CAROLI, Gioffredo
Numerose varianti presentano il nome ed il cognome del C., dalla forma Carlo Zuffré del Sanuto, a quella Carlo Giuffré del Guicciardini, a quella Carlo Geoffroy o Gioffredo del Müller e, infine, a quella adottata dal Bognetti, di Gioffré di Charolais.
A trarre in inganno i contemporanei e gli storici fu non soltanto la facile intercambiabilità del nome e del cognome, ma anche la condizione politica del C., rappresentante a Milano di Luigi XII durante il periodo dell'occupazione francese del ducato: di qui le frequenti francesizzazioni del nome.
In realtà il C. nacque a Saluzzo, secondo il Bressy nel 1460, secondogenito di Costanzo la cui famiglia fu ascritta nella nobiltà cittadina il 24 agosto di quello stesso anno, per concessione di Ludovico I, marchese di Saluzzo. Madre del C. fu Violante Della Chiesa, a quanto pare anche lei cittadina saluzzese. Studiò dapprima a Torino e quindi a Pavia, addottorandosi infine nell'università di Bologna, nel 1480, in diritto civile e canonico. Al suo ritorno a Saluzzo entrò subito al servizio di Ludovico II in qualità di segretario, assumendo ben presto un ruolo di rilievo nella politica di avvicinamento alla Francia e di distacco ed emulazione verso il ducato di Savoia inaugurata dal marchese, in aperta smentita delle tradizioni filosabaude del suo predecessore Ludovico I. Nell'aprile 1482, in occasione dell'elezione ducale di Carlo I di Savoia, il C. fu inviato alla corte sabauda, per denunciare gli incerti e perennemente discussi vincoli feudali tra il marchesato di Saluzzo ed il ducato.
La missione in realtà non poteva proporsi risultati tangibili, poiché naturalmente il duca era tutt'altro che disposto a rinunziare alle antiche pretese di preminenza feudale sul marchesato; essa era piuttosto una prima, scoperta avvisaglia della nuova politica di Ludovico II verso il più potente Stato confinante.
Negli anni immediatamente successivi il C. ricoprì varie importanti cariche politiche: dapprima podestà di Saluzzo e poi di Carmagnola, divenne infine vicario generale dello Stato negli anni in cui l'emulazione tra Ludovico II ed il duca di Savoia toccò il culmine, anche per le rispettive pretese alla successione del Monferrato. Nel 1487, quando l'intervento armato del duca di Savoia contro Saluzzo, l'assedio e la conquista della città e l'occupazione di quasi tutto il territorio del marchesato costrinsero Ludovico II a cercare rifugio in Francia, il C. lo accompagnò in esilio, restando presso di lui durante il periodo in cui, per la mediazione di Carlo VIII e della reggente Anna di Beaujeu, Ludovico II e Carlo I rimasero in attesa che la sorte del marchesato fosse decisa da un arbitrato internazionale.
Forse proprio in questi anni il C. strinse alla corte dei Valois quelle relazioni che gli consentirono poi, qualche anno più tardi, di passare al servizio della Francia. Fece ritorno a Saluzzo nel 1490 insieme a Ludovico, quando questi poté riprendere possesso dello Stato in seguito alla morte di Carlo I di Savoia. Rimasto vedovo Ludovico II, per la morte, avvenuta in quello stesso anno, di Giovanna del Monferrato, il C. ritornò in Francia, insieme con Domenico da Montiglio, per trattare il matrimonio tra il marchese e Margherita di Foix, con il quale Saluzzo si poneva esplicitamente sotto la protezione francese.
Nel 1495 il C. prese parte all'intervento militare dei Saluzzesi a Fornovo in favore di Carlo VIII, e combatté a Novara, assediata da Ludovico il Moro.
Fu probabilmente in questi anni che egli entrò al servizio francese: nel 1499, infatti, quando il C. compare a Milano con l'esercito di occupazione di Luigi XII, aveva il titolo di consigliere nel Parlamento del Delfinato, di cui qualche anno dopo fu anche presidente esercitando la carica con frequenti spostamenti tra Milano e Grenoble.
Sin dall'istituzione del nuovo Senato milanese, l'11 nov. 1499, il C. fu designato a far parte del gruppo di cinque giureconsulti oltremontani compresi da Luigi XII nel ristretto numero di diciassette membri cui il Senato era stato ridotto dalla riforma costituzionale.
Quando, nel febbraio del 1500, i Francesi furono cacciati da Milano, il C. fu, insieme al senatore Claudio de Seyssel, la più alta tra le autorità francesi rimaste asserragliate nel castello durante i due mesi dell'effimera restaurazione ducale. A lui spettò quindi in parte notevole l'organizzazione e la direzione dell'energica resistenza opposta dal castello agli assalti degli Sforzeschi e della costante minaccia esercitata sulla città con i massicci bombardamenti delle artiglierie e le sortite della guarnigione guascona.Rientrato in Milano l'esercito francese del Trivulzio, dopo la cattura a Novara di Ludovico Sforza, il C. riprese il suo posto nel Senato, acquistando sempre maggiore autorità, tanto da divenire, col titolo di vicecancelliere, il principale collaboratore del cancelliere e presidente del Senato Sacierges, vescovo di Luçon, e poi del governatore Chaumont.
Ma soprattutto il C. fu tra i più assidui consiglieri e collaboratori del massimo responsabile della politica francese in Italia, il cardinale Giorgio d'Amboise. Nel 1501 fu inviato alla corte imperiale, a Trento, per preparare l'ambasceria dell'Amboise, trattando preliminarmente con Massimiliano I la conclusione di un accordo franco-asburgico e l'investitura imperiale del ducato di Milano nella persona di Luigi XII.
Il C. rimase alla corte imperiale anche dopo l'arrivo del cardinale, assistendolo nelle sfibranti trattative che portarono lo sfuggente Massimiliano a riconoscere, con la pace di Trento del 13 ott. 1501, la sovranità del re di Francia sul ducato di Milano.
Nel 1503 il C. era a Roma, ancora a fianco dell'Amboise, in occasione del conclave seguito alla morte di Pio III, dal quale lo stesso cardinale francese sperava di uscire con la tiara papale, e che invece con l'elezione di Giuliano Della Rovere (Giulio II) si concluse in un grave scacco non soltanto per l'Amboise, ma per tutta la politica francese in Italia.
Fiaccheggiando l'Amboise nel suo programma di un effettivo e duraturo riavvicinamento della Francia all'imperatore ed all'arciduca Filippo d'Austria - una politica che, seppure approvata da Luigi XII, trovava notevoli difficoltà alla stessa corte francese -, il C. partecipò con il cardinale alle nuove trattative con Massimiliano d'Asburgo, conclusesi ad Hagenau il 6 aprile del 1505.
Anche per l'opera assidua del giureconsulto saluzzese, che le fonti giudicano assai rilevante, le discussioni sembrarono approdare ad un accordo soddisfacente: l'imperatore, infatti, si mostrò disposto a dare esecuzione e sviluppo alla politica di alleanza franco-asburgica già profilata negli accordi di Blois del settembre 1504; così l'Amboise ricevette, in nome di Luigi XII, l'investitura del ducato di Milano, in cambio di un versamento di 96.000 scudi. Veniva inoltre stabilito il matrimonio tra il nipote di Massimiliano, Carlo di Gand - il futuro imperatore Carlo V - con Claudia di Francia, figlia di Luigi XII, un parentado che, nelle ottimistiche previsioni della diplomazia, avrebbe dovuto stabilire un nuovo corso della politica europea. L'Amboise ed il C. ottennero anche da Massimiliano nuove assicurazioni per la realizzazione di una lega contro la Repubblica di Venezia, così come era già stato stabilito negli accordi segreti di Blois. La politica dell'Amboise sembrava pertanto trionfare con gli accordi di Hagenau: ma in Francia il Consiglio reale profittò di una malattia apparentemente mortale di Luigi XII per annullare il trattato. Lo stesso re era indotto poi, con il testamento del 31 maggio 1505, a smentire gli accordi matrimoniali faticosamente raggiunti ad Hagenau, stabilendo il matrimonio di Claudia di Francia con Francesco d'Angoulême, ed i rapporti franco-imperiali tornarono nuovamente a deteriorarsi; mentre Luigi XII si riaccostava al re di Aragona Ferdinando il Cattolico ed al papa.
Ancora una importante incombenza diplomatica il C. ebbe nel 1508, fungendo da principale intermediario tra la corte francese e la Repubblica di Venezia durante l'aspro conflitto di questa ultima con l'imperatore per il dominio delle regioni di confine dell'Istria, del Cadore e del Friuli. L'ambigua politica del governo francese che, mentre preparava gli accordi antiveneziani con Giulio II e con Massimiliano d'Asburgo, non smetteva di incitare la Repubblica veneta alla lotta a oltranza contro gli Imperiali, fu rappresentata dal C. alle trattative svoltesi a Riva tra il plenipotenziario veneto Zaccaria Contarini ed il vescovo di Trento Giorgio di Neideck, inviato dell'imperatore Massimiliano, per concordare una tregua che ambedue le parti contendenti mostravano di desiderare con eguale fermezza e che la diplomazia francese si affannava ad impedire facendo ricorso a tutte le proprie risorse.
Alla tregua l'imperatore si vedeva costretto dallo sfortunato andamento della campagna contro l'esercito veneto condotto da Bartolomeo d'Alviano, che aveva strappato agli Imperiali Pordenone, Gorizia e l'Istria, nonché dalle contemporanee difficoltà della situazione tedesca. Anche la Repubblica veneta era indotta, a sua volta, alla tregua da un doppio ordine di motivi: la recente riconquista di Trieste da parte dell'esercito imperiale, dopo che la città, occupata dall'Alviano, sembrava definitivamente acquisita, aveva profondamente turbato l'opinione pubblica veneziana, dimostrando che l'estenuante contesa con gli Asburgo era ben lungi da una vittoriosa conclusione ed avrebbe anzi potuto protrarsi indefinitamente, continuando ad assorbire in maniera rovinosa le risorse militari e finanziarie della Repubblica; inoltre cominciavano a farsi sempre più allarmanti i sintomi di un imminente accordo tra la Francia ed il papa, che avrebbe potuto rendere operanti i propositi ostili verso la Repubblica espressi quattro anni prima nelle trattative di Blois, che, per quanto fossero state tenute a questo proposito segrete, non erano del tutto sfuggite all'attenzione del governo veneziano.
Gli orientamenti della corte di Francia erano invece nettamente opposti alle comuni inclinazioni dei belligeranti: Luigi XII, infatti, riteneva di poter trarre tutti i vantaggi dal perdurare della contesa veneto-asburgica, che estenuava le due potenze maggiormente avverse alla presenza francese nel ducato di Milano.
Il C. intervenne perciò a Riva, insieme con il condottiero milanese Gian Giacomo Trivulzio, proprio per impedire, con ogni sorta di pressioni sul plenipotenziario veneto, che si arrivasse ad un accordo.
Egli, a questo fine, rinnovò al Contarini i vaghi impegni presi in passato e mai mantenuti dalla Francia di un aiuto militare contro gli Imperiali, un argomento, questo, assai poco convincente per il rappresentante della Repubblica, poiché la cattiva volontà francese a questo proposito era apparsa evidente nel corso del conflitto.
Alle ripulse veneziane il C. cercò almeno di ritardare la conclusione della tregua, allargando l'oggetto delle trattative. Secondo le pretese del diplomatico saluzzese, infatti, gli accordi avrebbero dovuto prevedere anche la fine delle ostilità in Germania tra Massimiliano d'Asburgo ed i principi dell'Impero ai quali Luigi XII ostentava la sua protezione. Ma la Repubblica era ormai decisa a tagliar corto con le esitazioni ed i rinvii e le pressanti insistenze del C., dalle quali il Contarini si sentiva fatto, come scriveva al proprio governo, "martire et confesor" (Sanuto, VII, col. 554) non riuscirono ad evitare che si arrivasse alla tregua, protestando egli invano con il rappresentante veneto "che la impresa comune non si doveva finire se non comunemente, e del poco rispetto alla amicizia e congiunzione" (Guicciardini, II, p. 240).
Era un grave smacco per la diplomazia francese e per lo stesso C., il quale, a quanto riferisce il Sanuto, subito dopo la conclusione della tregua dovette recarsi alla corte di Francia "a giustificarsi di quanto era stà imposto per la Signoria" (VII, col. 578).Dalla Francia il C. fece ritorno a Milano già nell'agosto del 1508. Non trova conferma la notizia del Bressy, secondo cui avrebbe partecipato alle trattative di Cambrai, dove, il 10 dicembre seguente, veniva stipulata la lega tra Luigi XII, Giulio II e Massimiliano d'Asburgo contro Venezia. Proprio mentre si svolgevano i colloqui di Cambrai, il C. si sforzava invece, verosimilmente in perfetta malafede, di rassicurare la Repubblica veneta, attraverso il suo rappresentante a Milano Gian Giacomo Caroldo, delle perduranti intenzioni amichevoli del re di Francia, escludendo ogni riavvicinamento, ai danni della stessa Repubblica, tra Luigi XII e Massimiliano d'Asburgo, "qual non stà saldo un momento" (Sanuto, VII, col. 673).
Negli anni seguenti il C. fu spesso il più diretto responsabile del governo milanese, a causa delle prolungate assenze dello Chaumont, chiamato alle sue alte responsabilità militari nell'armata transalpina operante in Italia. Toccò dunque al C. affrontare la progressiva corrosione dei rapporti tra l'amministrazione francese e la popolazione, presso la quale i disagi derivati dalla aggressiva politica italiana di Luigi XII andavano sempre più alimentando la speranza di una restaurazione sforzesca, nell'illusione che una signoria autonoma avrebbe potuto tenere il ducato al di fuori dei grandi conflitti egemonici.
Nel 1512, quando i Francesi, a causa della crisi politico-militare seguita alla pur vittoriosa battaglia di Ravenna, furono costretti a rinunziare all'occupazione del ducato di Milano, il C. fece ritorno a Grenoble, dove riprese la carica di preside del Delfinato. Qui, nel 1513, lo vediamo incaricato della difesa della città, insieme ad altre autorità cittadine, nel momento in cui si temeva un'invasione spagnola.
Morì a Grenoble il 9 apr. del 1516.
Fonti e Bibl.: M. Sanuto, Diarii, III, Venezia 1880, coll. 193, 439; IV, ibid. 1880, col. 536; VII, ibid. 1882, ad Ind.;F. Guicciardini, Storia d'Italia, a cura di C. Panigada, Bari 1929, II, p. 240; Documenti che concernono la vita pubblica di G. Morone, a cura di G. Müller, in Misc. di storia italiana, III, Torino 1865, p. 9; Lettere ed oraz. latine di G. Morone, a cura di D. Promis e G. Müller, ibid., II, Torino 1863, p. 161; M. Bressy, G. C., cittadino saluzzese del Cinquecento, in Boll. della Soc. per gli studi storici, arch. ed art. nella prov. di Cuneo, XXXV (1955), pp.32-39; G. P. Bognetti, La città sotto i Francesi, in Storia di Milano, VIII, Milano 1957, pp. 19, 32, 38.