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La Giordania, come molti altri paesi della regione mediorientale, ha una storia nazionale relativamente recente, che si può far risalire alla fine della Seconda guerra mondiale. Ottenuta l’indipendenza dal mandato britannico nel 1946, il paese, che prima si chiamava Transgiordania, divenne una monarchia costituzionale retta dalla dinastia hashemita.
Per posizione geografica e retaggio storico, la Giordania è legata a doppio filo alla questione palestinese, specie in conseguenza dell’elevato numero di profughi palestinesi che hanno trovato rifugio nel paese dopo il 1948. Nel contesto regionale del Medio Oriente, attualmente la Giordania è l’unico paese arabo insieme all’Egitto ad aver firmato un trattato di pace con Israele (26 ottobre 1994), che ha normalizzato le relazioni tra i due paesi. La Giordania offre un quadro di relativa stabilità politica, economica e sociale rispetto ai paesi confinanti – l’Iraq a est, Siria a nord, Israele e i Territori palestinesi della Cisgiordania a ovest.
Fin dalla sua nascita, il paese ha intrattenuto dei rapporti privilegiati con il mondo occidentale e in particolar modo con gli Stati Uniti, per i quali rappresenta uno degli interlocutori più affidabili nell’area. Anche sulla base di tale peculiarità, la Giordania ha ripetutamente tentato di fungere da perno delle mediazioni diplomatiche in Medio Oriente, soprattutto in relazione al conflitto arabo-israeliano. I rapporti con i vicini arabi sono infatti relativamente buoni, soprattutto con l’Iraq e con i paesi del Golfo, con cui Amman sta ripianando le controversie più recenti e connesse alla pace firmata con Israele (malvista dagli altri stati arabi) e alla posizione di neutralità assunta nei confronti dell’Iraq di Saddam Hussein nel conflitto del 1990-91, che vide gli altri paesi arabi sostenere la coalizione internazionale intervenuta contro Baghdad.
Dal punto di vista interno, il potere politico è saldamente nelle mani della monarchia hashemita, anche in virtù del legame tribale che la unisce storicamente ai beduini, maggiore bacino di consenso della famiglia reale. Il re nomina il primo ministro e ha il potere di sciogliere il parlamento e indire le elezioni. Il potere legislativo è esercitato dal Parlamento, bicamerale: la Camera bassa, quella dei deputati, è eletta con suffragio universale ed è attualmente composta da 120 membri; la Camera alta è invece interamente nominata dal re.
Nel 1948, al momento della creazione dello Stato d’Israele, la Giordania combatté assieme ad altri stati arabi una guerra con quest’ultimo e accolse un gran numero di profughi palestinesi provenienti dalla Cisgiordania, vale a dire l’area che si spinge fino alla riva occidentale del fiume Giordano. Nel 1967, a seguito della Guerra dei sei giorni, l’occupazione israeliana della Cisgiordania provocò una seconda, massiccia ondata di migrazioni di palestinesi verso il territorio giordano.
La presenza di una così grande comunità palestinese all’interno della Giordania ha comportato rilevanti difficoltà per Amman, soprattutto in relazione alla costituzione nel paese del quartier generale della guerriglia armata palestinese, allora guidata dall’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) di Yasser Arafat.
Tale situazione metteva a repentaglio la stessa sicurezza della Giordania, dal momento che le organizzazioni della resistenza palestinese riuscivano a sfuggire in gran parte al controllo governativo. Spesso si verificavano scontri tra i guerriglieri palestinesi e le forze di sicurezza giordane; inoltre, le periodiche incursioni dei guerriglieri in Israele provocavano le reazioni israeliane, che si spingevano fin dentro il territorio giordano nelle loro controffensive contro i ribelli, talvolta causando vittime tra i civili giordani.
Nel settembre del 1970, in quello che successivamente sarebbe passato alla storia come ‘Settembre nero’, a seguito del dirottamento da parte dei ribelli palestinesi di quattro aerei occidentali e del tentativo di assassinio del re Hussein, la monarchia giordana decise di intervenire direttamente. I combattimenti tra le truppe regolari di Amman e i guerriglieri armati palestinesi causarono circa 5000 vittime, tra cui molti civili. A seguito di quegli avvenimenti, le organizzazioni palestinesi furono espulse dal territorio della Giordania e si dispersero tra il Libano e la Siria, paesi in cui ancora oggi vivono più di due milioni di rifugiati palestinesi. A tutt’oggi i rifugiati palestinesi in Giordania sono quasi due milioni, mentre si stima che più della metà della popolazione sia di origine palestinese. Nonostante ciò, i palestinesi giordani lamentano da sempre una discriminazione interna, a livello di diritti civili e di rappresentanza politica.
La Giordania ha inoltre sviluppato negli anni un programma statale di istruzione che ne fa uno dei paesi con il tasso di alfabetizzazione più alto di tutto il Medio Oriente.
Anche l’apparato sanitario è in grado di offrire servizi di qualità, conseguenza degli alti investimenti destinati dal governo a tale settore. Le strutture sanitarie giordane accolgono ogni anno anche pazienti provenienti dai vicini paesi mediorientali.
Il livello di garanzia delle libertà civili e politiche del paese è ancora relativamente basso, sebbene la Giordania sia uno degli stati più democratici dell’area mediorientale. Gli arresti ai danni di oppositori politici e di giornalisti, accusati di mettere in cattiva luce la casa reale e il governo, non sono infrequenti; i mezzi di stampa e le televisioni, inoltre, sono controllate in gran parte dallo stato. Per ciò che concerne la rappresentanza politica, nel paese vige un sistema elettorale, modificato nel 2010, che ha suscitato diverse critiche da parte dell’opposizione, soprattutto del Fronte dell’azione islamica, ramo locale dei Fratelli Musulmani. Secondo questi ultimi non si darebbe uguale peso a tutte le circoscrizioni elettorali, favorendo quelle in cui si candidano personaggi vicini alla monarchia. In Parlamento è previsto un certo numero di seggi destinati alle donne e l’uguaglianza di genere, anche grazie anche all’impegno sul campo della regina Rania, sta migliorando. Allo stesso modo la minoranza religiosa cristiana, circa il 4% della popolazione, gode di una libertà di culto superiore rispetto agli standard degli altri paesi arabi musulmani.
A differenza della quasi totalità degli attori arabi che la circondano, la Giordania non possiede risorse significative di petrolio e gas nel proprio sottosuolo. Questa circostanza, sommata ad un apparato industriale non particolarmente sviluppato, ha tradizionalmente generato uno squilibrio di bilancia commerciale. L’economia del paese si basa soprattutto sul settore terziario e ruota intorno alla capitale, Amman. L’unica eccezione di rilievo rispetto alla concentrazione di attività produttive attorno ad Amman è costituita dalla zona del porto di Aqaba, punto strategico di snodo per i traffici provenienti dal Mar Rosso e diretti verso l’interno, soprattutto verso l’Iraq. Il turismo compone una percentuale sempre più importante dei servizi: la Giordania ospita sul suo territorio siti archeologici di epoca romana e anteriore, concentrati soprattutto intorno all’area di Petra. Nel 2009 sono entrati nel paese circa 3,8 milioni di turisti, con un apporto di 3 miliardi di dollari alle entrate statali.
Per quanto riguarda le relazioni commerciali, nel 2000 la Giordania è divenuta membro dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) e da allora ha concluso numerosi accordi di libero scambio con i paesi confinanti, tra cui quello stipulato nel 2010 con Siria, Libano e Turchia. Il paese ha inoltre firmato un ulteriore accordo di liberalizzazione commerciale con gli Stati Uniti, da cui proviene anche una quota significativa degli aiuti internazionali diretti nel paese.
La Giordania è un forte importatore di energia, dipendendo dall’estero per circa il 96% del proprio fabbisogno energetico. La principale risorsa energetica importata è costituita dal petrolio che proviene principalmente dall’Arabia Saudita (primo partner delle importazioni totali giordane) e dall’Iraq. A questo si aggiunge il gas naturale, proveniente dall’Egitto. In compenso sul territorio giordano si trova circa il 2% delle riserve mondiali di uranio: in conseguenza di questa disponibilità, il paese sta mettendo a punto un piano per lo sviluppo di energia nucleare al fine di acquisire una maggiore indipendenza in campo energetico.
Con soli 145 metri cubi di acqua pro capite l’anno – a fronte di una soglia di ‘penuria d’acqua’ internazionalmente fissata a 1000 metri cubi d’acqua pro capite l’anno – la Giordania è uno dei paesi più poveri di acqua al mondo. Per far fronte a tale mancanza, il governo giordano ha in programma la costruzione di impianti di desalinizzazione sul Mar Rosso, oltre a quella di un canale che colleghi il Mar Rosso al Mar Morto. D’altra parte, la gestione delle risorse idriche rappresenta uno dei nodi della competizione regionale legata al conflitto arabo-israeliano – come evidenziato dalla notevole riduzione d’acqua del flusso del Giordano causata dalla costruzione, a monte, di una diga da parte di Israele.
La Giordania si trova in una condizione particolare, dal momento che il paese costituisce l’unica area di stabilità interna continuativa tra paesi che negli ultimi anni sono stati testimoni di violenze intestine e regionali, come l’Iraq, la Siria, il Libano, i Territori palestinesi e Israele. Le ondate di protesta che hanno interessato molti paesi arabi nei primi mesi del 2011 hanno però avuto ripercussioni, sebbene marginali, anche sulla Giordania, fungendo da campanello di allarme per il regime. Non è un caso che innanzi alle manifestazioni antigovernative – che hanno generato anche alcune vittime – la Giordania abbia fatto domanda di ingresso nel Gcc, percepito come garanzia e protezione della stabilità interna. Il paese è andato progressivamente sviluppando una propria industria della difesa sin dalla creazione del ‘King Abdullah Design and Development Bureau’ (Kaddb). Predisposto nel 1999, il Bureau punta ad assicurare alla Giordania l’autosufficienza nel settore della difesa e, potenzialmente, la sua trasformazione da importatore a fornitore di armi per gli altri paesi mediorientali.
Nonostante l’esercito sia numericamente piuttosto ridotto – e per lo più concentrato nelle forze di terra – le truppe giordane partecipano a molte operazioni di peacekeeping delle Nazioni Unite, rispetto alle quali sono il settimo paese al mondo per numero di soldati impegnati.
Con l’espulsione dei gruppi armati palestinesi dal territorio giordano e dopo l’accordo di pace con Israele, le maggiori sfide alla stabilità e alla sicurezza nazionale provengono dall’islamismo radicale. Nel novembre del 2005 Amman è stata infatti teatro di un triplice attentato attribuito a movimenti vicini a al-Qaida, che provocò la morte di circa 60 persone in tre alberghi della capitale. Benché episodi del genere non si siano da allora ripetuti, il contrasto al terrorismo di matrice islamica resta una delle priorità d’azione per la sicurezza del paese.
Un ulteriore potenziale elemento di instabilità è legato alla massiccia presenza di rifugiati iracheni nel paese. Dopo la Siria, la Giordania è infatti il paese che ospita il maggior numero di iracheni – circa 750.000 – fuggiti a seguito dell’invasione del 2003. La presenza dei rifugiati ha creato notevoli tensioni con la popolazione locale, dal momento che ha coinciso con un generale aumento dei prezzi e dell’inflazione in un paese in cui la disoccupazione resta ancora molto alta.