FERRARI, Giordano Bruno
Pittore, nato a Roma il 28 luglio 1887, morto ivi il 24 maggio 1944. Figlio dello scultore Ettore Ferrari, conseguì il diploma di pittura all'Accademia di belle arti di Roma, dove fu allievo di E. Coleman e O. Carlandi. Fece parte del gruppo di pittori detto dei XXV della Campagna romana, da lui particolarmente presa a soggetto in numerosi studi, acquarelli, quadri ad olio, disegni, molti dei quali raccolti in una mostra personale ordinata dall'Associazione artistica internazionale di Roma, nella sua sede (ottobre 1944). Eseguì anche numerose pitture figurative e decorazioni murali fra le quali quelle per il padiglione italiano all'Esposizione universale di S. Francisco di California (1914). Lo scoppio della prima Guerra mondiale lo colse appunto a S. Francisco: tornato in Italia per arruolarsi, si distinse nella battaglia per Gorizia. Dal 1928 al 1938 fece parte, come segretario tecnico per la parte illustrativa, della redazione della Enciclopedia Italiana. Durante la seconda guerra mondiale, dopo l'armistizio dell'8 settembre, prima come componente del Comitato d'azione nazionale, poi del Fronte clandestino militare di resistenza, dedicò ogni sua attività ed energia alla causa della liberazione, fornendo preziose informazioni e prendendo parte ad azioni sul fronte interno. Arrestato dai Tedeschi il 13 marzo 1944 e sottoposto, senza piegare, alle più crudeli sevizie, fu condannato a morte il 27 aprile e fucilato nel piazzale interno del Forte Bravetta.
Alla sua memoria fu conferita la medaglia d'oro al valor militare con la seguente motivazione: "Animato da purissimi sentimenti d'italianità, intellettuale di alta elevatura, gentiluomo ligio alle leggi dell'onore e dell'onestà, durante i primi cinque mesi dell'occupazione tedesca in Roma, svolgeva intensa, ininterrotta e preziosa attività informativa sfidando serenamente e quotidianamente la morte. Tratto in arresto sotto l'accusa di spionaggio a favore del nemico, sopportava interrogatorî ed atroci torture, serbando il più assoluto silenzio circa i capi e l'organizzazione di cui faceva parte e manifestando tutto il suo disprezzo per i carnefici nazi-fascisti. Condannato a morte, attendeva serenamente la fine sostenendo spiritualmente i compagni di cella e, rifiutando qualsiasi assistenza, si appressava al luogo dell'esecuzione con stoica fermezza e rivolgeva l'ultimo pensiero all'Italia nella certezza che sarebbe risorta libera e pura (Roma, ottobre 1943-24 maggio 1944)".