GIORDANIA
(arabo al-Urdunn)
Stato del Vicino Oriente, confinante a N con la Siria, a E con l'Iraq, a S con l'Arabia Saudita e a O con Israele. L'attuale regno hashemita di G. (alMamlakat al-Urdunniyya al-Hāshimiyya) è uno Stato artificiale, frutto degli accordi politici seguiti alla prima guerra mondiale; solo verso O le condizioni topografiche furono determinanti per il tracciato dei confini. Di conseguenza non vi è un equivalente né antico, né medievale per l'area dell'attuale Stato, che comprende due zone di formazione diversa e persino per lunghi periodi contrastante: da un lato il tradizionale territorio dei beduini del deserto arabico, vale a dire le steppe desertiche a E e a S; dall'altro le aree di insediamento di contadini stanziali, nella regione collinosa nordoccidentale, l'unica a possedere corsi d'acqua perenni, e nell'estremità orientale della piana del Giordano, con alcuni insediamenti isolati dipendenti da fonti attive tutto l'anno, come quello di Ṭafīla nella G. meridionale. Le rispettive zone di influenza dei coloni e degli abitanti del deserto oscillarono storicamente intorno a quella linea climato-geografica a partire dalla quale è possibile un'agricoltura piovana. Anche l'od. ripartizione del paese in cinque unità amministrative (Irbid, Balqā', ῾Ammān, al-Karak, Ma῾ān) ha un rapporto solo molto indiretto con l'amministrazione tardomedievale, limitata alle zone di insediamento tra Umm al-Jimāl e Ṭafīla.I più importanti storici e geografi arabi che danno notizie per l'epoca tra i secc. 8° e 15° sono: al-Ya'qūbī (m. nell'897), al-Balādhurī (ca. 820-892 ca.), al-Mas῾ūdī (m. nel 956), alMuqaddasī (ca. 945-1000 ca.), Yāqūt (ca. 1179-1229), Abū'l-Fidā (m. nel 1331), Ibn Kathīr (1302-1373), Ibn Khaldūn (1332-1406), al-Maqrīzī (1364-1442), Ibn Iyās (1448-1524 ca.). Anche i ventitré libri di cronache delle crociate di Guglielmo di Tiro (ca. 1130-1186) danno indicazioni sulla Giordania.La storia culturale della regione giordana orientale presenta alcuni caratteri costanti nel lungo periodo, che meritano di essere sottolineati. Contro la progressiva avanzata del deserto, nella c.d. Transgiordania (i territori a E del Giordano), già dal 1200 a.C., i regni dell'età del Ferro di Ammon, Moab ed Edom avevano imposto un ordinamento di tipo rurale. I confini della civilizzazione all'interno del territorio vennero as sunti anche come confini politici, e le regioni fertili della G. orientale divennero, una dopo l'altra, province di confine del regno assiro, neobabilonese e achemenide, e servirono da zona-cuscinetto in funzione difensiva contro le popolazioni nomadi dei deserti del Sud e dell'Est.Tanto più degno di nota è il fatto che in epoca ellenistica, quando l'area coltivata del Nord era oggetto di controversia tra i regni dei Tolomei e dei Seleucidi, il Sud conseguì una propria struttura politica e culturale: lungo la strada dell'incenso, un importante percorso commerciale dell'Antichità, a partire dal sec. 4° a.C. la stirpe araba dei Nabatei si eresse a sovrana dello stato carovaniero. L'ingresso del potere di Roma nel Vicino Oriente nel 63 a.C. confermò dapprima la costante culturale di uno sviluppo differenziato nel Nord e nel Sud dell'od. Giordania. Nel 106 però l'imperatore Traiano avviò la romanizzazione dei territori meridionali, incorporando la Nabatea come provincia di confine dell'Impero. Il limes venne in tal modo spostato e i posti di guardia e i forti con le guarnigioni romane garantirono la sicurezza alla nuova Provincia Arabia fino al Madyan (Arabia nordoccidentale).Diocleziano, intorno al 297, dopo il fallimento di autonome entità politiche arabe, come il regno palmireno, riconfermò la distinzione tra Nord e Sud, limitando la Provincia Arabia all'area settentrionale dell'od. G. e a quella meridionale dell'od. Siria (il confine meridionale della provincia era segnato dal Wādī al-Ḥasā), mentre l'antico regno dei Nabatei - che comprendeva la penisola del Sinai, la regione del Negev e la G. meridionale - e il Madyan vennero inseriti nella provincia della Palaestina Salutaris, divisa a sua volta in tre (Prima, Secunda, Tertia).F.R. Scheck
L'organizzazione amministrativa impostata da Diocleziano si rifletté ovviamente anche sull'ordinamento della gerarchia ecclesiastica. In particolare il concilio di Calcedonia (451) assegnò la Provincia Arabia, con Bosra quale sede metropolitana, al Patriarcato di Antiochia e le tre province palestinesi delle quali erano centri principali rispettivamente Caesarea Maritima, Nysa-Scythopolis (od. Beth Shean) e Petra - al Patriarcato di Gerusalemme.Nel corso del sec. 6° le città e i territori compresi nell'od. G. - distanti dalle aree di maggiore tensione politico-militare, quali per es. la Siria settentrionale e la Mesopotamia, teatro di ricorrenti scontri con il regno sasanide - conobbero un periodo di notevole prosperità, favorito da una fiorente economia agricola e da un vivace volume di scambi commerciali. A questo fenomeno contribuì in parte anche la prossimità con i luoghi santi della Palestina, verso i quali, soprattutto dopo la pace della Chiesa e le conseguenti committenze costantiniane, si era innescato un notevolissimo flusso di pellegrinaggi e di investimenti da parte di membri dell'aristocrazia romana convertiti alla nuova fede, che si tradusse in una benefica ricaduta economica per tutta la regione.Conferma questo quadro la ricca messe di materiali archeologici e monumentali, documentati e indagati in quasi due secoli di ricerche da parte dei primi viaggiatori occidentali e, quindi, da stabili missioni di scavo e di ricognizione territoriale. Mentre paiono limitati e sporadici gli interventi sul limes - come del resto attestano il silenzio su questo punto del De Aedificiis di Procopio di Cesarea e la scarsità delle testimonianze epigrafiche (l'ultimo intervento documentato è un restauro delle mura di Qaṣr el-Ḥallābāt del 529) -, di notevole importanza sono le ristrutturazioni del tessuto urbano delle principali città della regione, nelle quali risalta con particolare evidenza l'inserimento, deciso e talvolta traumatico, degli edifici connessi al culto cristiano.Nel corso del sec. 5° a Gerasa (od. Jarash) si era sviluppato, sui resti di un antico tempio, un complesso costituito da vari edifici - in uno dei quali è forse da riconoscere la cattedrale - che, per la posizione e per gli accenti dell'iscrizione dedicatoria scolpita sull'architrave dell'ingresso occidentale, si poneva in polemica contrapposizione con il vicino santuario dell'Artemision. Terrazzamenti che in precedenza avevano accolto edifici antichi vennero sfruttati sia a Gadara (od. Umm Qeis), fiorente città della Decapoli, per costruire la chiesa ottagonale con pavimento in opus sectile, databile presumibilmente al sec. 6°, sia a Esbus (od. Khirbat Hisbān), nella Provincia Arabia, a km. 10 da Madaba, in una basilica sull'acropoli fondata alla fine del sec. 5° e decorata con mosaici della seconda metà del 6° secolo. L'inserimento degli edifici religiosi nel centro dell'abitato - che si riscontra anche a Pella (od. Ṭabaqāt al-Faḥl) nel complesso religioso, probabilmente la cattedrale, contiguo all'emiciclo del teatro - indica, per questo periodo, una certa vitalità delle città antiche, alla cui funzionalità l'amministrazione bizantina provvide con opere di interesse pubblico, quali la sistemazione di impianti idrici, l'erezione di bagni pubblici, per es. a Gadara e a Gerasa, e la pavimentazione di nuovi tratti stradali urbani, come ad Abila di Decapoli (od. Quaylbeh). Alcuni episodi, come l'obliterazione del cardine di Madaba in seguito alla costruzione, tra la fine del sec. 6° e gli inizi del 7°, delle chiese dedicate al profeta Elia e alla Theotókos, indicano peraltro l'incipiente sfaldamento del tessuto urbano alla vigilia delle grandi invasioni persiana e islamica (Piccirillo, 1989a).All'indomani della tumultuosa rivolta samaritana del 529, l'imperatore Giustiniano incaricò Zaccaria, vescovo di Pella, e Antonio, vescovo di Ascalon, di redigere una stima dei danni patiti dalle città e dai luoghi di culto, per provvedere agli eventuali restauri e rifacimenti. Non è forse quindi un caso se un elevato numero di chiese della G. sono datate, stilisticamente o sulla base di dati epigrafici, a partire dalla metà del sec. 6° con una sorprendente continuità fino al 7° inoltrato.A Gerasa, la nuova stagione costruttiva ebbe inizio con l'edificazione, a cura del vescovo Paolo, delle tre chiese allineate di S. Giorgio (529-530), S. Giovanni (531) e Ss. Cosma e Damiano (533), proseguì con la costruzione della chiesa detta dei Propilei (565) e della cappella del vescovo Mariano, presso l'ippodromo (570), e si concluse, nel corso del sec. 7°, con l'erezione della chiesa del vescovo Genesio, presso le mura settentrionali. Un altro esempio di simile continuità è attestato dalla serie di chiese del villaggio di Riḥāb Banī Ḥasan, a E di Gerasa, in cui otto edifici a pianta basilicale, decorati da mosaici pavimentali, sono datati tra il 582-583 e il 634 (Piccirillo, 1981). Particolarmente eclatante è la situazione di Madaba, che, sotto l'energica guida dei suoi vescovi, conobbe una febbrile attività edilizia sia nell'ambito della città sia nel territorio circostante: già sotto il vescovo Ciro (inizi sec. 6°) il battistero inferiore della cattedrale fu dotato di un mosaico; al tempo del vescovo Elia, tra il 531 e il 536, sono datate le ristrutturazioni e gli abbellimenti del diaconico-battistero nel santuario di Mosè al monte Nebo e della chiesa di S. Giorgio nel vicino villaggio di Khirbat al-Muḥayyat. Con il lungo episcopato di Sergio (575-602) venne realizzato il nuovo battistero e fu completata la sistemazione monumentale dell'atrio della cattedrale, che, insieme alla cappella del martire Teodoro fatta edificare in precedenza dal vescovo Giovanni, costituì lo spazio liturgico in cui doveva svolgersi un elaborato rito battesimale; sempre sotto Sergio venne risarcita la basilica e furono costruiti il nuovo battistero e il diaconico del santuario di Mosè al monte Nebo, mentre la realizzazione delle chiese dedicate alla Theotókos e al profeta Elia lungo il cardine di Madaba fu ultimata con il successore Leonzio nei primi anni del 7° secolo.Caratteristica di questa fioritura di edifici religiosi, costruiti con materiali di riuso oppure di cava reperiti localmente, è l'adozione della pianta basilicale a tre navate divise da arcate su colonne o pilastri, con abside prevalentemente singola e presbiterio sopraelevato. Non mancano peraltro esempi di edifici a pianta centrale a Gadara, a Gerasa, sia nel S. Giovanni sia in una chiesa ottagonale inedita sita poco fuori dell'abitato, e a Madaba nella Theotokos. Per quanto riguarda la decorazione, a parte l'arredo liturgico scolpito in marmo di importazione o in pietra locale, l'elemento più importante e ampiamente diffuso è senz'altro il mosaico pavimentale, steso con ampi tappeti a ricoprire superfici uniformi e, al contempo, articolato in pannelli minori per distinguere spazi particolari dell'edificio. Così, nella navata centrale ricorrono composizioni figurate di vario genere (scene di caccia, di pastorizia, lavori agricoli, personificazioni) disposte entro girali vitinei nascenti da cantari o da cespi d'acanto (Khirbat al-Muḥayyat, Ss. Lot e Procopio, metà sec. 6°), limitate da fasce di bordura in cui sono sviluppati i medesimi temi entro girali o meandri (Khirbat al-Muḥayyat, cappella del prete Giovanni, metà sec. 6°), oppure sono adottati semplici motivi fitomorfi o geometrici. Alle navate laterali sono riservate invece stesure meno complesse, prevalentemente con motivi geometrici o fitomorfi (Madaba, Ss. Apostoli, 578-579; 'Ayn Mūsā presso il monte Nebo, chiesa del diacono Tommaso, prima metà sec. 6°).La distinzione gerarchica tra navata centrale e laterali si perpetua nelle due basiliche triabsidate di Tell Abīla e Umm al-'Amid ad Abila di Decapoli, datate rispettivamente ai secc. 6° e 7°, dove il mosaico geometrico e figurato occupa le navate laterali e gli spazi secondari, mentre alla navata centrale e alla zona presbiteriale è riservato l'opus sectile. Pavimentati in opus sectile a piccoli elementi di marmo e arenaria rosso porpora sono pure la navata, il bema e l'abside centrale di una basilica recentemente scavata a Petra, databile tra la fine del sec. 5° e gli inizi del 6°, che ha restituito anche parte dell'arredo marmoreo e alcuni lacerti della decorazione musiva parietale (Schick, 1993). Una decorazione pavimentale del tutto particolare è costituita dal celebre mosaico detto carta di Madaba, scoperto alla fine del secolo scorso in una basilica sita nella zona settentrionale della città. Il tappeto musivo, che si estendeva per tutta la superficie della basilica, era un'opera di geografia religiosa, un commento iconografico, criticamente riveduto, dell'Onomastikón di Eusebio di Cesarea, in cui la vivace e realistica rappresentazione di città e luoghi, teatro di avvenimenti ricordati dall'Antico e dal Nuovo Testamento, avrebbe celato anche una finalità propagandistica a sostegno del Patriarcato di Gerusalemme e delle sedi vescovili transgiordaniche, nel quadro delle tensioni politico-religiose della fine del sec. 6° (Donceel-Voûte, 1988).Dal punto di vista stilistico, la carta di Madaba è vicina ad altre notevoli opere ascrivibili alla c.d. scuola di Madaba, della quale vanno segnalati, oltre ai citati mosaici della cappella del martire Teodoro e a quelli dei Ss. Lot e Procopio e della cappella del prete Giovanni a Khirbat al-Muḥayyat, datati alla seconda metà del sec. 6°, anche i mosaici della sala dell'Ippolito - un ambiente aggiunto intorno alla metà del sec. 6° a un'esedra di età romana posta sul lato nord del cardine di Madaba - sopra la quale, alla fine dello stesso secolo, sorse la Theotokos. La sala è così denominata per il soggetto dei due principali pannelli a mosaico che illustrano il mito di Fedra e Ippolito secondo una precisa fonte letteraria del sec. 5°, l'Éphrasis eikónos di Procopio di Gaza. I suoi mosaici sono i rappresentanti non isolati - si vedano per es. i pannelli con scena bacchica, di Achille, di Ercole e il leone nemeo (Madaba, Archaeological Mus.) - di una produzione musiva a carattere non religioso il cui ruolo va forse valutato con più attenzione, dopo l'esatta interpretazione del mosaico del 'palazzo bruciato' di Madaba, ritenuto in un primo tempo, per i suoi comuni motivi iconografici, il pavimento di una chiesa.L'edificazione di chiese e santuari riccamente decorati da mosaici pavimentali - ma anche parietali, dell'esistenza dei quali sono testimoni le moltissime tessere rinvenute negli scavi - proseguì per tutto il sec. 6° e per la prima parte del successivo senza apparentemente risentire dell'invasione persiana, sulla spinta di una quanto mai attiva comunità religiosa che volle lasciare memoria della propria pietà attraverso un incessante rinnovamento e ampliamento degli edifici di culto, documentato da un apparato epigrafico che, per ricchezza e varietà di informazioni (nomi e titoli di committenti, donatori, autorità religiose e civili, musivari, datazioni), trova a stento confronti nella storia dell'arte bizantina.
Bibl.: C.H. Kraeling, Gerasa, City of the Decapolis, New Haven 1938; M. Piccirillo, Chiese e mosaici della Giordania settentrionale (Studium Biblicum Franciscanum. Collectio Minor, 30), Jerusalem 1981; I. Browning, Jerash and the Decapolis, London 1982; I mosaici di Giordania, cat., a cura di M. Piccirillo, Roma 1986; E. Russo, La scultura del VI secolo in Palestina. Considerazioni e proposte, AAAH, n.s., 6, 1987, pp. 113-248; P. Donceel-Voûte, La carte de Madaba: cosmographie, anachronisme et propagande, Revue biblique 95, 1988, pp. 519-542; M. Piccirillo, Chiese e mosaici di Madaba (Studium Biblicum Franciscanum. Collectio Maior, 34), Jerusalem 1989a; id., Gruppi episcopali nelle tre Palestine e in Arabia?, "Actes du XIe Congrès international d'archéologie chrétienne, Lyon e altrove 1986" (CEFR, 123), Città del Vaticano 1989b, I, pp. 459-501; id., Recenti scoperte di archeologia cristiana in Giordania, ivi, 1989c, II, pp. 1697-1735; N. Duval, L'architecture chrétienne et les pratiques liturgiques en Jordanie en rapport avec la Palestine. Recherches nouvelles, London 1992; M. Piccirillo, The Mosaics of Jordan, Amman 1993; R. Schick, The Petra Church Project 1992-1993. A Preliminary Report, Annual of the Department of Antiquities of Jordan 37, 1993, pp. 55-66; L.A. Hunt, The Byzantine Mosaics of Jordan in Context: Remarks on Imagery Donors and Mosaicists, Palestine Exploration Quarterly 126, 1994, pp. 106-126; M. Piccirillo, E. Alliata, Umm al-Rasas Mayfa'ah I. Gli scavi del complesso di Santo Stefano (Studium Biblicum Franciscanum. Collectio Maior, 28), Jerusalem 1994; G. Ortolani, Cartografia e architettura nella ''Carta di Madaba'', Palladio, n.s., 7, 1994; Les églises de Jordanie et leurs mosaïques, "Journée d'étude, Lyon 1989" (in corso di stampa).A. Paribeni
Nella battaglia sullo Yarmuk (20 agosto 636), fiume che oggi segna il confine tra Siria e G., l'imperatore bizantino Eraclio perse il dominio politico sull'area giordano-orientale che passò al regno musulmano in via di espansione sotto il califfo ῾Umar (634-644). Tuttavia nella Transgiordania la cultura postbizantina restò dominante. Poiché dopo la catastrofe dello Yarmuk gran parte delle città della regione si arrese senza combattere alle truppe arabe avanzanti, esse rimasero indenni, come voleva la legge islamica. Gli studi hanno reso sempre più evidente il fatto che l'occupazione araba dell'area vicino-orientale determinò fenomeni più di continuità che di frattura. Ancora nel 756, centoventi anni dopo la conquista musulmana, nella chiesa di S. Stefano a Umm al-Raṣāṣ venne posto in opera un nuovo pavimento a mosaico. Fino a questa data tarda vi erano dunque comunità cristiane sufficientemente solide da fondare e rinnovare edifici sacri di notevole impegno in una regione indiscutibilmente islamica. Un ultimo intervento di rinnovo del mosaico nella chiesa di Umm al-Raṣāṣ è testimoniato da un'iscrizione dell'ottobre del 785I mosaicisti cristiani tuttavia limitarono il loro repertorio iconografico, condizionati dal divieto musulmano verso le immagini che a quell'epoca si stava affermando, ed evitarono, con qualche eccezione, le rappresentazioni antropomorfe e zoomorfe. Questa fase postbizantina portò a un rafforzamento dell'antica tradizione specificamente transgiordanica delle raffigurazioni topografiche stilizzate di sedi vescovili e di luoghi santi della Palestina, come è possibile rilevare, oltre che nella citata chiesa di S. Stefano a Umm al-Raṣāṣ, anche nei mosaici (719-720) della chiesa dell'acropoli di Ma῾ īnL'inizio del dominio del califfo Mu῾āwiya, nel 661, diede l'avvio alla prima linea dinastica dell'Islam, quella degli Omayyadi, famiglia di commercianti dell'Arabia centrale. Questi trasferirono la sede del regno da Medina a Damasco e crearono in Siria e in Palestina, ma soprattutto nelle desolate regioni della Transgiordania, importanti residenze: castelli nel deserto, la cui decorazione figurata segue ampiamente il modello postbizantino, tanto da aver fatto per lungo tempo dubitare circa la loro pertinenza alla prima epoca islamicaCome sede cittadina del notabile omayyade e come una delle camere del tesoro della dinastia venne utilizzata la parte terminale nord dell'antica cittadella di ῾Ammān, chiamata Qal῾a, che in quel periodo venne ricostruita sulle fondamenta romane, ricavando tra l'altro una monumentale sala d'ingresso, forse destinata anche alle udienze. Più modesti edifici di abitazione di epoca omayyade sono noti ad Abila, Pella, Ḥisbān e Dhīban, dove i nuovi occupanti musulmani si acquartierarono in precedenti costruzioni e spesso anche in chiese abbandonate. Il c.d. edificio omayyade sul decumano sudoccidentale di Gerasa dimostra in realtà una evoluta continuità di insediamentoSi è discusso su quali fossero i motivi per cui molti dei palazzi residenziali degli Omayyadi sorsero nel deserto, lontano dai centri urbani. Forse si trattò di una reazione all'egemonia dei cristiani nelle città, nelle quali l'apporto della popolazione araba restò scarso. In ogni caso, il lusso di questi palazzi appartati, ricchi di acqua e di vegetazione, divenne uno 'strumento politico culturale' di controllo dei nomadi (Gaube, 1979). Qaṣr Burqu', Qaṣr al-Ḥallābāt, Ḥammām al-Ṣaraq, Muwakkar, Quṣayr ῾Amrā, Qaṣr al-Azrāq, al-Qasṭal, e i non terminati Qaṣr Mshattà e Qaṣr al-Ṭūba, sono i più importanti castelli del deserto sul suolo giordano. Non si può stabilire con certezza se anche Qaṣr al-Kharana appartenga alla serie di queste fondazioni omayyadi, a volte erette su castelli e stazioni di guardia tardoromani (Ḥallābāt, Azrāq, Qasṭal, Burqu'); il complesso, ben conservato e simile a una fortezza, poteva anche essere un caravanserraglio, funzione cui fu sicuramente adibito in epoca mamelucca.Nonostante l'eclettismo artistico, i castelli del deserto rispondono a una tipologia omayyade: a essa appartengono il muro di cinta fortificato e dotato di torri, un portale d'ingresso in risalto, una corte centrale, unità residenziali autonome di cinque o più vani, una sala del trono o delle udienze in qualche caso absidata, un bagno sfarzoso e una moschea. È inoltre caratteristica la disposizione assiale del portale e della sala del trono, che veniva sfruttata nel cerimoniale e per determinate soluzioni decorative. Nessuno di questi elementi è originale, ma è piuttosto la loro combinazione che appare tipicamente omayyade.In passato è stata considerata come particolarmente problematica l'esistenza di un'arte figurata nei palazzi dei principi omayyadi, poiché essa contrasterebbe con l'affermazione dei musulmani ortodossi secondo la quale la dottrina dell'Islam e l'avversione del profeta Maometto verso gli artisti avrebbero impedito fin dall'inizio lo svilupparsi di un'arte figurativa islamica. Si è dimostrato tuttavia che non vi fu una tale aprioristica concezione; il divieto islamico verso le immagini scaturì piuttosto dalla inferiorità iconografica della produzione artistica araba nei confronti delle antiche 'culture figurative' di Bisanzio e Ctesifonte e dalla incapacità dei nuovi signori di sviluppare un linguaggio figurativo esclusivamente islamico. Alcuni dettagli attestano che furono artisti postbizantini delle scuole di Madaba e di Gerasa a realizzare i mosaici di Qaṣr al-Ḥallābāt e a decorare con l'albero della vita e altri motivi la sala dell'ingresso della cittadella di ῾Ammān.La decorazione di maggiore interesse è quella di Quṣayr ῾Amrā, con pitture nei toni del blu, del bruno e del giallo ocra. I soggetti rivelano il bisogno di rappresentazione e di legittimazione degli Omayyadi che risultava da un diritto al comando politicamente dato ma culturalmente fragile. Così si spiegano anche le riprese dall'Antico nei mosaici postbizantini sulle pareti o i soffitti di un castelletto omayyade. Le figure di Arianna e Dioniso nella lunetta dello spogliatoio di Quṣayr ῾Amrā o la rappresentazione del cielo notturno formato, secondo le indicazioni della mitologia antica, da una corona di costellazioni figurate, nel calidarium del bagno dello stesso complesso, non erano prive di senso per i principeschi utenti di questi vani, ma erano piuttosto segni, adeguati al loro rango, di un modo di vivere antico e aulico che essi rivendicavano per sé. Un noto dipinto murale a Quṣayr ῾Amrā raffigura una comunità di principi, dai sovrani bizantino, visigoto e sasanide fino al negus etiope e al khan dei Turchi. In tal modo gli Omayyadi intendevano sostenere la loro pretesa di far parte della 'famiglia dei re', di concorrere allo splendore del mondo e persino di elevare le tradizioni principesche a una nuova perfezione musulmana.Anche il repertorio ornamentale islamico, insieme con la calligrafia, la più importante creazione originale del primo periodo, si sviluppò dalle tradizioni bizantine, come testimonia la facciata del castello di Mshattà. In G. nei pavimenti a mosaico della tarda epoca bizantina (S. Mena di Rihab, 634) i motivi ornamentali avevano già perso la loro concretezza e profondità. La decorazione del muro di cinta e delle torri di Mshattà, giocata sull'effetto tipicamente bizantino dei densi 'scuri' ottenuti con un profondo intaglio nella pietra e del 'rapporto infinito' delle membrature, nasconde la sottostante parete di pietra; caratteri originali essenziali della decorazione protoislamica appaiono da un lato la potenziale illimitatezza del rivestimento di superficie, dall'altro la relativa autonomia della decorazione rispetto all'architettura portante, dall'altro ancora la tendenza alla ritmizzazione geometrica.Le difficoltà che la prima dinastia islamica dovette affrontare nell'intento di collegarsi culturalmente alle tradizioni dei sovrani orientali e mediterranei, dimostrando nel contempo la propria autonomia, contrassegnano anche l'arte della monetazione, dove, dopo i primi tentativi con varianti iconografiche bizantine, conî puramente calligrafici segnalano la rinuncia di fronte a una 'concorrenza' troppo superiore. La raffinata ceramica omayyade, con i suoi vasi di colore giallo-bruno, cuoio o rossastri, mai comunque di tonalità violente, ricorre per la decorazione, spesso eseguita in colore rosso, a motivi geometrici e floreali.Sotto gli Abbasidi il baricentro politico e culturale del mondo islamico si spostò dal Vicino Oriente in Mesopotamia, dove a Baghdad sorse una nuova capitale regale. A lungo si è creduto che questo trasferimento a Oriente del potere musulmano abbia degradato politicamente e culturalmente la G., comportando una drastica riduzione della popolazione e della vita civile. Solo dopo la caduta dei regni crociati e la ripresa delle relazioni tra l'ambiente egiziano e quello siriano sotto gli Ayyubidi e i Mamelucchi si sarebbe aperta, verso il 1200, una nuova era di prosperità per la regione orientale della Giordania. In effetti però numerosi nuovi scavi (Pella, Abila, Beyt Ras) hanno consentito di determinare sequenze ceramologiche da cui si può dedurre una continuità della vita agricola e urbana. Tuttavia l'assetto territoriale divenne più modesto rispetto al tempo degli Omayyadi: non sorse nessuna nuova città, mancò un'architettura monumentale di rappresentanza e anche nell'ambito prestigioso dell'architettura sacra si ebbero restrizioni.Dall'878 gli Abbasidi persero il potere politico nell'area giordano-palestinese a vantaggio di dinastie egiziane: dapprima i Tulunidi, poi gli Ikhshididi e infine, dagli anni sessanta del sec. 10°, i Fatimidi, che divisero la pretesa al dominio con Selgiuqidi, Zangidi e Ayyubidi, che avanzavano dalla Siria, e inoltre, dal 1099, con i crociati cristiani. Scavi archeologici recenti (1986-1987) hanno portato a una visione particolarmente chiara dell'evoluzione della città di ῾Aqaba nel Medioevo. Già nel 631, dunque ancora durante la vita del Profeta e cinque anni prima della battaglia dello Yarmuk, la bizantina Aila, il precedente insediamento, cadde in mano ai musulmani. A meno di m. 100 da quella antica sorse una nuova città fortificata, che certo già sotto gli Omayyadi divenne un importante centro di commercio e in ogni caso fiorì sotto gli Abbasidi e dal 961 sotto i Fatimidi egiziani. Dopo il declino della via dell'incenso come grande strada transarabica e lo sviluppo della via marittima sostenuta dai monsoni verso l'Arabia meridionale (incenso, mirra) e verso la costa indiana del Malabar (incenso, cannella), il luogo divenne un centro di importazione e di esportazione che aveva collegamenti fino in Asia orientale e nella Cina della dinastia settentrionale dei Song, come dimostrano i ritrovamenti di céladons e porcellane del 10° e 11° secolo.L'impianto regolare della città commerciale (m. 160120) era diviso in quattro quadranti da strade in asse con le porte, con richiamo all'impianto dei castra tardoromani, cui riconducono anche la cinta con torri semicircolari fortemente aggettanti e l'edificio centrale, detto Padiglione, il cui modello deriva da quello dei templi delle insegne degli stessi insediamenti.La ceramica di questo lungo periodo, in cui si alternarono diverse dinastie, rinunciò al rivestimento colorato, prediligendo una produzione a fondo bianco invetriato, ravvivata con giallo, verde e rosso solo sulle superfici interne.Il frammentato quadro dei rapporti di forza nel Vicino Oriente tra rivendicazioni egiziane e siriane divenne ancora più confuso dopo l'occupazione selgiuqide di Gerusalemme (1070). Con la prima crociata (1096-1099) l'Europa cristiana si insediò in Palestina e dal 1107 avanzò anche nel territorio della G. orientale. In questa regione lo scontro tra le due culture e le due sfere politiche è testimoniato esclusivamente da costruzioni militari: i castelli crociati di al-Shawbak (Montréal, 1115) e di Karak (Crac de Moab, 1142); a Petra e nelle vicinanze i capisaldi di Hormoz, di Li Vaux Moise, di Sela, quello di Ahamant, di incerta ubicazione ad ῾Ammān o a Ma'ān, e quello di Tafīla; inoltre la fortezza sull'Ile de Grayé nel golfo di ῾Aqaba, oggi sotto la sovranità egiziana. I musulmani si garantirono dal canto loro con i castelli di Qal'at al-Rabaḍ (1184-1185), vicino a Gerasa, e di al-Salṭ (secc. 12°-13°; distrutto dagli Ottomani nel 1840); rafforzarono il vecchio castello omayyade di Qaṣr al-Azrāq (1237); eressero il caposaldo detto oggi Qaṣr Shebib sull'altura che sovrasta la città di Zarqā' e si insediarono anche tra le rovine di edifici antichi, come nel 1121 nel tempio di Artemide a Gerasa.Fino all'inizio delle crociate, la tradizione franca nell'ambito delle fortificazioni era stata modesta: si conoscevano solo il donjon normanno, una torre in pietra con funzioni abitative e militari, e la motta, un terrapieno fortificato con palizzata. Grazie all'impulso dato dall'architettura militare bizantina e orientale, molto più elaborata, ma anche dai castelli romani del limes Arabicus, i conquistatori cristiani fecero erigere, fuori dalle città, la cui popolazione era latentemente ostile, massicce fortezze che fungevano contemporaneamente da residenze e da luoghi di rifugio. Nella G. orientale, che i cavalieri crociati chiamavano Terre oultre le Jourdain e più brevemente Oultrejourdain, come anche nella Siria occidentale, si costruirono, in contrasto con le basse fortezze della Palestina, esclusivamente fortezze elevate, in forma di costruzioni sommitali accentrate (al-Shawbak) o allungate su una cresta montana (Karak). Questa tendenza condusse a impianti fortificati compositi, con fossati, pesanti anelli murari, torri cilindriche rafforzate, talus, glacis, prigioni e impianti d'ingresso - angolati e protetti con molteplici sistemi, come le saracinesche (eccezionalmente un'invenzione franca) - sulle cui entrate erano sospese caditoie. Dopo la conquista ayyubide di Karak (1188) e di alShawbak (1189) i castelli divennero sede degli uffici governativi del sovrano musulmano, così come era avvenuto alla fortezza araba di Qal῾at al-Rabaḍ dopo la decisiva vittoria di Saladino (Ṣalāḥal-Dīn) nella battaglia di Ḥaṭṭīn (1187).Importante per la storia culturale fu la ripercussione architettonica sull'edilizia militare europea. L'inserimento del battifredo nel corso murario, testimoniato per es. nella fortezza di Château-Gaillard fatta costruire da Riccardo Cuor di Leone nel 1195 sulla Senna, non è pensabile senza l'esperienza orientale dei crociati, così come l'arco acuto, rintracciabile dagli inizi del sec. 12° in area francese.Le stabili relazioni politiche che, nonostante due attacchi da parte dei Mongoli - nel 1299 e nel 1303 verso la Siria -, si svilupparono per un secolo e mezzo sotto i Mamelucchi portarono la prosperità economica nella regione. A questo proposito possono essere d'esempio la manifattura dello zucchero nella valle del Giordano e l'estrazione di minerali metallici nel territorio montano nordoccidentale intorno ad Ajlūn. Per quanto riguarda le imprese artistiche e costruttive, la dinastia egiziana non dedicò particolare attenzione a questa regione di confine. Non sorsero nuove città o insediamenti e anche nei centri di costituzione precedente si rinunciò a nuove strutture architettoniche, con l'eccezione di alcune modeste moschee, come a Pella, e di caravanserragli, per es. ad ῾Aqaba e a Ma῾ān. Il sultano Baybars I (1260-1277) fece però rinnovare molti edifici dell'antica Esbus e le città di al-Salṭ e Irbid; Jarash e Umm Qays fiorirono lungo le vie commerciali che mettevano in comunicazione il centro del regno egiziano e la Mesopotamia. Le monete mamelucche - alcune con la figura di un leone, emblema del sultano Baybars -, la ceramica piuttosto rozza e il vetro, trovati in numerosi siti antichi, testimoniano la continuità dell'insediamento, che tuttavia cessò all'inizio del 15° secolo. Con Tamerlano (1370-1405) i Mongoli fecero nuovamente irruzione nel Vicino Oriente e i Mamelucchi dovettero abbandonare a loro la zona-cuscinetto del territorio giordano orientale per proteggere il centro del regno sul Nilo.Quando nel 1516 il regno degli Ottomani in espansione occupò la G. orientale trovò, con l'eccezione della regione collinare nordoccidentale, un territorio decaduto, in cui le stirpi locali dovevano difendersi dagli attacchi dei beduini nelle loro 'isole insediative', per es. fra Karak e Tafīla.Il Jordan Archaeological Mus. di ῾Ammān, posto sulla collina dell'antica cittadella che sovrasta la città, è da tempo divenuto insufficiente per ospitare la grande quantità di reperti, dai teschi di epoca neolitica integrati con gesso modellato di Gerico, ai c.d. rotuli del mar Morto provenienti da Qumran, dai rilievi nabatei fino ai pezzi di epoca omayyade. I più modesti musei regionali di Umm Qays, Irbid (Archaeological Mus.), Mafraq, Jarash, Madaba (Archaeological Mus.), Karak (Archaeological Mus.), Petra (Archaeological Mus.) e ῾Aqaba espongono soprattutto materiale antico e bizantino. Lo stesso vale per i due piccoli musei posti negli ambienti laterali del teatro antico di ῾Ammān.
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