Vedi Giordania dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
La Giordania, come molti paesi della regione, ha una storia nazionale relativamente recente, che risale alla fine della Seconda guerra mondiale. Ottenuta l’indipendenza dal mandato britannico nel 1946, il paese, che prima si chiamava Transgiordania, divenne una monarchia costituzionale retta dalla dinastia hashemita.
Per posizione geografica e retaggio storico, la Giordania è legata a doppio filo alla questione palestinese, specie in conseguenza dell’elevato numero di profughi palestinesi che hanno trovato rifugio nel paese dopo il 1948. Nel contesto regionale del Medio Oriente, attualmente la Giordania è l’unico paese arabo insieme all’Egitto ad aver firmato un trattato di pace con Israele (26 ottobre 1994), che ha normalizzato le relazioni tra i due paesi. Pur nel volatile contesto regionale determinatosi in conseguenza della Primavera araba e nonostante le crescenti manifestazioni di dissenso dell’opposizione registratesi a partire dal gennaio 2011, la Giordania offre un quadro di relativa stabilità politica ed economica rispetto ai paesi confinanti.
Fin dalla sua nascita, il paese ha intrattenuto dei rapporti privilegiati con il mondo occidentale e in particolar modo con gli Stati Uniti, per i quali rappresenta uno degli interlocutori più affidabili nell’area – circostanza suffragata dall’inserimento del paese, nel 1996, tra i ‘maggiori alleati non-Nato’ degli Usa. Anche sulla base di tale peculiarità, la Giordania ha ripetutamente tentato di fungere da perno delle mediazioni diplomatiche in Medio Oriente, soprattutto nel conflitto arabo-israeliano. I rapporti con i vicini arabi sono infatti relativamente buoni, soprattutto con l’Iraq e con i paesi del Golfo, con cui Amman sta ripianando le controversie più recenti e connesse alla pace firmata con Israele e alla posizione di neutralità assunta verso l’Iraq di Saddam Hussein nel conflitto del 1990-91.
Dal punto di vista interno, il potere politico è saldamente nelle mani della monarchia hashemita, anche in virtù del legame tribale che la unisce storicamente ai beduini, maggiore bacino di consenso della famiglia reale. Re Abdullah II beneficia inoltre del fermo sostegno dell’esercito e delle forze di sicurezza giordane. Il potere legislativo è esercitato dal parlamento bicamerale. La Camera bassa, quella dei deputati, è eletta con suffragio universale e, a seguito della riforma elettorale del giugno 2012, è passata da 120 a 150 membri – 27 dei quali eletti per la prima volta su base nazionale attraverso liste bloccate. La Camera alta, composta da 60 membri, è interamente nominata dal re, che ha anche il potere di sciogliere il parlamento e indire le elezioni. In seguito alle richieste di riforma recentemente reclamate dall’opposizione, il re ha annunciato che la scelta del prossimo primo ministro (da sempre sua prerogativa) avverrà previa consultazione del nuovo Parlamento, formatosi con le elezioni del 23 gennaio 2013.
Popolazione, società e diritti
Più di ogni altro paese arabo, la Giordania è caratterizzata dalla massiccia presenza al suo interno di palestinesi, che costituiscono la gran parte della popolazione. Il paese presenta uno dei più alti tassi di crescita demografica al mondo (oltre il 3%): dato unico tra gli stati arabi, fatta eccezione per i Territori palestinesi. La Giordania ha inoltre sviluppato negli anni un programma statale di istruzione che ne fa uno dei paesi con il tasso di alfabetizzazione più alto di tutto il Medio Oriente.
Anche l’apparato sanitario è in grado di offrire servizi di qualità, conseguenza degli alti investimenti pubblici. Le strutture sanitarie accolgono ogni anno pazienti provenienti dai vicini paesi mediorientali.
Il livello di garanzia delle libertà civili e politiche nel paese è ancora relativamente basso, sebbene la Giordania sia uno degli stati più democratici dell’area mediorientale. Gli arresti di oppositori politici e giornalisti, accusati di mettere in cattiva luce la casa reale e il governo, non sono infrequenti; i mezzi di stampa e le televisioni, inoltre, sono controllate in gran parte dallo stato. La stessa revisione della legge elettorale approvata nel 2012 è ritenuta dall’opposizione, e in particolare dal Fronte dell’azione islamica – ramo locale dei Fratelli Musulmani –, insufficiente ad assicurare la rappresentatività delle istanze politiche presenti nel paese. D’altra parte, la mancata inclusione del Fronte dell’azione islamica nella vita politico-istituzionale del paese resta uno dei principali elementi di incertezza nel panorama politico giordano, sullo sfondo di un processo di riforma delle istituzioni che, nonostante il sostegno offerto dal re, si è finora dimostrato fallimentare.
In Parlamento è previsto che 15 seggi vengano riservati alle donne e l’uguaglianza di genere, anche grazie all’impegno sul campo della regina Rania, sta migliorando. Allo stesso modo la minoranza religiosa cristiana, circa il 4% della popolazione, gode di una libertà di culto superiore rispetto agli altri paesi arabi musulmani.
Economia, energia e ambiente
A differenza della quasi totalità degli attori arabi che la circondano, la Giordania non possiede risorse significative di petrolio e gas. Questa circostanza, sommata ad un apparato industriale non particolarmente sviluppato, ha tradizionalmente generato uno squilibrio di bilancia commerciale. L’economia del paese si basa soprattutto sul settore terziario e ruota intorno alla capitale e alla zona del porto di Aqaba. Il turismo rappresenta una percentuale sempre più importante dei servizi: la Giordania ospita sul suo territorio siti archeologici di epoca romana e anteriore, concentrati soprattutto intorno all’area di Petra. L’instabilità regionale determinata dall’erompere della Primavera araba ha tuttavia significativamente colpito il comparto, che nel 2011 ha fatto registrare una flessione del 35% rispetto all’anno precedente, con una perdita stimata per le casse statali di circa un miliardo di dollari. Tale problematica, unita al calo delle esportazioni e alla diminuzione dei consumi, ha comportato, nel 2012, un rallentamento della crescita del pil reale che tuttavia dovrebbe riprendere stabilmente a crescere a partire dal 2013.
Per quanto riguarda le relazioni commerciali, nel 2000 la Giordania è divenuta membro dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) e da allora ha concluso numerosi accordi di libero scambio con i paesi confinanti, tra cui spiccano l’Accordo di Agadir, siglato nel 2004 con Egitto, Marocco e Tunisia, e quello stipulato nel 2010 con Siria, Libano e Turchia. Il paese ha inoltre firmato un ulteriore accordo di liberalizzazione commerciale con gli Stati Uniti, da cui proviene anche una quota significativa degli aiuti internazionali diretti nel paese. Negoziati sono infine in corso per la creazione di un accordo di libero scambio approfondito (Deep and Comprehensive Free Trade Area) con l’Unione Europea, che cumulativamente rappresenta il secondo partner commerciale giordano dopo l’Arabia Saudita (3,5 miliardi di Euro nel 2011).
La Giordania è un forte importatore di energia. La principale risorsa energetica importata è costituita dal petrolio che proviene principalmente dall’Arabia Saudita e dall’Iraq. A questo si aggiunge il gas naturale, proveniente dall’Egitto. In compenso sul territorio giordano si trova circa il 2% delle riserve mondiali di uranio: per questo, il paese sta mettendo a punto un piano per lo sviluppo di energia nucleare al fine di acquisire una maggiore indipendenza in campo energetico.
Con soli 145 metri cubi di acqua pro capite l’anno – a fronte di una soglia di ‘penuria d’acqua’ internazionalmente fissata a 1000 metri cubi – la Giordania è uno dei paesi più poveri di acqua al mondo. Per far fronte a tale mancanza, il governo giordano ha in programma la costruzione di impianti di desalinizzazione sul Mar Rosso e di un canale che colleghi il Mar Rosso al Mar Morto. La gestione delle risorse idriche rappresenta uno dei nodi della competizione regionale legata al conflitto arabo-israeliano – come evidenziato dalla notevole riduzione d’acqua del flusso del Giordano causata dalla costruzione di una diga da parte di Israele.
Difesa e sicurezza
La Giordania costituisce l’unica area di stabilità interna continuativa tra paesi che negli ultimi anni sono stati testimoni di violenze intestine e regionali, come l’Iraq, la Siria, il Libano, i Territori palestinesi e Israele. Le ondate di protesta della Primavera araba hanno avuto ripercussioni, sebbene marginali, anche sulla Giordania, fungendo da campanello di allarme per il regime. Non è un caso che innanzi alle manifestazioni antigovernative – che hanno generato anche alcune vittime – la Giordania abbia fatto domanda di ingresso nel Gcc, percepito come garanzia e protezione della stabilità interna. Il paese è andato progressivamente sviluppando una propria industria della difesa sin dalla creazione del ‘King Abdullah Design and Development Bureau’ (Kaddb). Predisposto nel 1999, il Bureau punta ad assicurare alla Giordania l’autosufficienza nel settore della difesa e, potenzialmente, la sua trasformazione da importatore a fornitore di armi per gli altri paesi mediorientali.
Nonostante l’esercito sia numericamente piuttosto ridotto – e concentrato nelle forze di terra – le truppe giordane partecipano a molte operazioni di peacekeeping delle Nazioni Unite e sono il nono paese al mondo per numero di soldati impegnati. Particolare rilevanza assume inoltre la cooperazione con la Nato, portata avanti dalla metà degli anni Novanta anzitutto nell’ambito del Mediterranean Dialogue. Truppe giordane partecipano alla missione in Afghanistan della Nato, cui Amman ha offerto il proprio sostegno anche in occasione dell’intervento in Libia del 2011.
Con l’espulsione dei gruppi armati palestinesi dal territorio giordano e dopo l’accordo di pace con Israele, le maggiori sfide alla stabilità e alla sicurezza nazionale provengono dall’islamismo radicale. Nel novembre del 2005 Amman è stata infatti teatro di un triplice attentato attribuito a movimenti vicini a al-Qaida, che provocò la morte di circa 60 persone in tre alberghi della capitale. Benché episodi del genere non si siano da allora ripetuti, il contrasto al terrorismo di matrice islamica resta una delle priorità d’azione del paese.
Un ulteriore potenziale elemento di instabilità è legato alla massiccia presenza di rifugiati iracheni nel paese. Dopo la Siria, la Giordania è infatti il paese che ospita il maggior numero di iracheni – circa 750.000 – fuggiti a seguito dell’invasione del 2003. La presenza dei rifugiati ha creato notevoli tensioni con la popolazione locale. In conseguenza della guerra civile in Siria, inoltre, è giunto in Giordania un numero crescente di profughi siriani. Con 88.000 profughi registrati, al novembre 2012 la Giordania era il secondo paese per numero di rifugiati siriani dietro alla Turchia (circa 115.000) e assieme al Libano (89.000).
Nel 1948, al momento della creazione dello Stato d’Israele, la Giordania combatté assieme ad altri stati arabi una guerra con quest’ultimo e accolse un gran numero di profughi palestinesi provenienti dalla Cisgiordania, vale a dire l’area che si spinge fino alla riva occidentale del fiume Giordano. Nel 1967, a seguito della Guerra dei sei giorni, l’occupazione israeliana della Cisgiordania provocò una seconda, massiccia ondata di migrazioni di palestinesi verso il territorio giordano.
La presenza di una così grande comunità palestinese all’interno della Giordania ha comportato rilevanti difficoltà per Amman, soprattutto in relazione alla costituzione nel paese del quartier generale della guerriglia armata palestinese, allora guidata dall’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) di Yasser Arafat. Tale situazione metteva a repentaglio la stessa sicurezza della Giordania, dal momento che le organizzazioni della resistenza palestinese riuscivano a sfuggire in gran parte al controllo governativo. Spesso si verificavano scontri tra i guerriglieri palestinesi e le forze di sicurezza giordane; inoltre, le periodiche incursioni dei guerriglieri in Israele provocavano le reazioni israeliane, che si spingevano fin dentro il territorio giordano nelle loro controffensive contro i ribelli, talvolta causando vittime tra i civili giordani.
Nel settembre del 1970, in quello che successivamente sarebbe passato alla storia come ‘Settembre nero’, a seguito del dirottamento da parte dei ribelli palestinesi di quattro aerei occidentali e del tentativo di assassinio del re Hussein, la monarchia giordana decise di intervenire direttamente. I combattimenti tra le truppe regolari di Amman e i guerriglieri armati palestinesi causarono circa 5000 vittime, tra cui molti civili. A seguito di quegli avvenimenti, le organizzazioni palestinesi furono espulse dal territorio della Giordania e si dispersero tra il Libano e la Siria, paesi in cui ancora oggi vivono più di due milioni di rifugiati palestinesi. A tutt’oggi i rifugiati palestinesi in Giordania sono quasi due milioni, mentre si stima che più della metà della popolazione sia di origine palestinese. Nonostante ciò, i palestinesi giordani lamentano da sempre una discriminazione interna, a livello di diritti civili e di rappresentanza politica.