerra. Nel Suriname, tuttavia, l'oware - associato alla morte - è giocato nella Casa del Lutto per intrattenere lo spirito dei defunti in attesa di sepoltura. In Uganda il gioco, conosciuto come omweso, era assai popolare presso il Kabaka, il re tradizionale del Buganda, ma era praticato anche dai bambini, che improvvisavano una tavola da gioco scavando buchi nella sabbia. Questo esempio dimostra come, allorché un gioco è diffuso in varie culture, ciascuna di esse definisca un proprio contesto distintivo.
Passando dalle società tradizionali dell'Africa e dalle culture di origine africana alla Scozia, troviamo nel golf un gioco praticato dalla gente comune; pagando una quota modesta, anche un operaio nel suo tempo libero può permettersi di giocare una partita nel campo municipale. Ciò dipende dal fatto che in Scozia esistono molti terreni inadatti all'agricoltura, ma perfetti per campi da golf, anche nelle vicinanze delle grandi città. L'opposto accade in Giappone, un paese assai più densamente popolato e con centri urbani di dimensioni molto maggiori, in cui i terreni delle campagne, quando non sono adibiti alle colture, sono troppo accidentati anche per farne dei campi da golf. Ogni terreno destinato a quest'uso è sottratto allo sviluppo urbano o alla coltura del riso, e di conseguenza è estremamente costoso. Il fatto che nonostante ciò il golf sia così diffuso in Giappone dipende principalmente da due ordini di motivi: in primo luogo, la complessa matematica del golf esercita un grande fascino su un popolo come quello giapponese ossessionato dai numeri; in secondo luogo, il fatto che il golf sia tanto costoso lo rende un'attività di grande prestigio, che rispecchia il successo economico di quanti possono permettersi di praticarlo. L'operaio giapponese, come il suo collega scozzese, parteciperebbe volentieri a questa cultura, ma deve accontentarsi di un'ora di gioco in uno degli innumerevoli campi di allenamento artificiali che si possono trovare anche nel cuore della giungla urbana.
In Giappone e in Scozia, o dovunque sia praticato, il golf conserva sempre la stessa forma esteriore; altre volte, invece, culture differenti, pur mantenendo la struttura essenziale di un gioco, gli assegnano una forma materiale alquanto diversa. Il gioco inglese delle bocce e la pétanque francese sono strutturalmente identici, ma i loro contesti socioculturali non potrebbero essere più diversi. Le signore inglesi vestite di bianco immacolato che lanciano grandi bocce nere su un manto erboso perfettamente curato sono difficilmente accostabili ai contadini francesi in rozzi abiti da lavoro che lanciano bocce di ferro di piccole dimensioni in un cortile polveroso accanto al bistro locale: tuttavia il gioco è essenzialmente lo stesso in entrambi i contesti.
Bocce e pétanque, nonostante abbiano una collocazione sociale assai diversa, hanno un'importanza relativa nel contesto della cultura di massa. Le persone coinvolte sono giocatori, non spettatori, scommettitori o giornalisti, e le loro gare non hanno la pretesa di essere trasmesse in televisione durante le ore di maggiore ascolto. Altri giochi, invece, anche nelle società tradizionali, dove non esiste la divulgazione dovuta ai mezzi di comunicazione, hanno una notevole capacità di coinvolgere quanti non vi partecipano direttamente, e non in modo superficiale bensì sino al punto di generare spesso un'ossessione incontrollata che può anche sfociare in manifestazioni di violenza. Tale ipertrofia è un aspetto della psicologia della folla nell'ambito dei giochi. Il calcio, il pugilato e altri sport popolari vi sono particolarmente esposti, in quanto sono intrinsecamente violenti e possono scatenare istinti di violenza che in un gruppo di grandi dimensioni sono difficili da sublimare. Il fenomeno non è circoscritto al mondo moderno, ma riguarda anche le società tradizionali: il gioco del tika - le popolari 'freccette' del mondo inglese - praticato nella remota isola polinesiana di Tikopia non è che un esempio. In questo gioco la scelta delle squadre, descritta da Firth (v., 1930, p. 68), "avviene in larga misura secondo le linee della tradizionale opposizione dei due distretti dell'isola, Faea e Ravenga". La squadra cui appartiene un giocatore è determinata quindi dal gruppo di parentela in cui è nato. Questa è "la caratteristica essenziale della gara; persiste per generazioni mentre i singoli membri delle squadre vengono man mano rimpiazzati. Il punteggio, che costituisce il fulcro dell'interesse, è segnato solo per la squadra, e non si tiene alcun conteggio dei tiri vincenti di ogni singolo giocatore" (ibid., p. 95). Secondo un modo di procedere caratteristico delle società tradizionali, nessuna regola prescrive il numero dei giocatori di una squadra (anche per giochi quale il calcio questo è uno sviluppo relativamente recente).
Il tika, come quasi tutti i giochi, tradizionali o moderni che siano, si svolge in un'apposita area di gioco chiamata marae. Esso inoltre è strutturalmente isomorfo ad altri giochi, ad esempio quello delle bocce, in cui ogni giocatore deve cercare di piazzare un oggetto quanto più vicino possibile a un punto prefissato. Tutto ciò dimostra come le forme strutturali fondamentali possano ripresentarsi invariate in culture diverse senza che vi sia stato un processo di diffusione.Nel mondo moderno le violenze negli stadi di calcio testimoniano le capacità dei giochi di esprimere una antistruttura sociale. Al pari del tika di Tikopia, un incontro di calcio può diventare un evento che coinvolge l'intera popolazione. Nel mondo moderno, dominato dai media, alcuni giocatori si trasformano in eroi popolari: si pensi al calciatore argentino Maradona, o al fantino che vince il Palio di Siena. Un fenomeno analogo si osserva per i protagonisti di alcune feste popolari tradizionali, dal gion matsuri di Kyoto (che ha una tradizione millenaria) al carnevale di Rio de Janeiro. È infatti senz'altro più facile immedesimarsi in questi eroi che in coloro che hanno avuto successo in politica o nel campo degli affari.
Il processo attraverso il quale un gioco riesce a coinvolgere un'intera popolazione era considerato da Caillois (v., 1958) "una fatale deviazione [...] prodotta da una contaminazione con la vita quotidiana [cosicché] l'istinto che governa il gioco travalica i suoi rigidi confini spazio-temporali senza regole previamente concordate". Per quanto riguarda il mondo moderno questa è una possibile interpretazione del coinvolgimento popolare nel calcio professionale, per cui la gara viene proseguita al di fuori dello stadio dai tifosi che si affrontano in un'atmosfera di totale anarchia.Sul piano antropologico casi come quelli del tika dell'isola di Tikopia sembrano indicare che un gioco, definito da proprie regole, sia solo uno strumento culturale per mettere in luce, in un contesto riconosciuto, forze sociali preesistenti e antagonistiche. Per servirci di una metafora familiare, il tika in quanto fenomeno sociale non è che la punta di un iceberg. Per quanto riguarda il mondo moderno, lo stadio del calcio può essere considerato anch'esso un punto focale in cui queste forze sociali sono espresse in forma di spettacolo: se idealmente ciò consente una loro sublimazione, nella realtà spesso tale processo non si verifica e si assiste così allo scontro violento tra i tifosi delle squadre avversarie dopo che il gioco si è concluso.
Nella definizione data da Huizinga, che abbiamo parzialmente riportato all'inizio dell'articolo, il gioco "è un'attività che non ha alcuna connessione con interessi materiali, e dalla quale non si ricava alcun profitto". Nei quasi sessant'anni intercorsi dalla pubblicazione del testo di Huizinga questa affermazione non ha cessato di essere messa in discussione. È forse vero che qualunque gioco può esser fatto senza pensare di trarne un guadagno o un profitto, ma anche questa affermazione risulta discutibile nel caso di quei giochi che per loro stessa natura sono occasione di scommessa e di azzardo. Tuttavia, tralasciando questo caso (che abbiamo discusso in precedenza), resta pur sempre vero che milioni di persone giocano a tennis o praticano sport invernali senza pensare minimamente a una ricompensa materiale; anche a questo livello, però, la produzione e la fornitura degli appositi equipaggiamenti e l'allestimento di impianti sportivi - come gli impianti di risalita per lo sci - rappresentano un settore fiorente in tutte le economie moderne. Così, ad esempio, il problema del disboscamento delle pendici delle montagne per aprire piste da sci, che è strettamente collegato con questioni ambientali, è diventato in alcuni paesi alpini uno dei principali temi del dibattito politico. Considerazioni analoghe possono essere fatte sulla scelta di destinare a campi da golf una parte del poco terreno disponibile in aree densamente popolate quali le Hawaii o il Giappone.Il grande richiamo esercitato da giochi come la pallacanestro o il calcio si basa sul fatto che essi sono praticati da professionisti di grande abilità e preparazione, e si svolgono di fronte a vaste folle che ora includono non solo le migliaia di spettatori presenti negli stadi, ma anche milioni di persone in tutto il mondo, attraverso le trasmissioni televisive via satellite. Le somme astronomiche pagate dalle società sportive per i giocatori migliori non sono nulla in confronto a quelle che devono sborsare le reti televisive per assicurarsi l'esclusiva dei diritti di trasmissione. Inoltre, non solo le città, ma intere nazioni sono coinvolte nei risultati degli incontri, al punto da scatenare vere e proprie guerre, come avvenne nel 1969 tra Honduras ed El Salvador a seguito di un incontro di calcio tra i due paesi a Città di Messico.
Nelle società tradizionali i giochi possono essere anche una questione di vita o di morte. Il caso classico è il gioco della pelota praticato nella Mesoamerica, un gioco noto già al tempo dei Maya (che probabilmente ne furono gli inventori) col nome di pokta-pok. I campi in cui veniva giocato erano strutture imponenti, in grado di ospitare centinaia di spettatori, e l'elaborato rituale prescritto per ogni gara ne rifletteva il significato cosmico. Come ha osservato Humphrey (v., 1981, p. 147), "questo gioco permetteva ai singoli individui di mettere alla prova i propri poteri contro quelli dell'universo in un radicale gioco d'azzardo". Anche i più poveri scommettevano sui risultati, e i governanti, come ad esempio Nezuahualpilli di Acolhua, potevano arrivare a mettere in palio tutto il loro regno. Le testimonianze archeologiche sembrano indicare, sebbene non in modo definitivo, che la squadra perdente fornisse vittime per sacrifici umani. Anche nel nostro secolo un antico e diffuso gioco infantile, in cui ogni giocatore sceglie con un gesto una delle tre posizioni che rappresentano le forbici, la carta e la pietra, nella sua versione giapponese - nota come janken - era utilizzato per selezionare i piloti kamikaze per le missioni suicide negli ultimi mesi della guerra del Pacifico. Il paradosso, in questi casi, è dato dal fatto che la scelta di un gioco per questi obiettivi di morte è giustificata dal principio che tutti i giocatori hanno eguali probabilità. Una squadra vince o perde la partita di pok-ta-pok perché gli dei, in risposta all'elaborato rituale, decidono così. Anche in Giappone i kami (spiriti) decretano chi deve vincere o perdere nel janken quando si tratta di scegliere i piloti kamikaze.
Il fatto che l'ideale sia spesso in conflitto con la realtà, e che la violenza sia dentro che fuori del campo da gioco caratterizzi spesso i principali avvenimenti sportivi, non intacca l'ethos utopistico insito nel gioco. Questo è uno dei motivi per cui i regimi totalitari spesso sono così favorevoli a sponsorizzare gare sportive su vasta scala: i Giochi olimpici di Berlino del 1936, accuratamente orchestrati per esibire il rituale e i simboli della Germania nazista, ne sono l'esempio recente più noto.
Alla luce dei fattori esaminati in questo capitolo, ci si chiede se la definizione di Huizinga possa essere ancora accettata, in tutto o in parte. Molto spesso i giochi sono una parte assai seria della vita quotidiana, e superano anche troppo facilmente i propri confini spazio-temporali, violando spesso le loro regole stabilite e dando così luogo a un notevole disordine. Resta valida, comunque, l'affermazione secondo la quale i partecipanti sono intensamente assorbiti dal gioco ed è senz'altro vero che tendono a formare dei gruppi sociali caratterizzati dalla propensione a sottolineare le proprie differenze rispetto al mondo comune. Ancora una volta è il conflitto tra l'ideale e la realtà che assegna a certi giochi un ruolo culturale, politico ed economico assolutamente speciale nella società, moderna o tradizionale che sia. Huizinga stesso era consapevole del paradosso, e concluse il suo famoso saggio chiedendosi se la vita umana stessa non fosse altro che un gioco. I giochi, anche in una definizione restrittiva, possono rappresentare un modello per quasi tutti i tipi di attività umana, per quanto limitato possa essere il contesto in cui sono praticati.
Caillois, R., Les jeux et les hommes: le masque et le vertige, Paris 1958, 1967² (tr. it.: I giochi e gli uomini: la maschera e la vertigine, Milano 1981).
Firth, J.R., A dart match in Tikopia, in "Oceania", 1930, I, pp. 64-97.
Huizinga, J., Homo ludens, Harlem 1938 (tr. it.: Homo ludens, Torino 1946).
Humphrey, R.L., Play as life: suggestions for a cognitive study of the Meso-American ball-game, in Play as context (a cura di A.T. Cheska), West Point, N.Y., 1981, pp. 134-149.
Zaslawski, C., Africa counts: number and pattern in African culture, Boston 1973.